Le ragioni dell’antistato

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Gigi Damiani

 

Quanto meno Stato, tanta più libertà individuale; conseguentemente niente Stato – massimo di libertà per l’individuo.

Si osserva però che una volta soppresso ogni controllo statale, l’individuo, della piena libertà oltre che usare potrebbe abusare.

Il fatto è possibile, anzi, con buona pace degli ottimisti per partito preso, lo diamo per sicuro.

Ma una tale certezza non ci spaventa e non ci persuade a nessuna fiducia verso il male maggiore: lo Stato.

Il controllo di questo, anche quando eventualmente limitato da influenze dottrinarie ultra democratiche, porta con sé una somma di abusi, di violenze, di costrizioni e di menomazioni che tutti i danni che potrebbero derivare dall’uso della massima libertà individuale rappresenterebbero sempre il male minore.

La tesi bolscevica che lo Stato è mezzo e non fine, cioè che va accettato e ubbidito come strumento di preparazione all’uso della libertà nell’assenza dello Stato stesso, è una tesi di ripiego. Peggio, è una beffa atroce.

D’altronde come mandar giù quale atto di fede che lo Stato consolida sempre più la propria egemonia coll’unico proposito di suicidarsi in un dato momento?

Se lo Stato ha una missione, questa non può essere altra che quella di estendere e nello stesso tempo approfondire il proprio potere per renderlo stabile nel tempo e nello spazio.

La pretesa “missione educatrice” che da alcuni si vorrebbe dare allo Stato e tendente ad una conclusione libertaria, si risolve in una imposizione totalitaria dell’accettazione dello Stato stesso e di quanto esso impone e propone. E guai a fare allusione all’accennata, come pretesto giustificativo, finalità libertaria.

L’imposizione totalitaria è mezzo sopratutto di vita per le dittature.

Ce lo ha provato la Russia.

Ce lo ha riconfermato l’Italia.

Ché, così in Russia come in Italia, lo Stato impone un’accettazione totalitaria del suo dominio, incontrollabile e incensurabile, anzitutto per garantire il perpetuarsi della dittatura, vuoi di un uomo, vuoi di un’oligarchia di ultimi arrivati.

La circostanza che l’imposizione russa propone il mantenimento di una economia più o meno comunista, controllata, regolata, dominata dallo Stato, dominata e violata, mentre invece l’imposizione italiana agita, per uso interno ed esterno, un programma di super-nazionalismo che si ubriaca di reminiscenze prima di avventurarsi a disastrose conseguenze, niente prova contro la nostra affermazione che è poi una constatazione di fatto: l’esistenza in Italia, come in Russia, di uno Stato, unico despota, che sta armato di spada al disopra della nazione o dei soviet, delle classi o del partito, delle gerarchie o delle corporazioni, il tutto movendo nel proprio unico interesse, dopo aver tolto all’individuo, cittadino, camerata o compagno, ogni libertà di movimento, ogni possibilità di manifestare il proprio pensiero o far valere il suo particolare parere.

L’obbedienza assoluta ottenuta e mantenuta col terrore: ecco il super-stato con o senza il paravento di una missione educatrice, di una missione storica o antistorica, sociale o nazionale.

In Russia, in Italia e altrove.

Quanto meno Stato, tanto più libertà individuale…

Si dovrà allora avere e manifestare preferenza per gli Stati repubblicani, democratici o largamente liberali, nei confronti di quelli assolutisti e dittatoriali?

Si risponde che lo Stato è lo Stato; guelfo o ghibellino, teocratico o democratico, fascista o bolscevico, socialista o borghese, esso non fa e non cerca che sudditi. Al più, al più questione di nuances.

Ma tale risposta non è una risposta che persuade; effettivamente anche quando si giura il contrario una certa preferenza si ha… senza avere il coraggio di confessarla.

La questione però è un’altra o per lo meno, dal nostro punto di vista, va presentata sotto un altro aspetto.

Si deve agire e lottare per la conservazione degli Stati democratici, repubblicani e liberali, contro quelli assolutisti, fascisti o bolscevichi che essi si dicano, perché essi Stati democratici, repubblicani o liberali, consentono all’individuo un più o meno largo respiro volontario?

La risposta non può essere altra che un no reciso.

Lo Stato va combattuto in tutte le sue manifestazioni, in tutte le sue crisi di crescenza o di decadenza, in tutte le sue oscillazioni tra potere democratico e potere assoluto, perché la sua libertà è sempre in contrasto, sempre antitetica, sempre nemica di quella dell’individuo.

