ALCUNI ARTICOLI DALLA SUA CRONACA SOVVERSIVA

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LUIGI GALLEANI

BARRE VERMONT, STATI UNITI D’AMERICA(1904-1906)

 

FACCIAMOCI FRATI!

” … oggi nialgrado tutto, malgrado le leggi eccezionali adottate dai governi europei ed americani, malgrado la polizia internazionale che segue i nostri movimenti dovunque, noi godiamo di un massimo di libertà superiore a quello che godevano dieci o quindici anni fa … “.

“La propaganda anarchica non può essere più oggi quella terrorista d’una volta … “.

“Ora i tempi sono mu tati, l’atto individuale non ha più il suo effetto sulle moltitudini che rimangono indifferenti”.

“La propaganda anarchica di demolizione violenta, di lotta spietata e terribile contro il potere vigente non scuote più e lascia il tempo che trova”.

“I Bresci e gli Czolgoz non suscitano che l’entusiasmo e la paura di un’ora, poi tutto passa” .

“Anche la soluzione catastrofica che profetizzava Marx e che dovea per forza di materialismo storico portare alla conflagrazione fra la classi sociali è diventata un’utopia … ”

” … La grande crisi che doveva portare alla rivolta non arriva, non arriverà mai!

“I nostri periodici non devono più incensare l’atto rivoltoso, inconscio di un pazzo qualunque che per innata mania era tentato a commetterlo”.

– E allora facciamoci frati! …

– Un momento: “occorre che noi cessiamo dalle inutili fanfaronate, dagli inutili scatti violenti, dagli inutili sfoghi di bile .. . ”

– E facciamoci frati!

– Aspetta: “i nostri atti di ribellione restano pel popolo un enigma, egli non si dà ragione della nostra pazzia … ” .

– Pazzia incurabile, mo’ mi pare la tua! Oh, che la mal a pasqua di rinnegato t’hanno dunque mandato se tu ti rimangi tutto quello che fino a ieri hai preconizzato, tutto ciò che il movimento anarchico ha compiuto di bello, di sano, di vigoroso? Noi godiamo, blateri tu, malgrado le leggi eccezionali, malgrado la polizia internazionale di un massimo di libertà, sconociuto ai nostri predecessori!

Ma domandane al Grido della folla, dimezzato ogni numero da Cisotto il microcefalo, domandane al Libertario stretto alla gola dalle persecuzioni del generale Stevani, domandane ai torturati di Alcalà ai bei tempi di Torquemada, domandane a John Turner cui quattro negozianti di ventresca repubblicana interdiscono la metà del mondo abitato, domandane ai deportati di Nou meae di Cajenna, ai coatti relegati per le isole della patria, alle migliaia di compagni sepolti nelle genne penitenziarie o rami nghi per ogni plaga della terra, filati, sospinti braccheggiati dai seguaci della polizia internazionale: ai ventri vuoti di Berra, di Giarratana, di Galatina saziati di mitraglia, ai minatori del Colorado bastonati, deportati, incarcerati, massacrati dai sicari delle Compagnie, dalle truppe dello Stato, dagli aguzzini e dai famuli di Roosevelt l’idiota e diranno a te in coro, un coro di imprecazioni e di bestemmie irresistibili, quanto e come i tempi siano mutati, quali siano le delizie del massimo di libertà a cui sciogli l’inno rinnegato della tua apostasia repentina e dissenterica.

– Piano: “l’atto individuale non ha più il suo effetto sulle moltitudini che restano indifferenti. I Bresci, gli Czolgoz non suscitano che l’entusiasmo e la paura di un’ora … ”

– Da quando, di? L’indifferenza delle masse che si intorpidiscono paralizzate, svogliate, sfiducia te vedendoci pontificare, dogmatizzare, bizantineggiare predicare invece d’agire, invece d’insegnare coll’esempio, schiaffeggiata da un superbo atto di rivolta, che si tramuta violentemente in energia vigile e minacciosa, suscita l’indignazione, costringe alla riflessione e ravviva intorno all’idea che agonizzava nell’inanizione metafisica il fuoco delle discussioni, la passione del conoscere, la fede nella insurrezione e nella risurrezione; la temerarità tracotante delle classi dirigenti sente sotto la sferzata, vede nel baleno, ahimè, troppo raro! della rivolta popolare tutta l’ira della tempesta ruggenti sulle sue ignominie, sulle sue iniquità, sulla sua feroce tirannide e … allenta il morso. Enrico Ferri, che attraverso le lenti della sua sociologia criminale non saprebbe discernere in Bresci che un delinquente, ha dovuto ripetutamente riconoscere che se si ritornò in Italia dopo contro Pelloux al rispetto e alle guarentigie dello Statuto se ne deve attribuire il merito a quell’umile tessitore di Prato che ebbe già la scomunica minore dai pontefici dell’anarchismo timorato ed ha ora dalle tue pinzocchere contrizioni l’osceno calcio dell’asino.

Ai miopi ed agli eunuchi che annaspano dell’inutilità e del danno degli atti di rivolta l’osservazione, l’esperienza la storia, gridano che per essi sono cadute le vecchie idolatrie servili, i gioghi superstiti del pregiudizio e purificata l’aria e dilatato l’ambiente crebbero, alla scuola della rivolta la coscienza, il coraggio, l’audacia, la fede di tutti maturando le rivolte collettive preludio immancabile a tutte le rivoluzioni.

” – La soluzione catastrofica profetizzata da Marx è divenuta un’utopia … La rivoluzione non arriva, non arriverà mai … ”

– E crepi l’atrologo! Ma se rimane vero che la borghesia non rinunzierà mai spontaneamente ai suoi privilegi, che l’antagonismo di interessi che divide la società in due classi non potrà comporsi che sulla distruzione, sulla disparizione delle classi; che la libertà non potrà trionfare se non sulla rovina d’ogni forma di schiavitù e d’autorità, la rivoluzione sociale, violenta, terribile rimane sempre una indeprecabile necessità de domani che nessuna propaganda pacifica e conciliativa varrà mai a scongiurare: e data la necessità occorre che ad essa i paria preparino l’animo, il coraggio e l’armi. Verità che cominciano a comprendere, se noi dobbiamo credere ai deliberati di Brescia, anche i socialisti che furono fino a ieri legalitari e pacifici ostinati: ad impugnarla, nel campo nostro, bisogna essere eunuchi, farabutti e rinnegati!

Ohè?

Eunuchi, farabutti e rinnegati!

Ma quetati! …

Eunuchi, farabutti e rinnegati!

Ma quetati, ma lasciami dire che sono sotto ogni rapporto perfettamente d’accordo con te, che non ho pensato mai, non ho creduto mai, non ho voluto mai farti credere quello che sono venuto leggendoti fin qui ed è …

Ah, è di Pagnacca, il sermone!

– Ma che Pagnacca è di Frank Hirtzel nell’ultimo numero della Questione sociale.

– Menzogna!

– Leggi.

Menzogna! La Questione sociale ha commemorato ieri la Comune Parigina, ha commemorato e glorificato sempre Angiolillo, Bresci, Czolgoz e lamentava (N. 22 sabato 16 gennaio 1904) or sono appena pochi mesi che il 1903 fosse tramontato senza dare al martirologio del proletariato internazionale nemmeno un giustiziere.

Quanto a Frank Hirtzel egli ne ha fatte di peggio. Dopo aver glorificato il furto e canonizzato Parmigiani ha messo alla berlina come legalitari gli anarchici che aderendo all’agitazione Pro Turner avevano dimenticato di“rispondere alla violenza con la violenza.a base di atti individuali e collettivi così come si era fatto in Ispagna, in Italia in Francia ove la reazione bestiale ci ha obbligati alla sommossa momentanea e all’ agitazione violenta permanente” (1).

Frank Hirtzel ha turibolato tutti gli incensi della sua prosa zampillante all’avvocato John Clover che nel Colorado, se ricordate, ha risposto colla carabina all’arbitrio dell’autorità militare mostrando come si fanno rispettare i proprii diritti e come si può subire non accettare una tirannia (2).

Frank Hirtzel agli operai che si beano di arbitrati ha raccomandato, molto rivoluzionaria mente, a non avere pietà dei padroni, a non dimenticarsi che sono una una classe contro un’ altra per sempre irreconciliabile nemica (3); quanto a John Mitchell, ricordo io che s’augurava lo ricaciassero i minatori a pedate tra i borghesi donde è uscito soltanto per seminare zizzania nella classe produttrice. (4)

E chi non si ricorda i suoi appelli agli scioperanti del Colorado perchérinsaviti sappiano opporre la violenza alla violenza (5)? ed i suoi voti perché i sudditti, stufi delle eccentricità e delle voglie spendereccie di Roosevelt, lo mandino una buona volta, per davvero in villegiatura (6)? i suoi voti perché la rivolta del Colorado si estenda ovunque, terribile fiumana di affamati, a tutti atterrare (7)? ed i suoi scongiuri ai dagos perché insorgano (8)? Se li è rimangiati Frank Hirtzel d’un boccone, li ha ripudiati con una frase, rinnegati come uno scambietto? Eh via, che così in fretta non si diventa eunuchi, né farabutti, né rinnegati.

Allora leggi: Questione sociale, anno X, nuova serie, n. 232 – 2 aprile 1904;Polemica, La propaganda anarchica, ecc., ecc., ecc., firmato Frank Hirtzel. Ora ci credi?

– Bisogna pur crederci!

E ne dici?

Oh nulla, non merita il conto d’aggiungere altro.

Beati quelli che si son castrati
Per il regno del cielo!

G. Pimpino

1) Questione sociale, n. 218, 26 dicem. 1903.

2) ibid. n. 221, 16 genn. 1904.

3) ibid. n. 231, 26 marzo 1904.

4) ibid. n. 250, 18 marzo 1904.

5) ibid. n. 227, 27 febb. 1904.

6) ibid. n. 224, 6 febb. 1904.

7) ibid. n. 229, 12 marzo 1904.

8) ibid. n. 225, 13 febb. 1904

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. II, n. 15, 9 aprile 1904, p. 3.


GLI ANARCHICI FANNO IL GIUOCO DELLA BORGHESIA

Chi oserebbe ancora dubitarne? Da Carlo Marx a Guglielmo Liebknecht i quali al congresso di Basilea (Settembre 1869) disseminavano con velenosa insinuazione tra i delegati dell’Internazionale che Michele Bakounine era un agente del governo russo (1), giù, giù, fino a Giorgio Plechanow il fornitore delle forche imperiali, giù fino a Gabriele Deville venduto alla pagnotta, giùfino a Camillo Prampolini denunziatore di Vittorio Pini, giù fino all’ultimo scagnozzo dell’ultima sinagoga legalitaria non v’è socialista che si rispetti e voti il quale, abbandonato sugli scalini dell’Olimpo o lasciato a mezza via della sua corsa alla cuccagna, non abbia vomitato e non vomiti che glianarchici sono fratelli siamesi dei capitalisti (2), che fanno il giuoco della borghesia (3), che servono la causa della reazione (4); che l’ideale anarchico spuntato sulla groppa del manchesterianismo borghese (5), concorda completamente colle tendenze della società capitalistica (6), e chi più ne ha più ne metta.

Gli anarchici fanno il giuoco della borghesia: chi oserebbe ancora dubitarne dopoché l’hanno detto Marx e Liebknecht, Plechanow e Deville, Turati e Prampolini?

La storia, veramente, anche quella scritta .. . un dì da Filippo Turati non ancora onorevole né riformista dell’ordine giolittiano, insinua che Michele Bakounine condannato a morte dopo la rivoluzione di Dresda imprigionato per sette anni nella fortezza di S. Pietro e Paolo, poi deportato in Siberia e spogliato di tutti i suoi beni, poi evaso e rituffato nell’immane corrente dell’Internazionale, travolto dai moti lionesi del 1870 e nel lentativo insurrezionale di Bologna (1874) non visse che nell’azione, non servì che all’ azione, ignorando il lusso e le convenienze pigmee della vita in assoluta abnegazione dell’io e lo saluta maestro tra i socialisti sperimentali e positive(7).

Ma che monta! Turati è rinsavito e non riscriverà l’apologia di Bakounine, un pecca to giovanile: la storia sonnecchia negli scaffali polverosi sacra all’oblio e alla sordina, Marx trionfa e sui sacrileghi che osino ribellarsi alla parola del profeta: anathema sit!

Bakounine è una spia.

La storia recen te, quella di avant’ieri, quella di tuttI l giorni registra insurrezioni e rivolte periodiche di ventri vuoti e di spiriti liberi sulle cui fronti è passato sobillatore il soffio dei tempi nuovi.

Gli anarchici in prima fila, alle barricate d’avamposto propizinno alle primavere sacre della redenzione colle loro giovinezze più pure, col loro sangue migliore, lasciandovi, come a Xerres, sotto la stretta oscena cella garro ta la pelle, lasciando come a Montjuich od a Santo Stefano, tra i tormenti, la carne e il cervello, la ragione e la vita, senza invocare le palme del martirio paghi d’aver dato alla lotta terribile che s’accende ogni giorno più spietata tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi e oppressori, tra proletari e borghesi più che la chiacchera astu ta e vischiosa, più che l’intrigo e la viltà.

Che monta? “Gli anarchici sono i fratelli siamesi dei capitalisti”, l’ha detto Prampolini e sui sacrileghi che osino ribellarsi alla parola del profeta:anathema sit! Allargo, apollaiati sui gradi alti del Circo, girando l’occhio lenone ed il sorriso lusingatore sui vincitori, sui carnefici, sui beccai, trinciando le scomuniche rumorose ed invereconde sulle vittime e l’anatema salariato sugli impulsivi, sui degenerati sui delinquenti della piazza e sui morenti nell’arena, è tutto lo sciame dei furbi pronti a rovesciare sui confessori della loro fede l’abiura cinica, la distinzione alfonsina, la bava degli esorcismi astuti e dei vituperi studiati, pronti a stringere al boia, lì, sui morti insepolti, la destra caina, pronti a stringere sul collo dei vinti superstiti il cilicio delle leggi d’eccezione, delle deportazioni in blocco, dei secoli di galera che faccian tabula rasa degl’indocili i quali sono all’ordine pubblico ed alla circoscrizione elettorale un’insidia e una minaccia perpetua.

Prampolini e Ferri danno alle leggi eccezionali del Crispi il benvenuto; Millerand abbracciando Gallifet ribadisce della sua sanzione socialista le leggi scellerate, Wandervelde vende agli accaparratori i minatori del Belgio, Turati rifiuta a Bresci il suo patrocinio d’avvocato e guaisce sulla tomba d’Umberto l’epicedio servile e copre della sua giornea socialista le prevaricazioni giolittiane, e Gabriele Deville recita in marsina alla regina d’Italia i suoi madrigali cortigiani mentre Paolo Iglesias e Garcia Queiido fanno intorno agli scioperanti catalani il vuoto, il digiuno e l’abbandono.

Che monta? gli anarchici sono fratelli siamesi dei capitalisti, fanno il giuoco della reazione, servono la causa della borghesia. L’han detto Plechanow e Denville, Prampolini e Turati e sui sacrileghi che osino ribellarsi alla parola dei profeti: anathema sit!

Ebbene no! Per una volta tanto se non ci cantano l’osanna ci commiserano.

A Reggio Emilia “l’Associazione del bene economico,” un covo di bottegai, di negrieri, di strozzini, di uccellacci di rapina in lotta, per la conquista del Comune, colle Sezioni del partito socialista avrebbero visto con piacere che gli anarchici attivassero la loro propaganda antielettorale contro i socialisti emiliani, lasciando anzi capire che avrebbero ave d’uopo favorito dai congrui mezzi finanziari una turneé del Gori nel Collegio.

I compagni nostri, che non vanno a scuola di sincerità politica né dal Prampolini né dal Turati, respinta sdegnosamente l’oscena proposta hanno pubblicato un manifesto in cui inchiodano alla gogna i forcaioli turpi del Bene Economico e pur rivendicando intera la loro attitudine di “astensionisti in modo assoluto di qualsiasi elezione che miri alla conquista dei pubblici poteri” hanno scritto al compagno Gori di guardarsi dai tiri ruffiani degli armeggioni e di mettere in quarantena qualsiasi invito potesse eventualmente provenirgli dal collegio di Reggio Emilia.

