Britannia brucia

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Handsworth, Brixton, Tottenham. Le sommosse in Inghilterra scoppiate nel settembre del 1985 si sono diffuse come risposta alla repressione poliziesca e al razzismo dei “gruppi di intervento” dei bianchi collegati con i fascisti del “National Front”. Alla base un sempre più diffuso malessere sociale e l’impossibilità concreta di dare sbocco reale alla propria vita da parte dei giovani, specialmente west-indiani.

 

Il 9 settembre comincia Handswort, un quartiere ghetto di Birminghan. L’occasione: l’arresto brutale di un automobilista nero per una banale multa. La popolazione nera insorge. Ore di lotta nelle strade. 50 negozi bruciati. Tre macchine della polizia distrutte. Un tentativo di manifestazione contro l’apartheid sudafricano  non ha sviluppo perché subito represso dalla polizia. Il recupero è affidato poi ai gruppi rasta degli ex seguaci di Bob Marley. Dalla musica al ruolo di recuperatori, il passo è breve. Anche i fascisti svolgono un compito nella situazione di Birmingham schierandosi a fianco della polizia e provocando, come è loro abitudine, per giustificare la repressione poliziesca.

Il 27 è la rivolta di Brixton. Qui la polizia ha da sempre applicato una pesantezza nei controlli che non ha riscontrato in altre zone di Londra. Il motivo è da ricercarsi nella paura che le autorità si sono presa nel corso delle sommosse del 1981. La scintilla scocca per una faccenda molto più seria.

La polizia uccide una donna nera nel corso di una perquisizione. L’arma usata è una 38 special di cui, si dice, la polizia di quell’illuminato paese non conosce nemmeno l’esistenza. La risposta si ha con un’assemblea davanti la stazione di polizia di Brixton, con la presenza di molti compagni anche bianchi. Cominciati gli scontri la stazione di polizia viene in parte bruciata. Altri scontri si diffondono nella zona. Negozi vengono bruciati. Molte barricate impediscono l’intervento repressivo.

Il 5 ottobre scoppia Tottenham. Anche qui l’oppressivo controllo della polizia sfocia in un’altra uccisione di una donna nera. La risposta non si fa attendere. I giovani, specie west-indiani, si raccolgono. Anche qui negozi bruciati, poliziotti feriti, scontri con molotov. Un poliziotto viene ferito, quasi tagliato a pezzi. La rabbia popolare, accumulata, esplode pienamente.

Alcune considerazioni.

Per prima cosa il ruolo repressivo della polizia, dei gruppi del “National Front” e il ruolo recuperatore dei gruppi – come quelli dei seguaci della musica reggae – che lavoravano una volta in senso rivoluzionario. Lo sviluppo molto avanzato del capitale e della società inglese apparentemente entra in contatto con un modello repressivo che appare arretrato. Da qui la precipitosa ricerca di responsabilità da parte delle autorità politiche inglesi.
Le rivolte si sono presentate come spontanee manifestazioni dirette a contrastare l’oppressione razziale. Si è trattata di una risposta che il popolo nero ha dato contro l’esperienza della discriminazione che costituisce uno dei fenomeni più appariscenti della moderna vita inglese.

Dopo la guerra sociale in corso in Irlanda, le sommosse di questi ultimi tempi sono il segno più grave del malessere di quella società.

La caratteristica vera di questi fenomeni, anche aldilà della loro indiscutibile matrice di lotta antirazzista, è l’improvvisa e incontrollata capacità di svilupparsi, anche partendo da occasioni che sono oggettivamente marginali se non proprio trascurabili.

Nel fondo della società inglese, come società tra le più avanzate dal punto di vista del capitalismo post-industriale, emergono inquietudini e pulsioni che non sono facilmente leggibili alla luce delle tradizionali impostazioni politiche. Non per nulla c’è stata la condanna netta e precisa di queste sommosse da parte della sinistra ufficiale inglese. I laburisti le hanno definite “un segno di disperazione”; i comunisti “sanguinose, distruttive, violente”; i socialisti “deformanti e brutali”.
Anche se quasi certamente gli anarchici di casa nostra ricorreranno alle parole migliori per esaltarne la forza rivoluzionaria, saranno in fondo convinti che queste sommosse sono un chiaro esempio del tramonto del “periodo rivoluzionario”. Proprio in questa prospettiva critica del concetto di rivoluzione si è indirizzata la maggior parte dell’anarchismo nostrano. Ecco, per un aspetto questi compagni così preoccupati di spiegarci cosa è la rivoluzione oggi e in che misere vesti essa è ridotta, hanno ragione a preoccuparsi per fenomeni del tipo di quelli che stiamo esaminando.

Le sommosse britanniche sono l’antefatto di un periodo nuovo che si profila all’orizzonte. Le rivolte non più dettate dalla miseria ma dalla situazione di stallo, dalla reale impossibilità di andare avanti anche in una società che riesce a garantire un minimo di sopravvivenza (e spesso anche più di un minimo). Le rivolte non più della mancanza, ma, per alcuni aspetti, della disponibilità e del relativo benessere (se non proprio dell’opulenza).