E contro lo Stato che in qualunque tempo ed in qualunque luogo nell’individuo non vede che un suddito politico ed amministrativo, al quale qualche volta si permette di protestare e di contrattare la propria sudditanza, bisogna far valere, esporre, propagandare, difendere le ragioni dell’antistato.

Per la libertà dell’individuo.

Per la nostra libertà.

Quanto meno Stato, tanta più libertà…

Noi ci siamo cullati un tempo nell’illusione che, il tanto peggio, portasse si può dire meccanicamente al tanto meglio.

L’espressione era forte, faceva effetto, correva. Correva troppo.

E persuadeva… chi voleva lasciarsi persuadere, che una tirannia inesorabile, soffocatrice, giovasse alla causa della libertà meglio e assai più di uno Stato di mezza libertà.

L’esperienza – e dolorosa – è venuta a provarci il contrario.

Il tanto peggio non fa desiderare il meglio, pieno, massimo.

Fa sospirare invece un po’ di libertà. Per respirare.

Che lo zarismo abbia avuto per successore il comunismo di stato dice poco: alla tirannia zarista ha fatto seguito un’altra tirannia.

Se domani crollasse il sistema fascista, stroncato da una sollevazione di popolo o rovinato dall’opera propria, si avrebbe probabilmente un ritorno ad un non lontano passato. Perché? Perché la più gran parte degli italiani toccherebbe il cielo con le dita se oggi potesse riavere per esempio un po’ di libertà… giolittiana. Perché la tirannia non educa alla libertà vera e propria, anzi ne impedisce la ricerca, la preparazione spirituale che la rende desiderabile.

Un tentativo bolscevico invece, in Italia, avrebbe domani con sé i fascisti stessi: i quali, caduto il sistema fascista, per passare a quello bolscevico, non avrebbero altro da fare che mutare di camicia.

Il tanto peggio alle grandi masse fa desiderare il meno peggio possibile e l’attardarsi poi in questo viene da sé.

Certamente esso può fare desiderare per eccezione il massimo meglio, l’oscillazione verso il polo opposto. Ma il desiderare è una cosa e l’attuare un’altra.

Or dunque è appena riconquistata, dal popolo e da noi, una certa libertà di movimento che l’opera nostra deve maggiormente premere perché si continui a marciare oltre il meno peggio, ad allargare sempre più lo stato di mezza libertà; a propagandare ed agire contro lo Stato. Anche quando questo si dichiarasse democratico-sociale o repubblicano socialista.

Lottare contro la massima tirannia, contro i vari sistemi fascisti certamente si deve e senza preoccuparsi tanto a chi toccherà la successione; ma una volta la successione aperta – giacché noi non possiamo con un colpo di mano imporre l’anarchismo – niente si deve trascurare e lasciare intentato perché in quanto meno Stato faciliti la marcia verso il non-Stato.

Altrimenti, dopo dieci o venti lustri, si tornerebbe daccapo, cioè, di nuovo sotto il dominio di altre tirannie, di altre dittature, perché qualunque Stato – democratico, repubblicano, socialista – per la conservazione di se stesso, ad un certo momento, cercherebbe di ritrovare tutto se stesso, ovverosia di avere o riavere tutto il potere.

Le ragioni dell’antistato – se il non-stato dovrà essere un fatto e noi desideriamo, per noi, che lo sia ché vogliamo esser liberi, veramente liberi – riposano dunque in un contrasto logico che ci pone di fronte all’idea ed al fatto Stato su di un terreno negativo, di costante opposizione.

Ed esse, a parer nostro, dovrebbero pesare sulla coscienza e sulla volontà di quanti sentono il bisogno di vivere la propria vita (armonizzandola, quando e dove sarà necessario, con quella del proprio prossimo, vicino e lontano) senza l’incubo di un legislatore e di una legislazione, che, anche quando democratici, non possono fare a meno di funzionare fascisticamente e di considerare l’individuo lo sciavo di un dovere a priori concepito e generalizzatore generalizzabile per un imposizione autoritaria.

È il senso della libertà che bisogna perciò sviluppare; detta libertà vera ed integrale: oggi contro lo Stato, domani nel non-stato; cioè nell’anarchia.

Dico nell’anarchia e non nel socialismo più o meno libertario.

Ch’io parlo di una libertà che ricerca se stessa senza pregiudiziali di esperienze economiche, preferite o preferibili; che non si sacrifica a queste, che non dipende da esse, ma sta al disopra di esse.

 

[da L’Adunata dei Refrattari, anno VIII, n. 35 del 12-10-1929]