L’attegiamento franco e sincero dei compagni nostri di Reggio Emilia è superiore ad ogni encomio e noi li felicitiamo di gran cuore: la sua serena obbiettività che non si ispira alle mutabili opportunità dell’ora ma trae la sua forza da maturità e convinzioni e di coscienza non toglie però che nelmomento presente torni a scorno delle coalizioni borghesi a vantaggio della Sezioni socialiste del Reggiano a favore delle quali sposta simpatie feconde e fatalmente efficaci.

Onde è che per una volta tanto i corrispondenti prampoliniani dell’Avanti!illustrando la protesta dei nostri compagni di Reggio trovano che invece di essere i fratelli siamesi dei capitalisti noi ne siamo le vittime!

Per una volta tanto! Ma è facile da questo primo esperimento sondare la moralità, la sincerità e l’onestà della critica che il socialismo pinzochel’o muove contro l’anarchismo rivoluzionario. Noi, i fratelli siamesi dei capitalisti, saremmo ottimi figlioli, santi da incastonare per le nicchie delle sacrestie socialiste se volessimo di quanto in quanto comprendere che è nell’interesse della civiltà e della rivoluzione conservare la diocesi e il pastorale a sua eminenza Camillo Prampolini, la parrocchia, la prebenda e le decime ai suoi abati e parroci e scagnozzi e sacrestani e … andassimo per la sua maggior gloria a votare.

Ma noi vogliamo fare da noi e poiché (senza curarci di approfondire se, contro la nostra volontà, l’attegiamento nostro possa tornare a loro di vantaggio o di danno) persistiamo nella fede e nell’azione che meglio risponde alle nostre aspirazionii emancipatrici, i cugini ripeteranno domani , pur sapendo di servire soltanto alla menzogna, all’infamia ed alla questura, che noi serviamo la reazione, facciamo il giuoco della borghesia e siamo fratelli siamesi dei capitalisti,

Ma la maschera vi va giù, il tempo le toglie l’intonaco di biacca e di carmino, la prima raffica ve la strapperà dal ceffo osceno, gesuiti!

G. Pimpino

1) Memorie de la Federation ]urassienne; pago 84 e 242. Sonvillier, 1873.

2) L’insurrezione e il Partito Socialista; pago 11. Milano, 1899.

3) L’anarchismo; pago 16. Altamura, 1899.

4) Anarchismo e socialismo; pago 92. Milano, 1895.

5) Id. pago 80.

6) Id. pago 75.

7) Filippo Turati nello Sperimentali di Brescia, gennaio-febbraio 1887.

Da Cronaca Sovversiva, a. Il, n. 29, 16 Luglio 1904, p. 1.


ORA, DATECI TORTO!

Il progresso è un ciclone. Nelle sue spire vertIgmose, nei suoi gorghi ululanti trascina , travolge, inghiotte spietato, inesorabile, credenze, programmi ed istituti i quali nella bufera infemal cbe mai non resta perdono la maschera e l’intonaco e l’orpello. L’utopia di avantieri, realtà ieri, è oggi superata, distanziata da aspirazioni, da utopie che saranno domani collo stesso procedimento sommario, colla stessa vertiginosa rapidità sgretolante, polverizzante, disperse.

Ricordo, ventitre anni fa – e con l’eco pare ieri – le fanfare dei cento comizii in cui la voce tonante di Giovanni Bovio e la parola alata di Felice Cavallotti e l’apostrofe garibaldina di Matteo Renato Imbriani e la magnifica eloquenza di Edoardo Pantano urgevano le plebi delle cento città d’Italia alla conquista di quel suffragio universale da cui dovevano avere indulgente sepoltura di placidi tramonti le vecchie forme politiche, da cui doveva assurgere ai culmini dell’irrequieta ed indocile aspirazione mazziniana, al suo antico apostolato di libertà e di redenzione la terza Italia rinata, per virtù inesausta del suo popolo, dai dolori e dalle onte del suo stesso martirio.

Si scopron le tombe – si levano i morti
i martiri nostri – son tutti risorti

Squillavano fanfare e cori per ogni borgo, nei comizi i ondeggianti che un’ interiezione telegrafica di Garibaldi metteva in eruzione rimescolando il sangue in ogni vena plebea, irritando il cannibalismo professionale della polizia regia, scatenando le collere olimpiche della magistratura inamovibile.

Ed era così proprio. Volere, allora il suffragio universale era essere sovversivi, sobillatori dell ‘odio di classe, malfattori e canaglia, su per giù, come l’essere oggi anarchici. Gli arresti arbitrarii , i processi per direttissima, i processoni per cospirazione, la vigilanza speciale piovevano allora fitti come la grandine, come ai bei giorni delle sucessive incarnazioni della reazione Pellousiana.

Domandatene ad Amilcare Cipriani pel quale, proprio in quei giorni, a toglierli di presiedere in Roma il Comizio dei Comizii, fu esumata la celebre accusa d’assassinio che – per quanto estinta dalla prescrizione ventennale – lo mandò in quattro e quattr’otto al bagno di Portolongone.

Dalle clamorose insurrezioni popolari per la conquista dell ‘elettorato non sono passati cbe ventitre anni, meno che un minuto nella storia incessante dell ‘evoluzione, e siamo a questo punto: che del suffragio universale nessuno vuole più.

Lavoratori e proletari avevano dato all ‘agitazione tutta la loro energia, la loro attività, la loro fede, non perché avessero penetrato anch’essi l’enigma metafisico della sovranità nazionale o l’alchimia misteriosa e subdola della composizione dei partiti parlamentari – sorridevano in fondo, scetticamente, e dell’una e dell’altra – ma in realtà perché volevano sub- stanziare di speranze meno diafane e ‘ meno ideali il sentimento di nazionalità che in essi, muratori autentici dell’unità e dell’indipendenza della patria, era la religione superstite dell’ultima rivoluzione italiana: dal suffragio sarebbero venuti il pane, il benessere, la libertà.

Così fu del suffragio elettorale in Italia ed altrove e dovunque.

Il suffragio democratico non fece miglior prova di quello privilegiato e Depretis, Nicotera, Crispi lasciarono in più di un’anima il dubbio se non si stesse meglio quando si stava peggio e se non si dovessero all’epoca delle convenzioni ferroviarie, della Banca Romana, del dazio sul grano e delle leggi eccezionali rimpiangere Minghetti, Serra e Cantelli, il macinato ed i tempi borgiani della Regia. Il suffragio privilegiato aveva anzi sul democratico il vantaggio incontestabile della sincerità. Lo Stato, il governo erano allora senza equivoci, senza attenuazione, lo strumento d’oppressione della minoranza dissanguatrice, erano il palladio impudente, sfrontato del monopolio, erano in tutto il loro orrore manifesto lo Stato, il governo di classe. Col suffragio democratico m.entre in sostanza nulla era mutato (né poteva mutare rimanendo inalterata la costituzione economica del paese), nella forma si veniva giustificando ad ogni sconfitta proletaria la rampogna del savio che ogni popolo ha il governo che si merita.

Non avevamo la scheda? non potevamo fare e disporre a nostro talento? non potevamo colla coalizione delle coscienze proletarie espellere la borghesia dal parlamento e dal governo ed installarci il quarto Stato? Avevamo dunque abdicato ad ogni diritto di dolerci e di ribellarci non ci rimaneva che ubbidire, servire e tacere.

La patria intanto salita alla gloria di grande nazione s’impegnava in alleanze disastrose, profondeva negli armamenti ogni sua risorsa, triplicava le tasse, soffocava col piombo a Conselice, a Gratteri, a Caltavaturo la protesta dell’inedia cenciosa e cresimava ad Adua nel sangue di diecimila proletari la gloria militare dell’Italia libera e una.

Il triste è che mentre noi, forti dell’esperienza storica e dell’invitta nostra costrizione libertaria, anarchica, andavamo pochi, perseguitati e dispersi suscitando tra le folle schiave una cordiale diffidenza contro i nuovi agguati del suffragio, interpreti senza dubbio ortodossi anche della dottrina marxista per cui lo Stato politico non è che l’esponente della struttura economica e non può essere come tale nella società nostra, nella società capitalista, che arma terribile di sfruttamento e di oppressione condannata a sparire il giorno in cui i mezzi di produzione e di scambio oggi fraudolenti e violentemente detenuti da pochi vampiri torneranno alla collettività propietà comune ed indivisibile di tutti, e doversi quindi dare al problema economico la precedenza su quello politico; i sacerdoti del marxismo ufficiale e ravveduto, i rappresentanti del socialismo scientifico ed addomesticato, alla nuova nicchia s’adattarono tutti lieti di lasciare la canaglia piena d’odii inesorabili, piena di cenci, piena d’impeti temerari, lieti di lasciare la piazza piena di responsabilità, di pericoli, di avventure e di trovare in parlamento, nelle argute disquisizioni accademiche uno scampo raffinato contro il tanfo, la volgarità e l’insolenza plebea stemperando quelle meraviglie di leggi sociali che conciliano nell’inganno e nell’equivoco le istituzioni borghesi e le aspirazioni proletarie rinnegano non soltanto la lotta di classe, il marxismo e il socialismo, ma rimodernando, riadattando ai tempi nuovi il regime borghese eternizzano, rinnovandola, la dittatura della classe capitalista sul mansueto gregge degli sfruttati.

Perché a questo è giunto ai giorni nostri – e non da ieri – il partito socialista: che non solo ha subordinato il problema economico a quello politico ma quello relegato tra le reliquie, venerande negli archivi, circoscrive tutta l’opera sua nella sterile lotta elettorale amministrativa e politica con un sacro orrore per tutte le agitazioni, i sussulti, le rivolte operaie che, sia pure pel pane o pel domani, rompono la ragnatela dolorosa delle convenienze, delle transazioni, degli interessi elettorali al medagliettato socialista.

E ‘ d’uopo soggiungere tuttavia che alla cuccagna rabbiosa accesa tra i partiti del suffragio democratico la grande maggioranza dei lavoratori guardò con indifferenza costante, talvolta con sdegno manifesto. Le statistiche periodicamente erette dal Ministero dell’Interno constatano che in Italia non vota mai più che il terzo degli elettori inscritti (1); che in totale sopra trentadue milioni d’abitanti (due milioni d’elettori in media) non votano mai più che seicentomila elettori. Tenete conto della minoranza parlamentare e verrete a questo meraviglioso risultato, che la famosa rappresentanza nazionale, quella che legifera e ci impone le sue leggi non è ben sicura di rappresentare trecentomila elettori, metà della popolazione di Napoli.

Noi siamo le mille miglia lontani, dal desiderio di vestirci delle penne del pavone e di illuderci che astensione così larga e così costante sia frutto della nostra propaganda antiautoritaria. Tolti i preti che non votano in ossequio alnon expedit pontificio, tolti gli anarchici che non votano per coerenza politica e qualche mazziniano superstite che ripudia ogni transazione colla monarchia e la vergogna del giuramento, la maggior parte degli elettori diserta le urne per indifferenza od apatia.

D’accordo; ma l ‘indifferenza, ma l’apatia non sono che una forma larvata della diffidenza e del disprezzo. Se invece che ad esercitare una volta ogni quattro anni, per un minuto, ed a patto di lasciar le cose come stanno e come piace al padrone, i cittadini elettori fossero chiamati, magari tutti i giorni, a ritirare alla loro sezione una pagnotta fresca o un buon paio di fangose a doppia suola, le sezioni elettorali rigurgiterebbero da mane a sera.

Si capisce: i cittadini elettori – ma soprattutto affamati e scalzi – ubbidirebbero ad un bisogno, vigilerebbero un interesse. Questo bisogno della sovranità, quest’interesse dell’elettorato i nostri lavoratori non sentono e non tengono nel conto di una pagnotta o di un paio di scarpe.

Può darsi che l’anima e la funzione dello Stato sfuggano alla loro tarda indagine ma essi sentono in ogni spasimo della vita quotidiana e nella tradizione della loro specie che di lì san sempre venuti le catene, la miseria, il saccheggio, la corveé, l’imposta e la coscrizione, che di li non può venir la salute. E non votano, non infondono sangue nelle vene dello Stato, rivelato in tutta la sua mostruosità dalla critica moderna e dalla propaganda libertaria.

Con noi essi anemizzano lo Stato .

Lassù se ne inquietano. Essi pensano fin d ‘ora, i furbi, alla miseria vana e fragile del loro scettro e del loro dominio il giorno in cui i comizii deserti e le urne desolate non raccoglieranno più che il verbo dei latifondisti, dei monopolizzatori dell’industria e dei banditi della borsa e il governo apparirà qual’è – meno evidentemente – anche oggi, quale fu, quale sarà sempre, il manutengolo od il gendarme dei grandi ladri in pennacchio, in commenda o in guanti.

Se ne inquietano; inquieta sempre un nemico che operi fuori del piano preveduto, ‘ fuori dal raggio d’azione da noi scelto e in cui vorremmo costringerlo, lontano dalla nostra vigilanza e dal nostro controllo. A quale terribile arma confiderà la sua causa il proletario disilluso dal suffragio?

Se ne inquietano e corrono ai ripari dell’estrema salute, al voto obbligatorio se è vero quanto telegrafano all’ Araldo da Roma in data del 16 Agosto corrente: “Si assicura che tra alcuni ministri sia stata ventilata l’idea di proporre alla Camera (alla sua riapertura) un disegno sul voto obbligatorio.

Però si aggiunge che l’ono Giolitti per diverse ragioni non ritiene opportuno che il governo faccia simile proposta.

Si sarebbe perciò deciso di far presentare il progetto d’iniziativa parlamentare; si vuole anzi che esso porterebbe la firma di molti deputati di parecchie regioni, ma prevalentemente napoletani.

Il Governo se ne rimetterebbe per ora alla Camera”.

Vent’anni fa eran l’arresto e la persecuzione politica a chi reclamava un po’ vibratamente il diritto di sciegliersi i propri padroni, tra qualche settimana la persecuzione, l’arresto, l’ammenda, l’incapacità civile colpiranno colui che stanco di cambiar basto non voterà più, non vorrà più la responsabilità né la vergogna d’avere da se stesso posto il collo al giogo e le reni alle nerbate.

Il mondo galoppa, nessuna utopia è temeraria, il regno della verità, della giustizia, della liberazione sorride nell’aurora del domani dell’uomo redento dall’esperienza e dalla ragione.

Dirà almeno qualche cosa all’eterno giobbe proletario il proposito ministeriale del voto obbligatorio? avrà forza di strappare dai suoi occhi ostinatamente chiusi alla luce le bende impenetrabili dell’eterno inganno?

Predicavano ieri i cattivi pastori che l’era delle insurrezioni e delle rivolte armate era chiusa per sempre; che è puerile sognare ai nostri giorni per le città rettilinee a questi lumi di Maxim a tiro rapido l’ingenua coreografia di un vespro; proletari che i rivoluzionari del ventunesimo secolo non potevano essere né trogloditi, né bevitori di sangue, né settembrizzatori feroci; che la rivoluzione si fa nella scuola e nel parlamento e l’insurrezione col voto, arma civile di difesa e di liberazione.

L’esperimento ha mostrato che il voto è una burla, che l’opera legislativa degli onorevoli socialisti è un’irrisione a questo ventennio di suffragio democratico ha confermato la verità che da mezzo secolo gli anarchici diffondono tra il popolo; la borghesia monarchica ci ha elargito il voto perché era ben sicura che non avremmo con esso spostato d’una linea il rapporto d’interessi in forza .del quale essa detiene privilegiatamente ogni mezzo di produzione e di scambio, in forza della quale essa impone a noi gli sfruttati, i diseredati, i reietti la sua dittatura parassitaria e assassina. Il suo progetto ministeriale le riconferma la rettitudine ed il valore della nostra critica luminosamente.

Come ci imposero violentemente il contributo del sangue e levarono colla coscrizione tra i senza pane, i senza patria l’esercito che vigila a difesa dei loro monopoli di classe, i capitalisti, i vamp11’1 Cl Impongono oggi colla violenza e colla coercizione di salvare col voto le istituzioni che storia, ragione e cilviltà hanno irrimisibilmente condannato.

Predichino i furbi e credano gli eunuchi che la borghesia ci vuole, emancipare a forza col voto e si facciano eleggere e votino .

Noi che le fonti della nostra miseria e della nostra schiavitù ritroviamo immutate nella propietà individuale e nell’autorità che il suffragio elettorale consolida non distrugge, noi non voteremo per minacci e come per lusinghe, non votammo mai, ma continueremo l’opera nostra ribelle chiamando gli sfruttati alla riscossa, alla rivoluzione sociale che espropriata la borghesia instaurerà sulle rovine del privilegio economico, la società dei liberi e dei felici.