I giovani negri (e bianchi, e asiatici) che hanno dato vita a queste sommosse non sono miseri e laceri. Mangiano tutti i giorni, hanno il televisore a colori in casa, spesso anche la ‘sicurezza sociale’, cioè una forma di salario minimo garantito. Eppure sono profondamente immersi in una miseria morale e sociale molto più difficile da sopportare della semplice miseria economica (specie per i giovani). Essi insorgono contro l’alterigia e il gesto sprezzante di superiorità del bianco portatore della repressione di una struttura che non riconoscono e non hanno mai voluto. E questa è la più seria delle rivolte. Quella in nome della dignità offesa.

Certo, il progetto di controllo cercherà di ridurre queste occasioni di contrasto. Non tanto facendo ricorso ad un rafforzamento della polizia, quanto creando, via via nel tempo, un diverso modo di pensare, una diversa cultura, un diverso linguaggio. Da ciò la necessità per il potere di costruire un codice “ridotto”, ad uso del popolo ghettizzato, in base al quale quest’ultimo potrà usare gli strumenti messi a disposizione dai privilegiati, ma solo in modo subordinato. E ciò principalmente perché la produzione (il grande capitale) non avrà più bisogno di questo serbatoio di forza lavoro e avrà tutto l’interesse a rinchiuderlo all’interno di un nuovo ghetto circondato dall’insuperabile muro dell’incomprensione del linguaggio dei dominatori.

In effetti, anche oggi, in grande città come Londra, milioni di persone vivono una vita che utilizza  passivamente alcuni strumenti imposti da una piccola minoranza di sfruttatori, ma non conoscono il linguaggio che lega questi ultimi insieme e che rende possibile lo sfruttamento. Questo abisso si aprirà sempre più nei prossimi anni.

Le insurrezioni di domani avranno maggiormente l’aspetto di sommosse irrazionali (apparentemente) e impensabili. Spetterà a noi trasformarle in insurrezioni quanto più possibile coscienti.

AMB

 

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Il Partito Laburista inglese ha condannato le sommosse dimostrando così non solo di non capire quello che è accaduto ma anche di essere solo il rappresentante di alcune fasce privilegiate di lavoratori che hanno ormai smarrito del tutto lo spirito di classe. Questa è la posizione che hanno anche i nostri partiti di sinistra. Sono antirazzisti quando chi subisce la discriminazione non inizia una lotta autonoma, come sono anche favorevoli alle rivendicazioni solo quando chi subisce lo sfruttamento  non lotta per conto suo. In tali occasioni ritornano ad essere quello che sono sempre stati: l’espressione più sottile ed avanzata della repressione.

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Contro l’apartheid

Centoquarantamila persone a Londra, in Trafalgar Square, a manifestare contro il regime sudafricano. La presenza di leaders del recupero e dell’imbroglio razziale, come il reverendo Jackson e Oliver Tambo, oltre alla costante vigilanza dei Rasta meno aggressivi, stava garantendo uno svolgimento ordinato e puntale dell’immenso raduno sostanzialmente pacifista. Alcuni compagni anarchici ed anche diversi troskisti hanno agito in modo da fare andare diversamente le cose. Niente di grave, pochi barattoli di vernice sui muri dell’imponente palazzo vittoriano dell’ambasciata del Sud Africa, proprio davanti la statua di Nelson. L’intervento della polizia è stato durissimo. Centinaia di compagni sono stati picchiati nella metropolitana vicina (quella di Charing Cross) e molti di loro fermati. Ancora una volta si propone il grosso problema – di già sollevato nel corso delle due manifestazioni “Stop the City” – su come organizzarsi per incidere maggiormente in situazioni come queste e per ridurre al minimo i danni causati dall’azione repressiva della polizia.
Sosteniamo l’urgenza che i compagni si diano una struttura minima di autodifesa e, possibilmente,  un minimo di progetto strategico di intervento in situazioni che, all’inizio, si prospettano come semplici riunioni per manifestare il proprio sdegno e la propria rabbia. In futuro queste situazioni si evolveranno sempre più spesso in tensioni e scontri. Londra è senza altro uno dei punti di maggiore importanza da questo lato. Continuare a non volere prendere il problema in nome di un vacuo e irresponsabile spontaneismo è negativo e perdente. Alle infantili tecniche di ‘incapacitating’ escogitate dalla polizia e opportunamente sbandierate da tutti i giornali per mettere paura ai compagni, occorre contrapporre una ben più seria strategia di difesa e, se del caso, di attacco.

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Alcuni gruppi razzisti di “vigilantes” hanno operato nel corso di sommosse per aiutare l’azione della polizia. Si tratta di gruppi creati dal “National Front” che operano anche in altre zone di Londra e che prendono il nome di “Fairplay”. La loro tattica consiste nel fare propaganda tramite i giornali locali contro i negri e le minoranze razziali, aiutare la polizia nel controllo dei ghetti e stimolare il suo intervento repressivo.

 

[Da “Anarchismo”, n. 49, dicembre 1985]