Liberi di che?

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Proviamo anche noi, nel nostro piccolo, a dire un paio di cose in merito alla discussione sulla libertà d’espressione, che è stata tirata in ballo in seguito ai drammatici fatti di cronaca di Parigi. I punti che ci vengono in mente a riguardo sono essenzialmente due. La prima obiezione, sollevata da molti peraltro, riguarda il fatto che questa libertà d’espressione è essenzialmente a doppio livello: per ciò che interessa i poteri occidentali essa è valida, mentre per tutto ciò che non rientra in questi interessi essa non viene considerata. Questo è avvenuto ed avviene tuttora. In molti infatti hanno notato nella sfilata dei capi di governo a Parigi l’altro giorno la sostanziale ipocrisia dei principali responsabili dei conflitti mondiali, dei suoi flussi migratori, delle morti, dello sfruttamento e dell’impoverimento di varie parti di mondo.

In molti hanno notato che coloro i quali l’altro giorno gridavano al pericolo terroristico, ne sono, in realtà i primi fautori e sostenitori. Sia come responsabili diretti, sia come artefici indiretti, tramite sovvenzioni e via dicendo, della creazione di cellule di criminali utili per destabilizzare alcuni scenari mondiali. Senza terrore, l’occidente non potrebbe imporre la propria egemonia (sempre più flebile per la verità). E ciò vale anche al contrario, per le altre potenze o per quelle che si vanno affermando sullo scenario mondiale. Ma se queste pratiche terroristiche gli Stati le usano all’esterno dei propri confini, con diversa intensità, a seconda delle necessità, essi le usano anche all’interno, nei confronti dei territori da distruggere o di fasce di popolazione da sottomettere. Se abbiamo bisogno di esempi per comprendere ciò, basta citare (per l’esterno) le guerre colonialiste compiute in giro per il mondo (nel passato così come nel presente, sotto forma di democrazia da esportare) e il vero e proprio furto, con tanto di massacri, di materie prime in paesi poveri. Per quanto riguarda l’interno, invece, si possono semplicemente citare distruzioni dei territori (discariche, perforazioni, elettrodotti, inquinamento delle acque, scorie tossiche…) e la repressione che colpisce chi si vuole opporre a ciò. A conti fatti, il meccanismo è simile, se non fosse che all’interno gli Stati occidentali mantengono, per quanto possono, un profilo più basso, perché sanno bene che questo sistema economico necessità di consumatori e, quindi, di stabilità, ovvero di sottomessa acquiescenza. E la tanto sbandierata libertà d’espressione?
È valida solo per quel che sta bene ai governanti.
Anche nel nostro piccolo d’altronde possiamo dimostrare che è così. Ed in molti potrebbero aggiungere le proprie situazioni. Ad esempio siamo stati indagati, perquisiti, processati, diverse volte per quel che pensiamo e quel che scriviamo. Accusati di istigazione a delinquere, come potete leggere in questi tre articoli del nostro blog (123).  O possiamo aggiungere, a mo’ di esempio, come ad un compagno è stato dato il foglio di via da Teramo perché stava attaccando manifesti in solidarietà con i compagni No Tav. Poca cosa, per carità, ma giusto per farci un’idea di come le cose funzionano anche nel nostro piccolo. E potremmo continuare, così come potrebbero continuare in molti a parlare di questi soprusi.
Ma dovremmo lamentarci della mancata libertà d’espressione?
No, pensiamo di no.
E qui sta il secondo punto del nostro discorso iniziale.
Perché rivendicare tale libertà, in un contesto di sottomissione è qualcosa che non ha senso, se non nella misura in cui essa è confacente allo spettacolo. Qualcuno sbraiterà: “ma cazzo, almeno con la libertà d’espressione si può dire quel che si pensa. Meglio, rispetto al fatto di non poterlo fare per niente!”. Certo, però ci vien anche da aggiungere: “Si però, puoi anche dire il cazzo che ti pare, puoi anche lamentarti di tutto, puoi anche parlare di assaltare a destra e a manca, ma se poi nessuno fa un cazzo di niente, se tutto ciò non smuove niente, se non cambia nulla, a che serve?”
Solo chiacchiericcio?
No, non solo. Perché è il meccanismo che ci viene concesso, è lo sfizio ed il “lusso” che la nostra società ci concede. Una società in cui l’espressione è libera, solo nella misura in cui è merce, come un quadro da vendere, una vignetta in un settimanale o una cazzata da sbandierare. Nel caso opposto è repressa. Nel momento in cui l’espressione esce fuori dallo spettacolo, nel momento in cui diventa reale, o anche una semplice minaccia per il potere, essa va annientata.
Non possiamo quindi parlare e rivendicare solo la libertà d’espressione. Perché parlare di libertà di espressione, come se fosse una cosa a sé stante, come se esistessero tante libertà da parcellizzare, invece di parlare e lottare “solamente” per la libertà, è confacente solo al mercato ed al dominio. La nostra principale espressione, d’altronde, è la nostra vita. Se essa è monca, mutilata, azzittita, che senso ha parlare di libertà d’espressione?
Se non ci permettono di vivere, che senso ha poterlo dire, avere la “libertà” di dirlo, senza fare nulla più?
Come può essere un’ambizione parlare delle proprie catene, se non ci si adopera per distruggerle?
Qualcuno potrà pensare che, almeno avendo la “libertà” di parlare di queste cose, si possa poi arrivare ad agire. Questo discorso è valido solo se non poniamo la libertà d’espressione come orizzonte del nostro interesse, se a tale rivendicazione le si riconosce un valore parziale nella lotta per la nostra emancipazione. Questo discorso è valido solo se alla parola le si riconosce un valore, una consequenzialità reale rispetto a quel che si dice, una concretezza. E non pensiamo sia soltanto un discorso sui cazzari ed i quaquaraquà, perché è un discorso più ampio sulla nostra società spettacolarizzata che ci concede libertà illusorie (come quella d’espressione) solo per farci credere di star realmente vivendo.
Quindi, se ripudiamo ed odiamo dei fanatici assassini religiosi, così come proviamo lo stesso sentimento nei confronti dei loro simili, i nostri governati, perché sappiamo che sono entrambi espressioni dello stesso terrorismo, non possiamo farlo anche in nome della libertà d’espressione che non viene concessa. Perché rischieremo di condannare gli uni e giustificare gli altri, con l’unico risultato di aumentare la confusione all’interno delle gabbie dove viviamo, giustificando in tal modo la violenza e la sottomissione.

Liberi di che?