Contro il diritto illuminato la frode obliqua ha dovuto tosto o tardi disarmare.

Il domani è per noi.

1) E’ la stessa proporzione media in Francia, in Svizzera, in Spagna.

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. II, n. 36, 3 settembre 1904, p. 1 e 2.


SOCIALISTI ED ANARCHICI?

Il prof. Teofilo Petriella di Newark, imbizzito per lo stellone di cronaca locale in cui abbiamo cercato di rendere fedelmente l’impressione lasciata nel pubblico dalla conferenza che egli tenne qui la sera dell’8 novembre u.s. al Carpenter Hall, si scaglia dall’Avanti, che egli dirige laggiù, due colonne di contumelie bestiali:

.. . Gli anarchici non hanno risposto né quella sera né oggi ad una delle mie domande: cioè come faranno essi gli scannapecore che insegnano come distruggere l’attuale ordinamento sociale e crearne UIW nuovo e migliore …

Voi.. . signori anarchici siete uomini in istato patologico, siete dei bugiardi, siete, come vi direbbe un autore moderno, impasti di debolezze e di ipocrisie. Voi siete infinitamente da meno, e meno rispettabili pensatori, degli uomini che hanno un principio religioso e a quello coordinano le loro azioni. Voi siete lo scorno del libero pensiero.

Coloro che negano la verità per farsi belli sono come coloro che negano la verità per farsi ricchi; gli tini e gli altri possono essere deifanatici e dei ladri, ma mai e poi mai dei rivoluzionari coscienti.

La ragione di tanto vituperio?

Abbiamo osato scrivere che il professor Teofilo Petriella non ha alcuno dei doni per cui si trasfonde in altri la verità in cui si crede; che il suo accento fortemente meridionale gli toglie anche di porsi in comunione di sentimenti e di simpatie coi suoi ascoltatori non napoletani che lo comprendono a stento; che la sua discorsa su Capitalismo e Socialismo parve povera cosa; che infine in quella sua conferenza, ordinata da lungo tempo in vista dell’agitazione elettorale, il capitalismo e il socialismo non erano che un pretesto a chiarire perché, secondo Petriella, dovrebbero i lavoratori votare per i candidati socialisti Debs e Hamford; niente più.

Al giudizio – che se è nostro riflette però l’impressione di molti ascoltatori, avversari nostri anche, del Petriella – si potranno rimproverare la sincerità e la crudezza, due peccati poco veniali, ma che esso traduca in espressioni spregevoli volgarità ed astii settari non oserebbe affermare alcuno che sappia leggere e meno che tutti il Petriella; il quale per essere professore di molte cose doveva mostrare, in questo primo incontro tanta educazione almeno quanta, discutendo con lui, abbiamo mostrato noi che egli chiama col suo non invidiabile gergo da Basso Porto, scannapecore, bugiardi, fanatici, vergogna del libero pensiero e magari ladri per sopramercato.

Le villanie del prof. Petriella sono dunque gratuite e ci conferirebbero come tali ampio diritto a lasciarlo cuocere nella sua broda fegatosa se tra i guaiti del suo amor proprio offeso non facesse capolino un apparente desiderio di riprendere sul giornale il contradditorio ingaggiato qui la sera dell’8 novembre scorso e l’attesa di avere da noi a certi suoi quesiti la risposta che a noi pare d’aver data esauriente e risolutiva e che egli – secondo chi scrive – avrebbe indarno sollecitato da noi.

Noi sappiamo sacrificare le piccole vanità e gli sdegni meschini dell’amor proprio all’amore dell’idea generosa cui paghiamo da un quarto di secolo, sereni, il tributo delle nostre migliori e più fervide energie; siamo quindi disposti a compatire al professor Petriella la miseria – che non ci tange – dei suoi vituperii sbracati ed a rivolgergli formale e cordiale invito a riprendere in pubblico comizio, in località da eleggersi di comune accordo e sotto reciproche riserve, la discussione della tesi da me vittoriosamente e senza sfogo e senza merito mio oppostogli la sera dell’8 novembre u.s. che da un quarto di secolo, cioé, il partito socialista è degenerato sotto la rapida influeriza dell’azione parlamentare in partito conservatore rinnegando lotta di classe e rivoluzione; a soddisfare, nel limite delle mie forze anche ad altre sue impazienze sul modo con cui noi – gli scannapecore – che insegniamo a distruggere l’attuale ordinamento sociale, pensiamo a ricostruirne uno nuovo migliore; siamo, se gli torna più facile e più comodo, dispostissimi a riprendere in una serie alterna di articoli polemici quella discussione non esigendo che una guarantigia ed un patto: che il professor Petriella abbia per gli avversari lo stesso rispetto che gli avversari hanno per lui.

Potremmo allora – se proprio ci tiene – vantarci di avere all’idea in cui rispettivamente crediamo, reso, modesto servigio, il contributo degli studi, dell’osservazione, dell’esperienza della fede nostra; potremmo allora parlare di anarchia e di socialismo, di anarchici e di socialisti.

Ora no: contro un giornale che ha esercitato, senza pressione, in incontestabile diritto di critica il Petriella risponde, scherno davvero d’ogni libertà di pensiero e di giudizio, con uno stupido rosario d’insane e gratuite villanie con cui anarchia e socialismo non hanno nulla proprio da spartire.

Ci sarebbe facile rendegli pan per focaccia, insudiciarlo, scoiarlo, su bissarlo di vituperii sguaiati e sboccati; preferiamo, finché lo riteniamo avversario in buona fede, redimerlo dagli errori, dai pregiudizii, dai disinganni che l’affligono e lo minacciano : è pitl conforme alle nostre aspirazioni ed ai nostri gusti anche se non è nei gusti e nel desiderio del becerume che delle ultime scempiaggini dell’ Avanti! si compiace, ingrassa e ride.

La risposta del Petriella ci dirà se abbiamo avuto torto di pigliarlo sul serio.

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. II, n. 49, 3 dicembre 1904, p. 4.


LA COTENNA, VUOLE!

Il con traddi tori o che il professor Teofilo Petriella ha avuto la somma sventura di incontrare a Barre sui primi di Novembre scorso con qualche compagno di fede che conciò per le feste il suo radicalismo odagroso, con qualche anarchico che mandò dinoccolato e smidollato all’ambulanza il suo rivoluzionalismo elettorale ed accattone, ha cacciato in corpo al povero professore – (che pur si sente e si dice, modestamente, da sé, uno dei migliori socialisti degli Stati Uniti – ) la terzana di tutte le fobie più morbose.

I nostri lettori ricordano i vituperii bestiali che l’Avanti! del 28 novembre scorso egli scagliava contro gli anarchici in genere e contro gli scrittori diCronaca Sovversiva tanto più volentieri che questi ultimi, irriverenti! avevano osato trovar povera cosa la sua macaronica zuppificazione su “Capitalismo e Socialismo”.

Non maraviglieranno quindi se al becero torpiloquio del penultimo numero l’Avanti! di Newar viene ora aggiungendo nell’ultimo dello Dicembre queste catapulte irresistibili di gentilezza d’argomentazione:

“La rivoluzione violenta oggi non può essere voluta che dagli anarchici”, da quei burloni che predicano l’odio di classe, ‘falsando criminalmente la lotta di classe’? …

“l’astensione dal voto è inerzia e nell’inerzia c’è la morte … ”

“la violenza offre solamente pretesto ai governi capitalisti per snervarci e salassarci … ”

“la rivoluzione sanguinosa desiderata dalla microcefalia degli anarchiC1…”

I lettori, quelli che hanno l’ingenua abitudine di ragionare troveranno che a corto di argomenti e di ragioni, il Petriella non oppone al pensiero anarchico, alla critica anarchica, all’aspirazione anarchica che qualche aforisma molto problematico e molto presuntuoso, che qualche scempiaggine superlativamente villana; ma i lettori sono ingenui nella loro esigenza quanto almeno è sdegnoso il Petriella nel suo sussiego.

Diancine! Non bisogna dimenticare mai che il Petriella è professore e chi si dice da sé, modestamente, uno dei migliori oratori socialisti degli Stati Uniti. Volete che discenda dal suo Olimpo a ragionare di burle e di burloni quali sono la rivoluzione sociale, l’anarchia e gli anarchici?

– Ma Bovio… .

– Bovio scrisse un dì che anarchico è il pensiero e verso l’anarchia s’incammina la storia, ma Bovio è un burlone microcefalo e Petriella, l’illustre Prof. Petriella si guarda bene dallo sciupare il suo tempo a compulsarlo.

– Ma Barbato …

– Ma Barbato scrisse al Turati, all’indomani di Berra: ” Interroga la “storia senza desideri e vedrai e converrai con me che non solo in Italia “semifeudale ma anche nelle nazioni più progredite sono destinati ancora “per un pezzo come motori di progresso i mezzi bestiali delle età “passate, cioè le insurrezioni armate” . Barbato proclamò dinnanzi i tribunali giberna che ” né i supremi bisogni né i risentimenti devono offuscare lo “spirito di un vero socialista al punto al punto di fargli dimenticare che … la “concezione anarchica racchiude una parte di quell’ideale che il socialismo “si sforza di rappresentare con varie formule … ”

Ed aggiungeva: “non credo che il fenomeno delle insurrezioni a mano “armata possa evitarsi nella più grande e più umana rivoluzioni della mia “specie”.

Ma Barbato è un burlone microcefalo che falsa criminalmente la lotta do classe e Petriella, l’illustre professore Petriella, si vergognerebbe di ragionare con lui!

– Ma Tolstoi …

– Ma Tolstoi ha scritto la settimana scorsa che l’agitazione dei zemstvos per la costituzione e per quanto v’ha di fallace come quella che indurrà nel popolo l’idea che il miglioramento sociale possa dipendere dalla forma politica dello Stato: ma Tolstoi è un microcefalo astensionista e burlone e Petri ella se ne ride e se ne frega

– Ma Marx …

– Ma Marx e Engels chiudevano il loro manifesto comunista proclamando che “i comunisti sdegnano di nascondere i loro principii e i loro “scopi e dichiarano apertamente che il loro scopo non potrà essere raggiun “to che colla caduta VIOLENTA di tutti gli ordinamenti sociali finora “esistiti”. Ma si sa da tutti che Marx ed Engels erano dei burloni, dei rivoluzionari microcefali, degli scannapecore, che colla loro violenza offrivano pretesto soltanto ai governi di snervarci e di salassarci; figuratevi se Il prof. Petriella, l’illustre prof. Petri ella, si pasce di queste ubbie pericolose.

Il prof. Petriella è positivo, scomunica la Federazione Socialista Italiana na che osa vivere fuori del dogma e del decalogo, istituisce la sacra Congregazione dell’Indice per Caminita che osa pigliare la parola in contradditorio di lui, scomunica il Proletario che si ravvede della tradizione anarcofagia; e, contro gli anarchici, dilaga con tutti i furori delle idrofobe sgrammaticature, con tutta la rabbia sbracata del suo dizionario mascalzone.

Anarchia, rivoluzione sociale, socialismo rivoluzionario o riformista?

Storie, storie, storie!

Non c’è che il socialismo scientifico, positivo ed avveduto del voto delle elezioni, della propaganda elettorale, in cui anche i professori analfabeti sono sicuri d’afferrare, se non la medaglietta o la probenda, la cotenna almeno dei provvidi sbuffi che arrotondano la pancia agli ideali della sesta giornata.

La rivoluzione, l’insurrezione, la barricata?

Aberrazioni di microcefali, egli vuole la cotenna, il Professore, la cotenna ed ha ragione, ma il suo è socialismo da domenicani o da salumai!

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. II, n. 50, 10 dicembre 1904, p. 4.

FAREMO AMMENDA

Ai latrati smargiassoni del professor Teofilo Petriella che trattava gli anarchici di scannapecore, fanatici, briganti, ladri e scorno del libero pensiero la Cronaca Sovversiva, senza rilevarne le mascalzonate guappesche, proponeva serenamente di riprendere per iscritto od in pubblici contradditorii la discussione iniziata ed interrotta a Barre la sera dell’8 Novembre u.s.

La Cronaca Sovversiva ha pigliato l’illustre professor Petriella sul serio e ne sconta il fio.

L’illustre professore dopo aver dato libero sfogo alle contumelie anche nel numero successivo dell’ Avanti! come abbiamo del resto rilevato nell’ultimo numero della Cronaca, alla nostra serena proposta di discussione e di polemica risponde col più eloquente e il più ostinato dei silenzi.

La presunzione temeraria con cui, covando il misoneismo settario di quattro accoliti cialtroni, si fanno passare sottogamba, guappescamente, con quattro sconcie trivialità, anarchia ed anarchici, torna all’Illustre Professore che si dice da sé, modestamente, uno dei migliori oratori italiani degli Stati . Uniti, molto più comoda che non il cimento di una libera discussione d’idee e di metodi.

L’illustre professore non parla più, non ha più pel suo socialism pinzochero, bottegaio, palancaio né una vibrazione, né uno sdegno, né una cartuccia.

La Cronaca Sovversiva pigliandolo sul serio ha avuto torto marcio.

Vedrete però che all’ultima ritorsione vivace con cui gli abbiamo servito in pillole amarissime Bovio e Tolsoi e Marx (che l’illustre professore ignora candidamente) scoprendo le losche batterie dei suoi calcoli elettorali salariati, il prof. Petriella, l’illustre prof. Petriella, che si battezza modestamente de sé uno dei migliori oratori degli Stati Uniti, risponderà colla valanga sconcie delle turpidini consuete, con tutta la sua becera rabbia di cafone circelliano o eli sparafucile salariato.

Discutere, ragionare, opporre fatto a fatto, argomento ad argomento, entusiasmo ad entusiasmo non è di cinici né di anslfabeti; ed il sedicente professor Petriella se ne scansa per aggredire i turpiloquii bordellieri, per avvolgere di vituperi latrinai, per accoltellare le sordide insinuazioni ribalde l’esecrando canagliume anarchico tra il plauso dei ruffiani, dei bottegai e dei pusilli.

L’arcimilionario gioielliere Strobell, patrono unico dell’Avanti! Petrilliano conosce i suoi bravi e sa meritarne l’eroismo.

Soltanto per questa volta l’osso è duro!

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. II, n. 51, 17 dicembre 1904, p. 4.


AL PROFESSOR TEOFILO PETRIELLA

Poiché il prof. Petriella non ha difficoltà ad accettare il crJntradditorio propostogli e lascia a noi l’incarico di fissare la data e la località dell’incontro, lo preveniamo che, salvo controproposte, riterremo per domenica 7 gennaio p.v. una delle grandi sale pubbliche di Barre.

Il Prof. Petriella esige come condizione e garanzia la presenza di uno stenografo ufficiale. Noi non ci teniamo punto, se egli vi tiene se lo provveda e se lo paghi.

Provvederemo dal canto nostro alle spese di pubblicità e affitto del locale.

G. Pimpino

BARO!

Il Prof. Teofilo Petriella ha delle curiose ambizioni e dei metodi polemici anche più curiosi. Egli non ama soltanto dirsi, modestamente, da sé, uno dei migliori oratori degli Stati Uniti, ma si proclama anche con macerato senso di convinzione il continuatore dell’opera, indovinate mò di chi? di Giacinto Menotti Serrati Pagnacca.

Coloro che di Pagnacca sanno vita e miracoli a Marsiglia, a Losanna, a New York, a Barre troveranno che il direttore dell’Avanti! di Newark ha dei gusti originali; ma essendo trito e ritrito che de guestibus non es disputandum, non li discuteremo noi che, in fondo in fondo, non troviamo né esagerata né temeraria l’ambizione dell’illustre Professore.

Anzi! i suoi primi scampoli polemici, messi a riscontro con la prosa latrinaia del suo predecassore, finiscono per fondersi in una così identica volgarità bordelliera da non parere più che la membrana da cui i due fratelli siamesi sono l’uno all’altro cuciti col filo doppio della trivialità e del raggiro.

Gli ultimi documenti polemici tradiscono nella realtà l ‘illusione.

Nell’Avanti! del 31 Dicembre ultimo, ripudiando per sé e pel Socialist Party il qualificativo di riformista affibbiatogli dal Proletario di Philadelphia, Teofilo Petriella afferma che il suo socialismo così come emana dagli articoli regolarmente apparsi sul suo giornale è tutta una cosa col socialismo preconizzato dal Ferri nei suoi articoli sul metodo rivoluzionario e più precisamente ai criteri dal Ferri in proposito espressi nel suo Socialismo del 25 maggio 1902.

” … La soluzione catastrofica (nel senso che si passi dal regime borghese “al regime socialista per un colpo di … eruzione vulcanica) è veramente “insostenibile, e forse Marx non l’ha mai affermata in questo senso: e, ad “ogni modo, quell’ipotesi non è coerente alla dottrina marxista, che Marx “stesso chiamò evoluzione (nei mezzi) rivoluzionaria (nello scopo) … “.

E aggiunge:

” … Del resto, quanto al metodo della conquista dei pubblici poteri (che è formidabilmente vero ed efficace), evidentemente, per una parte, non ci sarebbe bisogno di arrivare proprio alla metà più uno per vedere sconquassata la baracca capitalista; s’immagini, per esempio, che cosa sarebbe Montecitorio se di 508 deputati, anche solo 150 fossero socialisti. E d’altra parte non è supponibile – e la storia non ci consente di sperarlo, per quanto sia più augurabile e desiderato da noi – che la borghesia capitalista e latifondista ci lascerà arrivare pacificamente alla metà più uno senza ricadere, risperata ratio nella utopia reazionaria delle repressioni violente, che inevitabilmente determinerebbero allora delle controreazioni di violenza collettiva da parte del proletariato. Dipenderà dun que soltanto dal contegno della classe dominante, in ciascun paese, di fronte a questo elevarsi disciplinato del proletariato socialista, l’arrivare alla fondamentale trasformazione della società – con la sostituzione graduale della proprietà collettiva alla proprietà privata – con o senza l’uso delle violenze collettive …”

La predilezione del Prof. Petriella non fa una grinza. Egli ha il diritto di scegliersi, poiché nel suo sacco non ha nulla, il socialismo che più gli torna comodo e noi ci guarderemo bene da rimproverargli il suo programma rivoluzionario-riformista.

Ma … c’è un ma. Il Petriella firma l’articolo: Tanto per intenderei, con unp.t. che vorrebbe dire come qualmente l’articolo sia suo, di lui Petriella, e del Ferri soltanto il periodo virgolato e per la maggior parte in grassetto che comincia con le parole: “La soluzione catastrofica” e si chiude con le parole: “della rivoluzione nello scopo”.

Ebbene non è così. Tutto l’articolo dal periodo suaccennato fino alla firma del Petriella è tutto di Enrico Ferri anche se il Prof. Petriella non lo virgola, anche se il Proffl Petriella, all’onesto scopo di gabellarlo per suo, gli pone sotto il suo modesto e minuscolo p.t.

Ora, tanto per intenderei, non sarebbe male che l’illustre e Praf. Petriella invece di affermare che il suo socialismo è quello di Enrico Ferri rettificando correggesse che il socialismo di Enrico Ferri è … suo, ora che glielo ruba boccon bocconi.

Ma v’ha di meglio. L’illustre Prof. Petriella bara al giuoco e al periodo del Ferri sulla soluzione catastrofica toglie semplicemente, vedete un pò sincerità di polemista! la conclusione perché il Ferri escludendo che si possa passare dal regime borghese a quello socialista con un colpo di eruzione vulcanica riconosce che NON SI POSSONO ESCLUDERE A PRIORI DELLE PARZIALI VIOLENZE COLLETTIVE PIU’ O MENO CATASTROFICHE IN QUESTO O IN QUEL PAESE COME CONTRACCOLPO DELLE VIOLENZE REAZIONARIE.

L’ammettere le violenze collettive più o meno catastrofiche darebbe ragione sotto più di un aspetto alla concezione anarchica della soluzione proletaria, darebbe nelle gambe al riformismo mangiamoccoli che il Prof. Petriella sbricciola agli ignoranti del New Jersey, e l’egregio professore si salva dalla figura barbina e dall’obbligo dell’onestà castrando il pensiero del Ferri, falsandolo nelle sue linee essenziali, impugnando la verità conosciuta, burlandosi degli avversari e dei lettori.

Dicono che il cardinale Richelieu sorpreso un giorno a barare a carte rispondesse sorridendo che contro la “deveine” aveva cercato le “moyen de corriger la fortune”. Il Professor Petriella chiama invece questo suo metodo polemico seguire le orme del suo predecessore Serrati.

E’ lo stesso, ma, italiano, questo è malandrinaggio e del genuino.

El Vece.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 1, 7 gennaio 1905, p. 3 e 4.

SE SQUAJA!

Quasi quasi è meglio fuggir!
Ferravilla o … Petriella

Alle sudicierie rabbiose vomitate dal Prof. Teofilo Petri ella contro l’anarchia e gli anarhici avevamo ingenuamente contrapposto l’offerta di un contraddittorio in località da eleggersi, sotto reciprohe riserve, di comune accordo; contraddittorio in cui dovevasi, se non esaurire, continuare la discussione ingaggiatasi qui la sera dell’8 Novembre 1904 e risolta si in un mortificante disastro per l’illustre Professore Teofilo Petriella che si dice, modestamente, da sé, uno dei migliori oratori degli Stati Uniti.

Dopo avervi pensato su un paio di settimane, l’illustre Professore dichiaravasi pronto al contraddittorio e colla munificienza di un sovrano che vi accordi con lettere patenti un privilegio od una baronia, abbandonava all’umile sottoscritto la preferenza nella proposta del luogo, tempo, ecc. Esigeva soltanto la presenza di uno stenografo.

Eliminata, per esplicita rinunzia del Prof. Petriella, ogni discussione circa il luogo e la data del convegno, avevamo fissato il contraddittorio per Domenica 7 corr. Gennaio, in Barre.

Le ragioni della scelta sono ovvie: qui era cominciata la discussione, qui era assicurato il concorso di quanti avevano presenziato alle prime schermaglie; qui la colonia socialista è certo più numerosa che in qualunque altra località degli Stati Uniti, qui il contingente anarchico l’eguaglia se non la supera di numero. Colle maggiori garanzie di controllo per le due parti si avrebbe avuto qui un concorso di pubblico che altrove è utopia sperare, senza aggiungere che le discussioni tra anarchici e socialisti hanno qui – e può farne fede lo stesso Petriella – una lunga tradizione di tolleranza e di cortesia che interruppe soltanto la fraudolenta intrusione nel movimento politico locale di quel turpe sparafucile che risponde al nome di G. M. Pagnacca Serrati.

Il Petriella avendo da canto suo, spontaneamente, rinunziato ad ogni preferenza circa il luogo e la data del convegno s’era preclusa ogni via a rifiutare. Egli tuttavia si rifiuta. Accampando ora che le spese di viaggio sono enormi, protestando ora che un contraddittorio in Barre come in ogni altra città del Vermont non avrebbe efficacia, affermando ora temerariamente che si avrebbe un auditorio scarso e settario, si rifiuta, dopo quanto è successo, di venire a Barre.

Dopo quanto è successo?

Ma che cos’è successo che possa interessare in contraddittorio? che sposti le ragioni per cui nell’utilità di quel contraddittorio si era concordemente covenuto? per cui la sede di Barre diventa di punto in bianco inopportuna ed il Prof. Petriella debba comicamente rimangiarsi le preferenze rinunziate all’avversario?

L’illustre Professore farebbe bene ad essere meno misterioso, non per noi che di queste prudenti gherminelle conosciamo il filo e la trama, ma pel buon pubblico dei compagni che traducendo in linguaggio povero lecapziose stiracchiature dell’illustre Professore, che si dice modestamente dasé, uno dei migliori oratori degli Stati Uniti, insinua che egli se squaja.

Potremo allora riprendere in esame le sue proposte di… rinvio ad altra sede e vedere di quale soluzione siamo suscettibbili.

Dobbiamo per ora !imitarci a prendere atto che il Professore Petriella è sempre pronto ad … al alzar di tacco.

Ma non è una delusione: ce lo aspettavamo.

G. Pimpino

N.B. Rimane inteso che noi manteniamo ferma la data del 7 corrente del contraddittorio col Petriella in Barre. E per eccesso di cortesia e per togliere ogni pretesto a cavilli ed a scuse ci terremo a disposizione dell’avversario anche Domenica 15 corro

G. P.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 1, 7 gennaio 1905, p. 4.

SQUAIATO!

L’illustre Professore Teofilo Petriella che corregge Ferri, ne scrocca interi periodi e si proclama modestamente da sé uno dei migliori oratori degli Stati Uniti, si è squagliato e si ricusa al contraddittorio che noi gli abbiamo offerto e che egli aveva fin qui fatte le mostre di accettare.

Le scuse che mendica ORA, al render dei conti, sono un poema d’amenità.

I suoi padroni non gli danno il permesso domenicale, non ha quattrini pel viaggio, non vuole che si rinnovino qui i luttuosi incidenti dell’ottobre 1903, non … e a infilare il rosario dei proibitivi, per cui i lavoratori di Barre non riudiranno la voce dell’illustre Professore ci vorrebbe una settimana.

E sono così seri che lo stesso Petriella non vi ha pensato mai prima d’ora, neppure quando al nostro invito rispondeva con manifesta jattanza abbandonandoci la scelta del luogo e della data del contraddittorio.

L’illustre Professore che corregge Ferri e ne scrocca gli scritti e si proclama da sé uno dei migliori oratori degli Stati Uniti non è dunque che un cialtrone infingardo, in cui la presunzione stupidamente boriosa è superata soltanto dalla ignoranza sesquipedale, piramidale, incurabile.

Lo vedremo anche meglio al prossimo numero.

L’abbandoniamo per ora alla compassione del pubblico ed alle condo. glianze del suo milionario patrono Mr. Suobel.

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 4, 28 gennaio 1905, p. 4.

CANCHERO!

I lettori ricordano senza alcun dubbio il “Comunicato” con cui alcuni anarchici di New London – impressionati dalla voce che Gennaro Foschini di Providence stesse elaborando un trattato di alleanza coi socialisti di quella Sezione e dalla voce più grave che egli invitasse, con tali intenti, I compagni a tagliare i cantoni dell’anarchia – lo invitavano per amore di verità e di discussione a dire apertamente l’animo suo.

Ora Gennaro Foschini indirizza da Providence ai popoli un proclama che ha una delizia di titolo: La verità non può nuocere! ma che in fondo è soltanto una meraviglia di acrobatismo equivoco ed alla verità uno sciagurato e continuo oltraggio.

Le domande che alcuni anarchici di New London – e tra i migliori – rivolgono a Gennaro Foschini sono precise e specifiche: fornica egli sì o no ai socialisti di quella Sezione? Ha, sì o no, cercato di suggestionare i compagni di New London a smussare gli angoli dell’anarchismo?

Tutta la questione è lì ed è ben semplice ed anche lecita. Gennaro Foschini è padronissimo di dar un calcio all’incomodo ideale di ieri e di assumere l’attegiamento che più torni ai suoi calcoli, ai suoi capricci, alle sue debolezze di campanile, e nessuno oserebbe domandargliene conto, ma quando si invitano i compagni a smussare gli angoli del!’ anarchismobisogna – a meno di credersi un Mahdì onnipotente tra i fedeli – dar conto ai compagni delle ragioni e delle cause della suggestione.

Il Foschini invece si contenta di menar il can per l’aia a confondere dottrine e partiti, e sfondare porte aperte, a dimostrarci, vedete un pò la novità! che l’anarchismo è una scuola del socialismo come se ben avanti i suoi otto anni di predicazione clandestina e contraddittoria i compagni italiani d’America non potessero dal 1895, dalla vigilia cioè del Congresso Socialista di Londra che la questione è esaurita, teoricamente e praticamente.

Teoricamente rimase incontestato – e la contestazione non era stata mai veramente né, seria né sincera – che il socialismo insieme dei sistemi sociali in cui i mezzi di produzione sono socializza ti ha col comunismo un’identità generica di aspirazioni lontane. Ma nessuno ha dimenticato che, in pratica, ad elevarsi contro questa comunione d’aspirazioni furono proprio i nuovi alleati di Foschini, i socialisti parlamentari che il 28 Luglio 1896, riconfermando la famosa mozione di Zurigo bandirono dal Congresso Socialista di Londra quanti non recitavano in ginocchio il loro credo devoto alla lotta parlamentare ed alla conquista dei pubblici poteri.

L’anarchia, abbaiava l’Hyndemann il pontefice massimo del socialismo inglese, è disordine e non può trovar posto al nostro congresso! ed i socialisti di 18 nazionalità contro 2 acclamavano all’ostracismo bandito contro i libertarii dai caccialepri del socialismo internazionale e baciapile.

Ed il veto dogmatico e pretesco si rinnovella e si riconsacra periodicamente ad ogni congresso.

E’ per questo che il Foschini ritiene ora necessario smussare gli angoli dell’ anarchismo?

Il fatto è questo : che malgrado una generica comunanza di aspirazioni vi è tra socialisti e collettivisti (riformisti e rivoluzionari i) e comunisti anarchici un dissidio fondamentale, specifico di finalità e di metodi.

Ma rifaremo ad uso e consumo del Foschini – che ha bisogno di non comprendere – una critica che è stata fatta le mille volte e che ogni più modesto compagno sa fare da sé.

Non che il dissidio, profondo e diffuso, non si possa superare con una capriola, lo comprende anche il Foschini il quale vorrebbe lasciar credere che non è stato lui a smussare gli angoli dell ‘anarr.hismo, ma sono stati invece i socialisti a diventar anarchici, a passar il rubicone. E, se non ridete, vi offrirò anche gli elementi da cui ha tratto il Foschini la grottesca deduzione.

L’Avanti! della domenica raccomanda la lettura delle Memorie del Kropotkine; l’Avanguardia socialista fa una carica a fondo contro le esagerazioni parlamentari dei riformisti e … presenta, ad ogni collegio vacante, la candidatura dei suoi redattori Labriola, Lazzari, Mocchi, dunque … conchiude il Foschini, è certo che l’organizzazione socialista ha abbracciato le nostre idee e noi dobbiamo smussare gli angoli dell’anarchismo e lavorar d’accordo!!!

Francamente, si può essere più citrulli? Ora alle bugie:

Il Foschini nega di aver preconizzato l’alleanza coi socialisti di Providence, d’aver consigliato ai compagni di New London di smussare gli angoli dell’anarchismo.

Smentisca ora se può il Foschini che questa non Sia, lettera per lettera, tutta roba sua:

“Sì, i miei amici socialisti vanno convincendosi che la rivoluzione sociale è necessaria per lo scopo finale, per effettuare il socialismo. Anche Carlo Tresca ha fatto conoscere le medesime idee, e come vedi il socialismo sta progredendo, un altro passo ancora ed i socialisti saranno con noi, ma prima che essi verranno con noi noi dobbiamo tagliare molti angoli delle nostre idee anarchiche ed avere così la fusione socialista-anarchica …

. . . . . .

“Sì, noi dovremo tagliare molta roba delle nostre idee ciò per renderle più effettuabili .. . In pochi anni di propaganda ci siamo spinti troppo, fa duopo fermarci e riflettere … ”

“Ebbene, perché debbo nascondermi? lo sono un socialista però non credo nel Parlamento, ed oggi che la nuova èra socialista incomincia a dichiarare che essi banno il parlamento come mezzo secondario ma che per attuare il socialismo ci vorrà la rivoluzione sociale, trovo efficace l’opera di lavorare assieme coi socialisti”.

E con questo nauseante atto di contrizione in giro il Foschini ha la faccia di negare in un manifesto distribuito al pubblico colla sua firma che egli non ha preconizzato l’alleanza coi socialisti, che non ha proposto ai compagni di tagliare molti angoli delle nostre idee!

E’ impudenza o incoscienza?

E’ uno spettacolo miserando d’irresponsabilità che da quanti hanno salda la fede e sano il cervello invoca compassione e pietà.

Disgraziato!

El Vecc.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 12, 25 marzo 1905, p. 3 e 4.

BEBEL E GLI ANARCHICI

Un amico mi manda da Lugano un numero dell’Aurora, organo ufficiale del partito socialista ticinese, dell’associazione svizzera del Grutki, della Camera del Lavoro di Lugano e del Ticino, ecc., ecc., e mi contrassegna dello smilzo organetto di tante istituzioni innocue e pompose tutto l’articolo di fondo che è: UNA PICCOLA INTERVISTA CON BEBEL.

L’intervista è ultra banale e fatta più di volgarità sci ape e di reticenze caute che non di pensieri originali e di giudizi illuminati, e non meriterebbe certo di essere rilevata se in due punti distinti ed egualmente edificanti non trasparisse categorico e preciso il pensiero del pontefice massimo del socialismo democratico tedesco e pinzochero.

– Dica un po’, compagno, in Germania avete molti anarchici?

– Pochi – risponde Bebel – perché l’anarchia non fa al carattere ed al temperamento germanico . Eppoi siamo troppo forti noi per lasciar posto agli anarchici. Perché, tenete a mente compagno, gli anarchici prendono piede laddove noi non siamo abbastanza attivi. Tenete a mente che un segno di deficienza per noi in dati paesi e in date località è la presenza e l’ingerenza degli anarchici (Aurora di Lugano, 22 Aprile 1905. Anno’ V; n. 32) .

E’ il primo punto.

Il secondo ci interessa meno, ma non è meno sintomatico. Interpellato se non creda che l’arrendevolezza dei deputati socialisti svizzeri, specie sul problema militare, non sia pressoché compromettente, e quale ritenga tra i migliori agitatori socialisti svizzeri, Bebel risponde senza indugio che certi stadii sono inevitabili ma che il socialismo progredisce sempre e che il migliore degli agitatori svizzeri, a parte la sua qualità di parroco evangelico, è lo Pf1uger (Ibid.).

La seconda parte della risposta di Bebel spiega ed illustra la prima. Dal momento che un parroco protestante come lo Pfluger, può essere, secondo Bebel, il migliore interprete e l’agitatore più nobile del pensiero socialista, si capisce benissimo che la presenza o, come scrive Bebel, l’ingerenza degli anarchici sia, in certe località meno che nulla.

Ma non perché l’idea anarchica ripugni al temperamento germanico (Max Stirner che ne fu uno dei più geniali teorizzatori è, con buona pace di A. Bebel, tedesco di Bayreuth) ma perché ripugna semplicemente al temperamento anarchico l’avere ingerenze o complicità o solidarietà in affari, sia pur politici, che sono maneggiati e condotti da preti socialisti come lo PHuger e da socialis ti preti come il Bebel (1).

Quanto alla forza del partito socialista che non lascia posto né fiato agli anarchici ridotti a zero dall’energia legalitaria e parlamentare degli elettori bebeliani, essa è innocua e gratuita spacconata del pontefice massimo del socialismo tedesco a cui i fatti oppongono da qualche anno la più dolorosa sì, ma la più recisa delle smentite.

Lungi dall ‘essere l’esponente dell’apatia socialista l’anarchismo riprende vigore ed affonda più tenaci e più diffuse le sue radici laddove salito alla sua massima potenza (come nel Belgio ed in Francia) il socialismo ha attinto le vette del potere ed ha avuto campo di affermarsi praticamente ed offrire, sia pure incompleto e monco, un saggio della sua sincerità e delle sue attitudini a gestire la pubblica cosa.

Le deviazioni, le perversioni, le degenerazioni furono tante e così inquietanti che l’animo del partito socialista dovette rifugiarsi in quella tendenza anarchica che dopo sedici anni di persecuzione socialista, di inquisizione socialista, di ostracismo socialista è oggi vittoriosamente salutata nei congressi del partito come la spes unica e l’arca di salute della fede socialista.

E non è constatazione che muova dalla nostra vanità, è realtà che sgorga dai fatti e zampilla dallo sconforto desolato dei vostri migliori.

Filippo Turati lacrima nella sua Critica sociale (1 Maggio 1905, Anno XV, n . 9) che le infiltrazioni anarchiche nel movimento socialistico non sono una specialità italiana e un collega dell’onorevole Bebel al Reichstag germanico in una conferenza ultimamente tenuta agli operai sindacati di Berlino e riassunta in un opuscolo dal titolo Parlamentarismus und General-Streick, soggiunge più gravemente: “Il parlamentarismo come fucinatore di leggi sta in acuto contrasto colla nostra vera meta finale che è la liberazione degli uomini da qualunque legame esteriore. Le aspirazioni alla presa di possesso dello Stato, alla conquista del potere politico, presuppongono necessariamente una ulteriore dominazione e ci fanno apparire come utopistica quella libertà economica etti noi agoniamo, non congiunta alla personalità umana completamente libera ” e conclude a disperazione del Kautsky e del Turati ed a mortificazione dell’onorevole Bebel: “l’ideale della democrazia sociale deve essere integrato coll’ideale dell’anarchismo “.

L’onorevole Bebel fa da anni il suo cammino a ritroso e giunge al’ reverendo compagno PHuger che lo riconcilierà con Dio e gli otterrà tra le penitenze la grazia suprema della divina misericordia, ma il socialismo buttata la zavorra degli arruffoni e dei politicanti bordellieri, fa la sua strada, ascende la vetta penosa verso la rivoluzione sociale, verso l’anarchia, verso l’ultima sospirata liberazione.

G. Pimpino

1) Vedi in proposito e a riprova il resoconto del COl1y,resso socialista di Halle 1890.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 23, lO giugno 1905, p. 2 e 3.

I TRADITORI DELLA RIVOLUZIONE RUSSA

Dal gennaio – in cui balenarono le prime faville della lotta immane che si combatte tra il proletariato russo e la più oscena delle autocrazie superstiti – fino ad oggi, una sola, ma lancinante e acuta, è l’ansia che martella ogni cuore, ogni anima rivoluzionaria: quella lotta che schiera pressoché inermi, disperatamente, migliaia e migliaia di proletarii, contro le forze sempre formidabili dello czarismo e del Santo Sinodo, troverà dopo tanta e così amara esperienza del passato la sua rotta luminosa o naufragherà ancora una volta, ecatombe sterile ed infeconda, tra le secche perfide e gli scogli fatali dei vecchi errori?

Sapranno i proletarii russi figgere acuto, attraverso la trama d’inganni e di menzogne, lo sguardo e gli animi alla meta liberatrice, alla espropriazione della borghesia, alla distruzione d’ogni forma d’autorità, o disarmeranno sciaguratamente dinnanzi alla seduzione delle riforme politiche e dei miraggi costituzionali?

Qual’è l’aspirazione recondita dell’insurrezione sanguinosa che . sbarra di olocausti quotidiani e di cadaveri mutilati i biechi disegni del piccolo padre e divampa dalle città, dai borghi, per l’università e l’officine e i campi dell’impero sconfinato?

E’ la verità, la terra, la redenzione dei musgicchi pellagrosi ed anemici, od è la menzogna, la costituzione, la palingenesi di una borghesia anchilosata ma vigile e scaltra?

E la speranza bisbiglia: non attraverseranno i vecchi errori l’ascensione fatale del proletariato russo verso la redenzione: non gittarono indarno ai venti Engels e Tolstoi l’ammonimento severo ed il previdente consiglio della loro esperienza e della loro sapienza. Il primo (1) mostrò a luce meridiana la vacua sterilità delle rivoluzioni meramente politiche, l’altro ai furori costituzionalisti della sua gente additava ieri ancora la miseria, la schiavitLl, l’abbiezione in cui diguazzano, benedetti dalla costituzione, i popoli che posarono appena le armi dalle ultime rivoluzioni politiche, l’Italia e l’America.

Alle speranze accarezzate con amore soccorre, eloquente, insommergibile, l’eco della battaglia quotidiana: i contadini hanno incendiato i castelli, hanno cacciato i nobili, hanno mietuto il grano e decimato gli armenti: sanno dunque il nemico, la via, la meta e li inseguono con tanta e così inesorabile fermezza che a placarli, sulla soglia dell’inverno terribile e delle inaudite carestie imminenti, i latifondisti più arcigni hanno ceduto il terzo del raccolto e del bestiame ai contadini ebbri di perdizione.

Disgraziatamente la medaglia delle speranze ha il suo rovescio di delusioni, di pericoli, di minacce sinistre.

A presidio e tutela dello czarismo vigilano in armi tutti i nemici del proletariato russo e del suo benessere, il Santo Sinodo, la Terza Sezione, i cosacchi del Don, la forca; vigila infine la democrazia socialista coi freni, le sue cappe di piombo, i suoi trabocchetti di prudenza, di moderazione, di discrezione; e se il popolo russo ha mostrato di saper passare oltre le baionette dei cosacchi, di saper maturare in Siberia il suo sogno livellatore, di saper ridere in faccia al boia, non è per nulla provato che egli abbia l’acume e l’energia di ricercare e scovare dei suoi nemici quelli che scalda, vipere immonde, nel suo seno, quelli che col salvacondotto della sua fiducia e della sua devozione si apprestano a venderlo al suo secolare nemico e gli fucinano nell’ombra i ceppi e le mannaie del domani.

La rivoluzione russa ha nel suo grembo un oscuro baco che la rode, e guai ai nostri fratelli di laggiù se essi non sopranno estirparlo e schiacciarlo avanti che il frutto dei loro quotidiani olocausti ne sia interamente pervaso, infracidito e sciupato! Il Terrore vide nel 1793 l’agonia della rivoluzione ed aprì attraverso il Ditettorio le vie al Consolato all’Impero, alla Restaurazione; ne avrebbe salvato nel 1789 le sorti, i destini, le conquiste.

A coloro che volentieri ci accusano di esagerazione e di livore settario noi poniamo sott’occhio le poche righe che il compagno K. Iliachvili scrive alReveil sull’atteggiamento della democrazia socialista russa di fronte all’a ttuale insurrezione:

“Il Gran Lama della social-democrazia russa, il troppo celebre Plechanoff, è assolutamente deciso a sacrificare ogni cosa alla Costituzione. Dopo aver descritto tutte le gioie del momento storico in cui i russi comincieranno ad essere cittadini grazie all’elaborazione di una costituzione, aggiunge: “come sarà bello allora vivere!” E se divenendo liberali noi potessimo affrettare quell’ora saremmo stupidi e criminali ad esitare; noi potremmo in tutta coscienza, noi dovremmo anzi dimenticar tutto a questo mondo all’infuori di queste due parole: libertà politica; e tutti coloro che parlassero di socialismo in questo momento sarebbero non amici ma nemici del popolo, giacché col loro dottrinarismo potrebbero compromettere lo sviluppo politico.(2)

” Così. parla e ragiona la mente più illuminata della democrazia socialista russa. Voi potete figurarvi come devono ragionare e parlare quelli che Plechanoff ha foggiato a sua immagine e somiglianza senza poter loro conferire la sua stessa intelligenza.

“Partigiano deciso della costituzione egli non teme punto di veder la classe operaia vittima d’una nuova frode, anzi, insegna egli stesso ai liberali l’arte di ingannare il proletariato. Per conquistare la Costituzione noi dobbiamo trascinare la classe operaia nella lotta contro l’assolutismo, suscitare in essa la simpatia per le libere istituzioni politiche. Noi non abbiamo altro mezzo né altro mezzo vi può essere.(3)

” E’ quello che Plechanoff fa dire da un socialista al borghese liberale, e comprendendo che un liberale è incapace a conquistare la libertà politica per sé, aggiunge: La libertà politica sarà conquistata dalla classe operaia o non sarà. Il liberale vuoI essere un po’ meglio rassicurato: come si potrà indurre la classe operaia alla conquista dei diritti a beneficio della borghesia? L’ultra scientifico socialista non si turba per così poco. Per trascinare gli operai alla conquista dei diritti politici, di cui la borghesia soltanto beneficierà ed userà largamente – come ci prova l’esempio di tutti i paesi costituzionali – la borghesia non ha che a promettere riforme economiche e benessere materiale; ma il luogo di guidare la classe operaia alla realizzazione della libertà economica, e quindi necessariamente politica, tutto si limiterà alla conquista di una costituzione puramente borghese.

Non mancano esempi a documentare che questa tattica è sempre riuscita bene alla borghesia inglese la quale ha saputo servirsi di tutte le riforme economiche, anche della legge sul pane, per lanciare il popolo alla conquista dei diritti che . le abbisognavano. Perché non farebbe altrettanto la borghesia russa che può tra l’altro contare anche sulla tacita complicità dei nostri socialisti?

Leggendo il programma di questa tattica proposta dal celebre anarcofobo Plechanoff ci viene alla mente il celebre grido: abbasso mistificatori e bugiardi.’ che Hebert lanciava sotto sotto la erande rivoluzione contro i Plechanoff del suo tempo.

“Il lettore non deve supporre che io mi basi sopra un’idea personale di Giorgio Plechanoff. L’idea di Plechanoff è quella di tutta la democrazia socialista russa . Certo il partito è diviso in questo momento, ed i rappresentanti delle due tendenze si trattano di borghesi, di vigliacchi, di idioti, di isterici; ma circa la finalità politica – la sola che sia secondo essi desiderabile – le due tendenze sono completamente d’accordo. Il programma delle rivendicazioni è lo stesso per ambedue, anche se discordano sulle questioni del governo provvisorio e dell’organizzazione più o meno accentrata. L’una e l’altra frazione pensano che attualmente non si può né si deve realizzare che il programma minimo composto esclusivamente di diritti politici e di qualche riformetta economica (tre otto, imposta progressiva, regolamentazione del lavoro, ecc.) che non intacca menomamente il regime capitalista. Quando oltrepassi questo programma che un qualunque borghese radicale troverebbe troppo moderato, è considerato e combattuto come provocazione dalla intera democrazia socialista russa.

“E’ un esempio unico questo di un partito socialista che combatte accanitamente ogni tentativo di realizzazione socialista e si inalbera contro chiunque cerchi di allargare i quadri della rivoluzione.

“Io sfido chicchessia a mostrarmi nella loro letteratura una sola frase, un solo articolo nei loro giornali, un solo proclama il quale possa provare che i social-democratici russi tendono attualmente ad uno scopo socialista, che essi parteggino per l’azione con cui la classe operaia possa liberarsi dall’oppressione economica. In una parola: lo sfido chicchessia a provarmi che i socialisti siano in questo momento socialisti, che essi siano partigiani di un’azione socialista.

“Essi vogliono una rivoluzione il cui solo risultato sarebbe, come disse Engels, di veder la sciabola sostituita dal denaro.

“Lenine, altro capoccia del partito, in un opuscolo AI TAPINI DELLE CAMPAGNE cerca di spiegare ai contadini ed operai con un linguaggio popolare il programma social-democratico e prova con chiarezza ed eloquenza che attualmente il suo partito, salvo i palliativi sopra ricordati, non cerca che diritti politici .. . L’opuscolo parla anche di socialismo, ma come di cosa che nella rivoluzione non ha nulla a che vedervi e di cui si parlerà quando essa sarà compiuta, quando in Russia si potrà fare liberamente quel che fanno i socialisti dei paesi felici ii1 cui si sono affermati con tre milioni di voti. Quest’idea di non parlare di socialismo che avanti o dopo i periodi rivoluzionarii è del tutto degna degli scientifici della democrazia socialista.

“Il partito social-democratico, dice l’ISKRA (num. 16), deve saper cogliere i liberali al momento in cui sono disposti ad avanzare di un centimetro e costringerli ad avanzare di un piede …

” Questo giuoco d’uccellare ai liberali è tanto più necessario che tra le rivendicazioni del proletariato e quelle della borghesia democratica non v’è differenza di principii ma soltanto di grado …

“Giorgio Plechanoff per non lasciar ombra di dubbio sullo scopo a cui mira il suo partito ci fa questa scientifica dichiarazione:

“Dal punto di vista scientifico ogni discussione sopra una trasformazione socialista, come meta prossima del movimento operaio in Russia, “deve considerarsi come non avvenuta.

“Il fine prossimo è la distruzione dell’assolutismo che darà al prole “tariato russo i diritti politici, la libertà politica di crescere e di maturare, “di svilupparsi e di organizzarsi per la rivoluzione socialista. Il trionfo “del socialismo non può corrispondere alla distruzione dell’assolutismo. “Tra i due momenti intercede un lasso di tempo considerevole e per questo “i social-democratici debbono nella loro lotta contro l’autocrazia mostrare “a tutti che i loro interessi concordano in questo momento cogli interessi “della parte della nostra società che pensa liberamente”.(4)

. . . . . . .

“Ecco che cosa ha fa tto del socialismo!”

Quel che hanno fatto del socialismo i così detti social-democratici lo sapevamo da un pezzo e da un pezzo, possiamo dirlo con coscienza, ci siamo sforzati a dimostrarlo a quanti sono socialisti sinceri che dall’altra riva, sotto un ‘insegna che non è la nostra, combattono con ardore pari al nostro pel trionfo dell’emancipazione comune.

Quello che attualmente ci preoccupa è sapere e mostrare quel che facciano per la rivoluzione russa i sacerdoti ed i profeti del pseudo socialismo scientifico.

Ed i propositi rivelatici sulla scorta delle confessioni e dei documenti dal compagno K. Iliachvili non lasciano in proposito alcun dubbio: L’ASSASSINANO A TRIONFO E GLORIA DEGLI INTERESSI BORGHESI!

Victor Hugo ha nella galleria fantastica delle sue ibride creazioni inarrivabili, tra QUASIMODO e L’UOMO CHE RIDE, una figura epicamente mostruosa, così sinistra, così macabra da mettervi il freddo nelle ossa più che non vi riescano gli spasmodici cachinni Lord Guynplaine e le intime rivolte sanguinanti del campanaro di Nostra Signora: e Thenardier la spia che torna la notte sull’immensa pianura di Waterloo coperta di cadaveri e, rovistando tra i grumi di sangue le tasche dei compagni d’armi traditi e disfatti, vi spigola il peculio e la giornea del patriota, del galantuomo.

A questo famelico ufficio di iena e di sciacallo si dilettano in quest’ora tragica di passione i Thenardier del socialismo scientifico russo.

Pazienti e tenaci come iene, seguono essi ghignando l’orma delle falangi impenitenti ed eroiche che votarono la giovinezza e la vita alla liberazione della Russia proletaria; ed attendono.

Attendono l’ora e l’ombra della triste notte in cui sopraffatto dai pretori ani del Santo Sinodo, lo czar e dell’ordine, il proletariato russo esali , esausto e vinto, sui campi bagnati dal sudore e dal suo sangue, l’estremo anelito e l’ultimo sdegno: e sui morti, fra le piaghe beanti della mitraglia, spigoleranno allora soddisfatti i trenta scicli dell’Iscariota, la medaglietta del deputato.

A meno che i rivoluzionari russi non Ii l’avvolgano, in un lampo fatidico di sdegno antiveggente, nella stessa fiamma e nello stesso supplizio ‘ coi loro boia!

E così sia!

G. Pimpino

1) F. Engels. Socialismo utopico e socialismo scientifico; pago 23-25.

2) G. Plechanoff. Receuil des artichles politiques; pago 1Ol.

3) Ibidem. Pago 103-105.

4) Ibidem. Vedi articolo: ET APRÈS.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 33, 19 agosto 1905, 0;> . 2.

LUCCIOLE PER LANTERNE

Le spaccia dalle colonne dell’Avanti! colla più svelta disinvoltura l’ono Enrico Ferri tornato – dopo l’ultimo atto, il più sciagurato e il più feroce, del dramma Bonmartino – Murri – alle battaglie del Parlamento ed all’effettiva direzione dell’organo centrale del partito.

L’autorità del Ferri, che in sociologia è qualcuno, che nel partito socialista internazionale è un’autorità, che è personalmente, astrazion fatta dalla politica e dai suoi ineluttabili espedienti un galantuomo, conferiscono un carattere così pericoloso e così grave ai miraggi che egli suscita e di cui mantiene con tanto ardore e con tant’arte la seduzione suggestiva che ci par degno di fermarvi per un minuto il pensiero e l’attenzione dei lettori.

Le lucciole son sempre quelle dell’azione parlamentare celebrata dal Ferri e dal partito socialista come il mezzo più vigile di controllo – in tempi normali – dell’azienda complicata e vorace dello Stato; celebrata – in tempi di sopraffazione, di reazione e di brigantaggio governativo – come il taumaturgico e miracoloso correttivo della violenza, della corruzione e della immortalità dei dirigenti.

E questa fantastica virtù del controllo parlamentare e questi trionfi non mèno fantastici dell’ostruzionismo socialista strimpellati su tutti i toni, su tutti gli organetti del partito se rimangono una burla consapevole pei l’abbi astuti del sinedrio, se rimangono per chi ha libertà e serenità di giudizio un deplorevole ed inutile sperpero d’energia, diventano negli strati inferiori, che giurano ciecamente e settariamente in verba magistri et in nomine ecclesiae, l’argomento capitale a giustificare ed a legittimare tutte le transazioni, tutte le abiure, tutte le deviazioni e le capriole dei cattivi pastori.

– Ah, voi ridete del parlamentarismo, dei deputati socialisti, del controllo assiduo che essi esercitano sull’ingranaggio dei pubblici poteri? Ebbene, guardate mò: mentre per la vigile perspicacia e per l’audace temerità del Bissolati e del Ferri si sono aperte due inchieste sulle gestioni di Nasi e di Bettòlo provocando la più larga pubblicità sulle prevaricazioni scandalose dei ministri della Pubblica Istruzione e della Marina, l’ostruzionismo socialista ha avuto una prima volta ragione dell’utopia reazionaria del Pelloux, ha avuto ragione ancora ieri delle combricole bancarie condotte da Alessandro Fortis al saccheggio del patrimonio nazionale.

L’ha detto l’AVANTI! l’ha detto l’onor. Ferri, giù il cappello e gloria ai deputati socialisti, all’azione parlamentare ed alla civile redenzione della scheda!

Eppure i fatti sono lì, e alle frodi dei politicanti e ai muggiti dell’armento ghignano la più sdegnosa e più decisiva delle smentite.

Badiamo bene: Bissolati e Ferri sollevarono, con circospetta prudenza il primo, con uno splendido gesto d’irruenza coraggiosa il secondo i complici veri onde si ammantavano le camorre ladre e le prevaricazioni voraci dei ministri della Pubblica Istruzione e della Marina invocando entrambi – ed entrambi indarno — un’inchiesta parlamentare.

Respinta l’inchiesta, e fallita così l’opera loro di deputati, essi condussero per la stampa e nei comizi tale una campagna di rivelazioni coraggiose e documentate che lo scandalo, gonfiato dalla confluenza del malcontento, delle proteste e delle denunzie specifiche degli interessati, dilagò provocando la fuga delle navi per una parte, la querela del Bettòlo per l’altra e la condanna del Ferri per diffamazione.

Il Bissolati alle cui indagini parlamentari s’erano sbarrate tutte le porte, ottenne dalla propria opera di pubblicista quello che indarno aveva chiesto come deputato: l’intervento dell’autorità giudiziaria, l’inizio d’un procedimento penale, la larga pubblicità sui mercimoni, sulle appropriazioni, sugli storni, sui furti perpretati sul bilancio della Pubblica Istruzione dalla Banda Navi, Lombardo e Co. Il Ferri rilevando con geniale intuito la coincidenza dei rialzi della Terni colla assunzione di Bettòlo al Ministero ottenne dal banco degli accusati quello che indarno aveva richiesto dal suo banco di deputato: un pubblico dibattimento in cui dal verdetto popolare – altrimenti attendibile e severo che non possa essere quello di ogni più rigida commissione d’inchiesta – sono stati bollati col ferro rovente come ladri e malandrini il Bettòlo, gli affaristi di cui è l’agente, il governo che tiene il sacco.

Pagò di persona, ma la sentenza mercenaria del Tribunale di Spezia non dice soltanto che mal si porta la mano sacrilega sull’arca santa dei pubblici poteri, dice anche, a chi non abbia gli occhi velati dalla passione, che il famoso controllo dei deputati socialisti non può efficacemente esercitarsi che fuori del parlamento, fuori della legge, anzi contro il Parlamento e contro la legge.

Rimangono le vittorie ostruzioniste debellatrici, ai tempi di Pellooux, della reazione forcaiuola, debellatrice oggi delle camorre ferroviarie dell’onorevole Fortis. Ma sono vesciche cosl flaccide e cosl sgonfiate oramai da non meritare proprio il tedeum delle Eminenze … né quello dei fraticelli minori. La reazione forcaiuola non capitò dinnanzi all’accademia più o meno elegante e geniale dell’ostruzionismo socialista, capitolò soltanto – ed è una precisa confessione del Ferri stesso – dinnanzi alla brutalità sacrilega della rivolta plebea, capitolò dinnanzi al regicidio di Monza che fece intendere come la baracca minacciasse sconquassarsi se si seguitava per quella via, e fu il nuovo regno (1), fu il ritorno allo Statuto, fu in Italia, dopo un bieco quinquennio di furore reazionario, la restaurazione del regime costituzionale.

Quanto allo sbaraglio delle camorre ferroviarie, bisogna credere ad onta degli epicedii del Ferri sulle disfatte del ministero e sulle vittorie socialiste(2), che siano sbaraglio da burla e vittorie assolutamente effimere se dopo una settimana sullo stesso AVANTI! di Roma un competentissimo, l’onoro Nofri, è costretto a domandarsi: “Ma è poi scongiurata questa iattura? Un momento di risveglio e di energie operanti sono stati sufficienti a salvare il nostro paese da un assalto collettivo e disastroso alla sua finanza e alla sua economia da parte di un capitalismo più borsista che industriale, più parassita che produttore?

“Non lo crediamo.” (3)

Se dopo dieci giorni lo stesso AVANTI! messa l’allegria da banda è costretto a riconoscere che la tattica degli azionisti ferroviarii elude ogni più vigile attività di rivendicazione e di controllo e raggiunge, protetta dalle complici e sapienti indisposizioni del ministero, alla chetichella, 10 stesso fine, il sacco di cinquecento milioni. E’ molto semplice: il Fortis, il Ferrari, il Carpano, il Majorana, si danno malati, i lavori d’accertamento delle condizioni del materiale sono sospesi e l’AVANTI! deve ammettere “che andando innanzi col tempo non sarà più possibile l’accertamento peritale … o darà luogo a tante contestazioni che il meglio sarà concedere alle Società Ferroviarie il benestare e pagar loro completamente i famosi 400 milioni .. . Nello stesso modo sfumeranno pure i 120 milioni delle casse di previdenza che le Società hanno saccheggiato …” (4)

E il controllo parlamentare, le vittorie ostruzioniste strimpellate su tutti i toni e su tutti gli organetti del partito sono tutte cosi, invariabilmente, miraggi bugiardi e traditori, lucciole per lanterne, agitati dinnanzi all’occhio bovino dell’armamento perché l’azione parlamentare socialista – mortificata dall’ultimo atteggiamento dei ferrovieri sfiduciata dai Sindacati e dai sindacalisti che vorrebbero, in nome di Marx e della lotta di classe subordinarla alle esigenze dirette del moto proletario – voglia restituire, per la vita eterna e per l’eterna gloria dello Stato, un po’ del valore, della fiducia e del credito che non bastano a darle più né i Bebel, né i Jaurès, né i Vandervelde, né i Turati, né i Ferri.

Perché hanno toccato con mano anche i ciechi, in questo disastroso ventennio d’esperimenti, che il preteso controllo parlamentare dell’azienda pubblica è una frode: che la famosa conquista parlamentare dei pubblici poteri è una frode; che la celebrata educazione parlamentare del proletariato alla gestione collettiva del domani è una frode, che l’elevazione materiale e morale dei lavoratori a mezzo delle riforme parlamentari è ancora una frode; e che a rompere la maglia di frodi, d’inganni, di scrupoli e di riguardi onde s’impastoia ogni nostra libertà d’iniziativa e si anchilosa ogni nostra indipendenza di movimenti e si affoga ogni nostro anelito di risurrezione, urge tornare all’inascoltato consiglio di San Paolo: Bisogna distruggere, distruggere o la nuova redenzione non sarà fatta per noi.

G. Pimpino

1) Ferri. AVANTI! num. 3208.

2) AVANTI! 1 agosto 1905.

3) Ibidem. 9 agosto 1905.

4) Ibidem. 10 agosto 1905, num. 3122.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 35, 2 settembre 1905, p. 1.

CONTRO L’EQUIVOCO

La nostra cntlca inesorabile al regime borghese, agli istinti sociali che la presidiano, ai partiti politici che più o meno palesemente ne favoriscano la conservazione, ne secondano lo sviluppo, ne consolidano il dominio e la fortuna, ci schiera ogni giorno di fronte al cosidetto partito socialista.

E l’urto è sempre violento. Dalle sterili brughiere dell’azione politica, elettorale e parlamentare ­­– in cui si perde, si illude e, quel che è peggio, illude di poter conseguire miglioramenti graduali efficaci e sensibili – noi vorremmo sospingerlo all’opera feconda di demolizione e di rivolta in cui devono svilupparsi, esercitarsi, maturarsi alle imminenti vigilie la coscienza e l’audacia delle masse, a prevenire che la nuova rivoluzione, la rivoluzione sociale per cui sulle rovine della proprietà individuale e dello Stato dovrà realizzarsi, opera di lavoratori, l’emancipazione dei lavoratori del mondo, non sia, tra scrupoli superstiziosi ed indugi pusillanimi soffocata, come la Comune, nel sangue; non sia tra gli intrighi deviata dalla sua mèta radiosa, e scroccata ancora una volta nell’ebbrezza delle prime vittorie da fraudolenti oligarchie di nuovi sfruttatori, di nuovi dominatori.

Ed è compito aspro.

V’è di mezzo un trentennio infausto di esperimenti legalitarii e parlamentari il quale non ha conchiuso, è vero, che ad una disperata constatazione di vacuità e di impotenza – ormai universalmente confessate – ma si è iniziato con una serie disastrosa di compromessi, di transazioni, di rinunzie che hanno favorito l’intrusione nella compagine del partito – originariamente e fondamentalmente proletaria, di Classe – di una legione impudente, spregiudicata, temeraria di arrivisti famelici, di arruffoni bacati, di borghesi in licenza, i quali, posto all’aspirazione semplicista della canaglia affamata di pane, assetata di luce e di libertà e di giustizia, il bavaglio delle formule astruse e la sordina dei bisticci pseudoscientifici l’hanno raggiogata alla vecchia frode del suffragio universale, l’hanno ricondotta a ritroso di mezzo secolo, a ritroso della vecchia Internazionale, al 1848, alla religione dello Stato, alla fede nella legge, al culto dell’ordine, dell’ordine borghese che consacra la spogliazione dei lavoratori, la loro schiavitù, la loro miseria come una ineluttabile fatalità storica che irride alle improntitudini, alle velleità insurrezionali, alle rivolte, efficacissime dove e quando si tratti di una rivoluzione politica che esproprii, a favore della borghesia, l’aristocrazia e il clero ma, peggio che grottesche, sciagurate laddove si voglia espropriare la borghesia a beneficio di tutti.

E del partito socialista hanno fatto una confraternita mortificata dalle penitenze, macerata dalle vigilie, castigata dalla disciplina, presidiata dal sillabo, rintuzzata dai concilii, vigilata dalle scomuniche, chiusa ad ogni alito di libero esame, ad ogni fremito gagliardo di vita, ad ogni generoso anelito di rivolta od anche semplicemente d’azione.

V’è da meravigliare se la Regola ha oggi evirato, sifilizzato la grande massa del partito scongiurando così ogni prossimo pericolo di ribellione, di scisma, d’indipendenza?

Se fate astrazione da qualche povero capraio, da qualche inerte femminuccia, cristallizzati nella tradizione, segregati dal mondo che si muove e lotta e vive, non v’è cattolico al dì d’oggi che non dubiti dell’esistenza di Dio, non v’è, per certo, un solo prete che vi creda, non uno; eppure i preti seguitano a magnificare dal pergamo l’onnipotenza e la bontà della provvidenza divina aleggiante benefica sulla scelleraggine umana incorreggibile, e l’armento, pur certo di non avere sulla coscienza l’ombra di una scelleratezza, continua cinicamente a picchiarsi il petto, a stralunare gli occhi verso il padre, il figliuolo e lo spirito santo a cui non si confidi più, in cui non crede più, in cui non ispera più.

Così, se fate astrazione da qualche infelice, afflitto d’irrimediabile atrofia celebrale o rimasto a mezza strada tra le bertoldinesche barzellette di Oddino Morgari, non v’è oggi socialista che non senta per la lotta legalitaria del suo partito e per l’azione parlamentare dei suoi apostoli medagliettati, la più cordiale e la più profonda diffidenza; certo non v’è candidato o deputato socialista che creda sinceramente di strappare dal parlamento un sollievo al proletariato, una sanzione morale qualsiasi alla sua fede e al suo ideale; neanche uno.

E l’elettore socialista a cui lo Stato ruba per la caserma e pel fratricidio le braccia feconde del figliuolo, a cui i pubblici poteri satollano di piombo la ventraia bolsa, lo dice senza ambagi nelle sue ore tristi e sconsolate: “non è per di lì che si possa passare mai! ” e lo dice il candidato a cui non torni il conto delle urne, a cui non sorrida neanche un ballottaggio di consolazione: “è inutile, il terreno delle lotte ideali non può essere una fiera od un bordello! Ed il deputato i cui progetti passano a dormir sonni secolari in archivio, le cui interpellanze sdegnose non suscitano che lazzi, non vellicano che il cinismo di un’eccellenza concussionaria o ladra lo ripete nei crocchi degli intimi ghignando, come ghignavano incontrandosi, gli Auguri per le vie di Roma .

Con tutto questo ogni quattro anni, regolarmente, il candidato suona a raccolta intorno al programma minimo del partito, magnifica come Dulcamara i suoi specifici parlamentari, conta le vittorie e le conquiste dell’annata, scioglie un inno all’onnipotenza dell’Al’ma civile ed al sovrano diritto di suffragio onde è investito il compagno elettore.

Questi, pur assaporando ad ogni passo, ad ogni digiuno, ad ogni colpo di vanga, l’ironia amara della sua strombazzata sovranità, porta all’urna il suo libero suffragio, e se ha presso di sé un compagno in cui creda, un galantuomo a cui affiderebbe e l’anima e i figliuoli, se lo leva d’attorno, lo strappa alla lotta feconda e viva d’ogni giorno, al gesto ed all’opera sacra della seminagione, della redenzione, e lo manda lassù a portarvi una protesta che nessuno ascolterà più, a chiedervi una tutela in cui non ispera più, a sollecitarvi una legge in cui non crede, in cui non ha creduto mai.

Come nella chiesa: la stessa educazione porta gli stessi frutti. Si comincia, per-l’onore ed il buon nome dell’Ordine, per carità o per disciplina di partito a velare debolezze, transazioni, bassezze ed a scusarle ed a legittimarle, a solidarizzare poi colle prevaricazioni e colle menzogne; e si finisce col non potere rompere più la cerchia avvolgente delle complicità recidive e specifiche che sulla mala via si sono accumulate, fino a dovere, per disciplina di partito, rivendicare come benemerenze avventurate le transazioni sordide, come impeti di fierezza le rinuncie bastarde, fino a dover impugnare la verità conosciuta, fino a sbandierare, come l’orifiamma della verità e della giustizia, la menzogna e la frode.

E questo abbrutimento e quest’obiezione della disciplina di partito, dell’educazione e dell’organizzazione autoritaria sono così profondi nel partito socialista, ed è così avviluppata e così fitta la trama delle complicità setta1″ìe ordite tra compromessi ed intrighi d’ogni specie, che ad onta del profondo ed intimo disagio ond’è pervasa la massa dei gregari, ad onta del profondo ed intimo dissidio per cui i migliori – coloro che vedono e comprendono e nel socialismo credono ancora – sentono di non avere da un pezzo più nulla di comune coi pastori che frodano, né colla massa pecorona che ne zavorra le frodi, nessuno si muove, nessuno protesta, nessuno al giogo, alla vergogna ‘ed alla frode si ribella in nome della verità, in nome della sincerità, in nome della propria coscienza.

Gli è che da un pezzo verità, sincerità e coscienza, nell’azione collettiva del partito socialista internazionale, sono un pio desiderio e la più squallida delle utopie.

– Ma la corrente rivoluzionaria?

– La corrente rivoluzionaria? Noi abbiamo la certezza di poter offrire al prossimo numero la prova che nelle questioni più gravi e più urgenti imposte dagli eventi alla preoccupazione del partito socialista,Rivoluzionarii e Riformisti sono i fratelli siamesi dell’equivoco e del raggiro; che in nome delle riforme gli uni, in nome del verbalismo rivoluzionario gli altri, hanno concordemente asservito e concordemente aggiogato l’aspirazione proletaria alle fraudolenti allucinazioni del superato radicalismo borghese da cui hanno ereditato l’empirica devozione delle forme politiche esteriori, l’olimpico disdegno dei problemi economici sostanziali alla cui soluzione è imprenscindibilmente legata l’ascensione delle masse verso la libertà, verso la redenzione.

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 46, 18 novembre 1905, p . 1.

FRATELLI SIAMESI

Lo sciopero generale proclamato dai lavoratori italiani nel settembre 1904, all’indomani delle stragi proletarie di Buggerru e di Castelluzzo, doveva – maniJestazione imponente di protesta e di ribellione – frenare la libidine omicida dei governi liberali che deliziano da un trentennio il bel paese.

Ognuno sa che, ripudiata da prima con un voto esplicito della Direzione del Partito Socialista, quell ‘agitazione fu poi dal Partito Socialista stesso, e più specialmente dalla cosidetta frazione rivoluzionaria, sagacemente imbrigliata e con ogni sforzo contenuta nei limiti di una protesta rispettosa dell’ordine, della legge, dei poteri costituiti, e, dopo quarantott’ore, disciolta sotto un diluvio di raccomandazioni paterne, di sagge resipiscenze e di frettolose contrizioni.

Era facile prevedere fin d’allora che quell ‘innocua raffica di comizievoli concioni, che quel frettoloso ammainare di collere e di sdegni non avrebbe convertito i nostri governanti al rispetto verso la legge, al culto della libertà, alla religione delle squallide esistenze proletarie: Santa Susanna, Foggia, Grammichele sono venute del resto sollecitamente a spegnere nel rapido giro ‘ di una stagione le ultime speranze ottimiste degli illusi.

Ma se il governo non v’imparò nulla, a quell’episodio attinse il Partito Socialista più che un lume ed un ammonimento. Il partito socialista imparò a proprie spese, poche settimane di poi nelle elezioni generali del novembre, che se gli è consentito di confondersi colla folla in una remota ideale ed evangelica aspirazione di benessere lontano, a frenare gli impeti, a placare gli appetiti selvaggi della plebaglia, non gli è – sotto pena delle più amare penitenze e di sbaragli immediati – perdonato di fiancheggiare delle agitazioni popolari quelle che dalla piazza, dove le responsabilità diventano un’incognita indecifrabile e paurosa, attentino alla vigna dei traffici e dei dividendi, alla sicurezza delle digestioni e della cassa-forte.

Trascinato dal subìto impeto della folla a giustificare lo sciopero generale come mezzo estremo di contendere ai governanti la libertà e l’immunità dell’eccidio, il Partito Socialista – che è essenzialmente un partito politico – comprese e misurò tutta la gravità dell’impegno, l’impossibilità di poterlo assolvere senza minare la compagine delle sue organizzazioni elettorali, senza compromettere la propria ascensione politica, senza diminuire, incoraggiando una forma di recisa azione diretta, la propria funzione tutoria.

Cosi dopo gli uragani minacciosi del settembre noi assistiamo, tra la generale indifferenza e l’universale sfiducia, ai rinnovati eccidi di Torre Santa Susanna, di Foggia, di Grammichele che non solo non trovano più il bel gesto indignato dello sciopero generale ma non trovano neanche gli sdegni convenzionali dei necrologi di prammatica.

Siccome non può tuttavia un partito – un partito soprattutto che attinge le ragioni della propria esistenza nella pretesa di esercitare la sua tutela esclusivista e diretta sul proletariato del paese – acconciarsi a certe eclissi e rifare, senza larghe giustificazioni, la strada di Damasco, cosi noi vediamo germogliàre dai sinedrii del Partito Socialista tutta una serie di provvedimenti intesi a proteggere i lavoratori d’Italia dalle stragi periodiche in cui i nostri governanti liberali affogano le loro discrete aspirazioni; provvedimenti di cui non beneficieranno certo neanche i nostri pronipoti dell’anno duemiJa, ma ‘che per intanto mettono in luce meridiana come, ad illudere la buona fede proletaria, riformisti e rivoluzionarii s’accordino malgrado le tendenze, le diatribe e le scomuniche, come pane e cacio: e che le primitive aspirazioni ribelli del partito socialista hanno ceduto il posto alla menzogna ed alla frode degli abusati programmi radicali contro cui il partito ed il verbo socialista erano insorti, un quarto di secolo addietro, araldi benedetti di verità e di redenzione. Senza soffermarci al programma che Enrico Ferri, prescrive all’azione socialista contro le stragi sistematiche dei proletarii della patria: proteste, conferenze d’educazione socialista, controllo delle agitazioni popolari; programma che pare abbia l’unico scopo di suscitare il sacro orrore dei fedeli CONTRO LO SCIOPERO GENERALE RIVOLUZIONARIO e contro le esagerazioni sindacaliste dell’azione diretta PER CUI IL PROLETARIATO VERREBBE A PERDERE L’AUSILIO DELL’AZIONE INDIRETTA O RAPPRESENTATIVA (COMUNALE E PARLAMENTARE (1));Programma che da ultimo Ferri, l’antipapa rivoluzionario ha nell’insieme e nei dettagli comune con Filippo Turati, pontefice consacrato dei riformisti,noi assumeremo ad esame i deliberati con cui la direzione del Partito Socialista ed il Gruppo Parlamentare ne cercano l’attuazione pratica.

L’esame circoscritto agli atti del partito avrà sempre questo di buono, che sarà oggettivo e chiuderà il varco all’obbiezione che la nostra critica si eserciti sterilmente a combattere, non un criterio generale e collettivo del partito, ma le vedute personali e l’atteggiamento individuale, trascurabili, di questo o di quell’altro dei suoi rappresentanti ed interpreti.

I due atti ufficiali con cui fino ad ora gli organi centrali del Partito Socialista cercano di realizzare il loro piano di difesa contro gli eccidii proletarii sono: l’ordine del giorno Ferri sulla propaganda antimilitarista approvato dalla Direzione del Partito in sua seduta plenaria la sera del 18 ottobre u.s.; e l’ordine del giorno Berenini approvato dal Gruppo Parlamentare socialista il 23 ottobre ultimo a Bologna sulla riforma tributaria.

L’ordine del giorno Ferri approvato dalla maggioranza rivoluzionaria della Direzione del Partito sulla propaganda antimilitarista è così concepito: ” La Direzione, mentre a proposito dei processi di Torino ed altrove, protesta per le reazionarie persecuzioni poliziesche contro i socialisti e i loro giornali, constatando con soddisfazione l’entusiasmo mesSo dai Circoli giovanili nel continuare la propaganda antimilitarista già iniziata dal Partito socialista italiano, delibera che a questa propaganda debba partecipare tutto il Parlamento col concorso della Direzione, indirizzandola non solo ad illuminare la pubblica opinione sugli enormi sperperi del pubblico danaro nei bilanci militari ma soprattutto a formare la coscienza dei coscritti e dei soldati non nel senso di violare i proprii doveri in caso di difesa nazionale, ma bensì di non compiere quegli eccidii proletarii, che si ripetono con obbrobriosa frequenza ed imptmità nel nostro paese.

Quest’ordine del giorno ebbe contrario il solo voto dell’Onoro Bissolati che aveva così riassunte le tendenze ed i criterii della frazione riformista:

“La direzione del Partito socialista italiano considerando

che l’accusa formulata contrq i giovani socialisti di Torino si deve presumere artificiosa in quanto il Partito socialista, per dichiarazioni fatte più .volte nei Comizi, nella stampa e in Parlamento, se è per sua natura internazionalista in quanto tende, con l’accordo del proletariato di tutti i paesi, a preparare la soppressione degli eserciti e della guerra, non ha mai disconosciuta la necessità contingente dell’attuale periodo storico di provvedere alla difesa armata del territorio e della indipendenza nazionale

che il Partito ha tuttavia lottato e lotterà senza tregua affinché le istituzioni militari, avvicinandosi ognora più al tipo della nazione armata, riescano meno gravose alla Nazione, più aperte allo spirito democratico, sempre meno atte a servire da strumento alle violenze delle classi dominanti ai danni del proletariato,

protesta

contro le persecuzioni alla stampa socialista e contro le violazioni del diritto di riunione che si vengono consumando in questi giorni sotto la ispirazione della casta militarista, e delibera

di avocare a sé la direzione e la responsabilità della propaganda e della azione socialista intorno al problema militare”.

Diamo i due documenti nella loro integrità perché i lettori – compagni od avversari – possano da sé constatare l’identità assoluta, fondamentalmente, delle preoccupazioni, degli scrupoli, delle riserve, dei criterii che informano i due ordini del giorno su cui diremo aperto, al prossimo numero, il nostro modesto modo di vedere, insieme colle nostre conclusioni.

G. Pimpino

1) Vedi Avanti! n. 3145. Roma 3 setto 1905.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, Il. 47, 25 novembre 1905, p. 2.

FRATELLI SIAMESI
II

Riformisti e rivoluzionarii del Partito socialista guardano al problema della propaganda antimilitarista con la lente degli stessi pregiudizi i, lo considerano con la stessa identica arciborghese grettezza di criterio, e, abbacinati dagli stessi feticci, agitati dalle stesse preoccupazioni e dalle stesse paure, la avviluppano delle stesse pastoie, la castrano, l’emasculano colla stessa rabbia pretesca, paurosa e feroce.

Perché mai cotesta levata di scudi antimilitarista nei sommi organi del Partito?

Perché i Circoli Giovanili, stanchi di andar sonnecchiando sull’orma podagro~a dei reverendi cacadubbi e degli onorevoli lumaconi delle due tendenze, erano insorti lavorando a loro modo IL COSCRITTO,insegnandogli tra le altre cose – dice qualche pubblico ministero nelle sue requisitorie, e qualche Pedotti nei suoi ukases – che quella d’andar soldato per servir le voglie e la libidine dei vampiri a prezzo di assassini proletari è consuetudine da perdere, mestiere da lasciare ai birri e ai boia, posto di vergogna e di infamia che è orgoglio e virtù disertare.

Apriti cielo! I giovani che evadono dalla tutela e tirano sassate in picCionaia attentando alla compagine dell’esercito sacro alla difesa armata della patria e della sua indipendenza! Ma se ne devono veder ancora?

L’onor. Bissolali che è riformista, intima alla Direzione del Partito di manifestare i criterii con cui considera il problema militare, e per conto suo pensa che la propaganda antimilitarista Non possa essere direttamente rivolta alla riorganizzazione dell’ esercito come strumento di difesa nazionale, onde l’antimilitarismo si riduce a render demoaatico l’orga/zismo militare, a ridurre le spese senza disorganizzare l’esercito, ed infine a fare in modo di impedire che l’esercito sia adoperato per repressione interna (1); e scongiura i santi padri del sinedrio a non lasciare siffatta propaganda nelle mani incaute dei Circoli giovanili.

E’ il pensiero riformista quale fu espresso dall’onoro Bissolati nella seduta plenaria della Direzione del Partito il 18 ottobre scorso e riassunto nell’ordine del giorno da noi testu2lmente riprodotto nell’articolo della scorsa settimana.

Bisogna, per la storia, ricordare che quest’ordine del giorno non fu approvato.

Ma qual’è dunque il pensiero dei rivoluzionarii, quello che raccolse sull’ordine del giorno Ferri i suffragi della maggioranza rivoluzionaria della Direzione del Partito?

Vedetelo voi in confronto dei criteri conservatori della corrente riformista.

L’onorevole Bissolati dice:

“1° Il Partito socialista è internazionalista di sua natura ma riconosce la necessità contingente dell’attuale periodo storico di provvedere alla difesa armata del territorio e dell’indipendenza nazionale;

2° Il Partito socialista lotta e lotterà tuttavia senza tregua perché le istituzioni militari riescano meno gravose alla nazione … e sempre meno atte a servire la violenza delle classi dominanti ai danni del proletariato;

3° Protesta quindi contro le persecuzioni alla stampa socialista, contro le violazioni del diritto di riunione, etc.;

4° Delibera di avocare a sé la direzione e la responsabilità della propaganda e dell’azione socialista di fronte al problema militare”.

Ed eccoci all’onorevole Ferri, che è rivoluzionario. Egli dice:

“1° Il Partito socialista contro le reazionarie persecuzioni al socialisti ed ai loro giornali protesta … come l’ono Bissolati;

2° Il Partito socialista plaude alla campagna entusiasta dei circoli giovanilima alla propaganda antimilitarista parteciperà tutto il partito col concorso della sua direzione come … vuole l’onoro Bissolati;

3° Il Partito socialista denunzia lo sperpero del pubblico denaro nei bilanci militari, come … l’onoro Bissolati.

4° Il Partito socialista non eccita i coscritti ed i soldati a violare i loro doveri in caso di difesa nazionale – propria la necessità contingente dell’attuale momento storico accampata dall’onoro Bissolati – ma vuole formare la loro coscienza nel senso che non compiano più gli eccidii proletarii che si ripetono con tanta frequenza e tanta impunità nel paese, come… è ingenua aspirazione dell’ onor. Bissolati.”

Noi non faremo ai lettori intelligenti e benevoli l’oltraggio d’una più diffusa illustrazione. Coloro che sanno leggere sono in grado di toccar con mano, da sé, che tra la corrente riformista e quella rivoluzionaria del Partito socialista di fronte al problema militare non è dissidio d’aspirazioni né conflitto di metodi.

L’unica differenza tra le due tendenze è questa : che mentre, per una parte, i riformisti rivendicano con manifesta iattanza i propositi ed i metodi conservatori che si vanno delineando e precisando da un ventenni o nel partito, dall’altra i rivoluzionari s’arrabattono con altrettanta ipocrisia a nasconderli, colla lusinga di poter gabellare alle turbe per buona zuppa rivoluzionaria le croste rancide e stantie e sciape del pan bagnato riformista.

Ma il nodo della questione più che nell ‘accertare se riformisti e rivoluzionarii sieno fratelli siamesi nell’equivoco e nella menzogna, sta nel rilevare di questa menzogna tutta l’impudenza consapevole, di questo raggiro la frode orrenda, sì che il proletariato, rompendo dell ‘una e dell’altro l’ordito bieco, riveda e ritrovi in uno spiraglio di verità, tra il balenare d’incoercibili speranze, la via della salute nell’ammonimento redentore: l’emancipazione dei lavoratori, sarà opera dei lavoratori o non sarà mai!

Menzogna e raggiro possono imbellettarsi di biacca riformista o di cinabro rivoluzionario, ma rimangono menzogne e raggiri borghesi.

I socialisti sanno come noi, e la ripetono nei momenti di distrazione, che militarismo ed esercito sono l’arca santa ed il palladio non della patria contro i nemici esterni, ma del capitale contro i nemici interni, contro il proletariato: sanno che loro precisa funzione è di tenere in freno le nostre aspirazioni, soffocare le nostre rivolte , chiuderci le vie alla resurrezione, all’emancipazione.

Dov’è dunque la loro buona fede rivoluzionaria quando ci raccomandano di non toccarne la compagine, sacra alla difesa del territorio e dell’indipendenza nazionale?

O essi confondono la libertà colla patria ed il presupposto non potrebbe essere più assurdo; o antepongono la patria alla libertà ed il loro internazionalismo il loro socialismo, il loro rivoluzionarismo sono un’impostura.

Immaginate che, compiacendo alla previsione dei più, la rivoluzione scoppi domani in Francia e che i governi europei stendano un prudente sanitario intorno alla repubblica sobillatrice, come nel 1793, sicché essa debba romperlo violentemente per espandere, puta caso, in Belgio, in Germania, in Italia i beneficii e le conquiste che è giunta a realizzare sulla disfatta della borghesia del paese.

Dovremmo noi favorir quel tentativo generoso e quegli sforzi redentori approfittando del momento di disorganizzazione e di paura, ed assaltare ed abbattere il nostro governo e le istituzioni borghesi che gli sono connesse secondando l’opera degli stranieri? ed, allora, addio patria! O dovremo, docili all’ammonimento ed alle raccomandazioni del socialismo rivoluzionario parlamentare, difendere da ogni straniera invasione ed intrusione il territorio e l’indipendenza della patria? Ed allora, addio rivoluzione, e viva la santa alleanza socialista che, come quella del 1815, riconduca i ribelli contriti ai piedi del Papa.

Arzigogolateci un cavillo sapiente, berrettoni del socialismo rivoluzionario parlamentare, perché la frode mostra l’ordito.

E poiché i socialisti delle due tendenze sanno, come noi, che l’esercito è creato, mantenuto, vezzeggiato perché difenda il privilegio contro gli sfruttati, i parassiti contro gli sfruttatori, con quanta buona fede preconizzano essi la riduzione [dei] corpi d’armata, la riduzione della ferma, la riduzione delle spese militari?

A parte che un esercito a buon mercato non risolverebbe affatto il problema, se pure non l’aggravasse, come possono essi sperare e come pensare sul serio a dar ad intendere che lo Stato, vale a dire la borghesia coalizzata, possa consentire a disarmare od anche soltanto ridurre gli stanziamenti, indebolire le sue difese proprio nel momento in cui le masse, lipresa coscienza sempre più precisa della loro funzione, proclamano confessatamente di voler attingere la loro emancipazione sulla distruzione della classe borghese?

La maggior iscrizione di cinquanta milioni nei bilanci della guerra

e della marina con cui il governo ha risposto all’agitazione socialista contro le spese improduttive, non ha insegnato nulla ai fachiri del rivoluzionarismo parlamentare.

Ma il colmo sinistro della farsa è qui: è nel voto candido con cui i socialisti delle due tendenze dopo aver consacrato l’esercito, palladio e scudo dell’indipendenza nazionale gli chiedono che almeno non voglii nella sua patria magnanimità accopparci, come cani, sulle corde d’una risaia, su una deserta strada di campagna, pei trivii d’un sobborgo.

Per della gente che sa l’esercito palladio dell’ordine borghese, tutore degli interessi borghesi, gendarme della proprietà borghese, questa di chiedere al militarismo l’eroico sacrificio d’Origene, questa di chiedere ad un organo la rinuncia alla funzione per cui fu creato e vive, è burla così scientifica che immunizza anche dagli scatti di indignazione.

Tuttavia pigliamo la sul serio, ed ammettiamo per un momento che il voto trovi in un ministero un po’ più liberale che non quello di Pelloux, di Giolitti o di Fortis il suo adempimento.

Si sarà con ciò avviato alla frequenza, all’impunità, all’obbrobrio degli eccidi proletarii? Neanche per sogno!

Ci accoppavano ieri i fratelli dell’esercito, ci accopperanno domani gendarmi e birri.

E non è previsione pessimista, è già esperienza documentata.

Vedete? S.E. l’on. Bertaux senza esser socialista (2) e senza mostrarsi alle turbe coll’aureola rivoluzionaria di carta pesta, di cui si compiace l’onorevole Ferri, assumendo il portafoglio della guerra nel ministero Rouvier, diramava mesi sono al comando dei diversi corpi d’armata una circolare in cui si leggono queste testuali parole:

Gli operai in sciopero esercitano un diritto riconosciuto loro dalla legge; non bisogna quindi trattarli come nemici, ma per contrario si devono considerare come cittadini tranquilli e magari anche non tranquilli i quali si occupano delle loro cose secondo il proprio criterio. Avranno torto, avranno ragione: la truppa non lo può giudicare.

E’ proprio l’interdizione formale, precisa, assoluta ai soldati di far uso delle armi contro gli scioperanti tranquilli e magari non tranquilli che si occupano delle cose loro, è l’esaudimento del voto dell’onoro Ferri e dell’onoro Bissolati, dei riformisti e dei rivoluzionari.

I quali potranno chiedere ai minatori di Longwy, ai gazisti di Tolone, ai muratori di Reims, alle pastaie di Maison Alforty, ai minatori di Mont Saint Martin se e come le circolari e gli ordini perentorii di S.E. l’onorevole Bertaux li abbiano protetti e salvati dalla mitraglia, dalle sciabolate della truppa, della gendarmeria, della poliziottaglia repubblicana.

Di fronte al problema militare rivoluzionarii e riformisti del socialismo parlamentare non sono dunque soltanto fratelli siamesi della menzogna e dell’intrigo, ma sono conservatori bigotti della patria, del militarismo, dell ‘ordine borghese cui servono, complici, in ispregio alla verità, a scherno delle nostre rivendicazioni, in odio alla rivoluzione sociale ed all’emancipazione proletaria.

Ed è quanto ci proponevamo dimostrare.

G. Pimpino

1) Vedi Avanti!  3191. Roma 19 ott. 1905.

2) Il Bertaux è, al contrario, un agente di cambio ed un colonnello della milizia territoriale.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 49, 9 dicembre 1905, p. 1 e 2.

FRATELLI SIAMESI
III

Sulla scorta degli atti ufficiali del Partito Socialista Italiano – ordini del giorno delle due tendenze, atti e deliberazioni della Direzione del Partito – noi abbiamo in questi ultimi numeri condotta un’accurata e spassionata disamina del primo ordine di provvedimenti e di rimedii con cui il Partito Socialista Italiano si illude di ovviare alla frequenza sciagurata e sintomatica degli eccidi i proletarii che insanguinano il bel paese.

Non è colpa nostra se da quella disamina erompe limpida, logica, insopprimibile la conclusione che di fronte al problema militare, rivoluzionari e riformisti del socialismo parlamentare si confondono nel più patetico degli idilli; che tra Filippo Turati il quale sconfessa irato la propaganda Incosciente e Malvagia – percbé diretta contro l’ordine e la patria- dei compagni che eccitano i soldati alla ribellione (1), ed Enrico Ferri il quale, pure ammonendo i soldati che essi non debbano prestarsi all’eccidio, riconosce e riafferma il loro dovere di servire alla patria ed alle istituzioni che la consacrano, non v’è neppur l’ombra di un dissidio; che infine rivoluzionari e riformisti del socialismo parlamentare non sono soltanto fratelli siamesi di uno stesso equivoco e di una stessa menzogna ma sono ancora, nella loro concezione del problema militare e dei provvedimenti con cui risolverlo (riduzione dei bilanci militari, avviamento alla nazione armata, neutralità dell’esercito in caso di conflitto tra capitale e lavoro) frateUi siamesi con tutta la radicanglia borghese di cui – abiurato il principio fondamentale e caratteristico della lotta di classe – hanno sposato il programma, l’assurdo ed il raggiro.

Ma questo della propaganda antimilitarista – sottratta ai Circoli Giovanili e riattivata , con tutte le riserve tartufe da noi messe in luce, sotto l’egida, l’ispirazione ed il freno della suprema Direzione del Partito – non è il solo rimedio che contro la periodicità delle stragi proletarie abbia escogitato e proponga il Partito Socialista Italiano.

V’è tutta la serie di provvedimenti economici (riforma tributaria, incremento alla produzione) e politici (suffragio universale) su cui sarà debito di lealtà polemica e pregio dell’opera trattenere un momento l’attenzione dei lettori.

Come la Direzione del Partito aveva colla sua deliberazione 18 ottobre 1905 precisato i caratteri e la portata della propaganda antimilitarista, così il Gruppo Parlamentare ” anche nell’interesse della tesi socialista che assegna la sua importanza alla funzione parlamentare nella varietà delle forme di azione socialista, politica ed economica” (2) determinò a B.ologna, nella riunione plenaria del 23 ottobre 1905, i criteri di rigenerazione economica e sociale con cui confida redimere le cause dei deplorati eccidi proletarii.

Questi criterii il Ferri, araldo della frazione rivoluzionaria, li aveva ampiamente sviluppati in una sua conferenza a Catanzaro, il 3 ottobre scorso e si imperniano su due diversi ordini di provvedimenti:

Provvedimenti diretti all’immediato sollievo delle classi povere colla riduzione alla metà del prezzo del sale e dell’imposta sul petrolio, lozucchero e il pane.

Provvedimenti indiretti col prestito di mille milioni ai piccoli proprietarii della terra e dell’industria al modesto interesse del 2 per 100.

La riduzione del prezzo del sale e della tassa sul petrolio, lo zucchero, il grano importa una diminuzione d’entrate di 130 milioni all’anno. L’interesse del 21;2 per 100 (poiché il 2 per 100 sarà pagato dai mutuatari) che lo Stato dovrà pagare pei mille milioni presi a prestito, somma annualmente 25 milioni.

Per le riforme rigeneratrici (chiamiamole così, per ora) escogitate e proposte dal Ferri, occorrono dunque 155 milioni all’anno; ma il Ferri non si sbaraglia per così poco e Ii trova in un batter d’occhio:

20 milioni si hanno d’ordinario in avanzo sui bilanci,

20 milioni si hanno annualmente di nuove entrate,

100 milioni può darli un aumento della tassa di ricchezza mobile del debito consolidato,

15 milioni si trovano in qualunque razionale economia di bilancio, ed eccovi trovato i 155 milioni occorrenti alle riforme.

Alla restituzione del capitale di mille milioni provvederanno i nostri figlioli.

Abbiamo dovuto dare nei suoi dettagli i provvedimenti proposti dal Ferri non parendoci che i lettori potessero formarsene un preciso concetto dal seguente ordine del giorno, soverchiamente generico, che il Ferri presentò alla riunione del Gruppo Parlamentare Socialista a Bologna il 23 ottobre scorso:

“Il gruppo parlamentare socialista

ritenendo che le disgraziate condizioni materiali e morali dell’Italia meridionale, più dolorosamente rilevate dal recente terremoto e dai frequenti eccidii proletari, impongono l’urgente necessità di attuare una politica di immediata eprofonda rigenerazione economica e sociale,considel’ando che la questione meridionale è pure collegata alle generali condizioni di tutta l’Italia,

delibera (riservandosi l’esame definitivo) di dare incarico ad una propria Commissione di concretare, prima della riapertura del Parlamento, un progetto per la riforma tributaria e per l’incremento della produzione e dei pubblici servizi, inspirato al criterio di una diminuzione nelle spese per gli interessi del debito pubblico e nelle imposte sui consumi di prima necessità.” (3)

Ivanoe Bonomi – campione, in materia, della frazione riformista – aveva fin dall’anno scorso abbozzato nella Nuova Antologia ed ora sviluppato nellaCritica Sociale del Turati (4) in quali provvedimenti cerchi la rigenerazione economica e sociale del proletariato, la frazione riformista in cui milita.

Questi criteri furono alla riunione del Gruppo Parlamentare Socialista a Bologna fedelmente riassunti nel seguente ordine del giorno TuratiBissolati:

“Il Gruppo parlamentare socialista,

di fronte alle urgenze della situazione e in particolare al problema meridionale, prodotto essenzialmente di una inferiorità economica che non si può rimuovere senza elevare organicamente le possibilità permanenti di sviluppo della ricchezza:

ritiene che una semplice politica di sgravi dei consumi, tanto più nei limiti angusti in cui sarebbe oggi possibile ottenerla senza alterare profondamente tutto l’assetto dei bilanci, non avrebbe alcun risultato pratico durevole, sovrattutto pel proletariato, riducendosi a un’agevolezza di poche lire per ciascun contribuente, tosto assorbita improduttivamente, nella migliore ipotesi, dall’urgenza di ben vasti bisogni, quando invece non venisse o dispersa nelle anfrattuosità del medio o del minimo commercio, o scontata da una riduzione di salari e da una maggiore asprezza di patti colonici;

crede perciò, che riservati gli sgravi a quando più lauti avanzi di bilancio e minori esigenze dei servizi pubblici, permettano di affrontare l’azione attuale del Gruppo socialista nel Parlamento e nel paese, sia nella discussione di progetti governativi, sia mercé iniziativa da concordarsi eventualmente con altri gruppi, debba svolgersi energicamente nel senso di togliere di mezzo la possibilità delle angherie dalla finanza di classe comunale e di operare la maggior possibile traslazione del carico tributario dalle classi produttive e povere alle classi ricche ed oziose, e precisamente nelle direttive seguenti:

1) Riforma tributaria, mercé l’abolizione delle imposte sul valore locativo e di famiglia e la loro sostituzione con un’imposta di Stato progressiva sul reddito – abbattimento delle cinte daziarie e abolizione del dazio consumo, salvo, con altri metodi di riscossione, per le carni, pel vino e pel mater-iale da costruzione – autonomia finanziaria comunale, mercé una più equa ripartizione di spese di Stato e Comuni e con l’assegnazione a questi ultimi di speciali cespiti d’entrata;

2) Sollecita conversione della rendita, e eventuale riduzione degli interessi per via d’imposta, per assegnare i benefici alla ricostruzione e allo sviluppo, su base schiettamente industriale, dei maggiori servizi pubblici (ferrovie, poste, telegrafi, telefoni, ecc .) – e, nel Mezzogiorno, alla rapida diffusione dell’istruzione elementare e professionale anche per gli adulti: all’incremento dei lavori pubblici indispensabili (strade, bonifiche, rimboschimenti, serbatoi idraulici, ecc.) allo sviluppo della colonizzazione interna e allo spezzamento del latifondo; alla temporanea esenzione fiscale delle nuove industrie, delle migliorie agrarie e delle nuove costruzioni coloniche;

3) Credito a mite prezzo alle Cooperative dei lavoratori.”

Turati-Bissolati

Dopo una giornata di discussione, l’eterna discussione se le riforme, che tutti vogliono, debbano essere conquista della pressione politica o della collaborazione di classe – se, ad essere più schietti, si debbano chiedere alla collaborazione larvata o alla collaborazione confessata di classe – le due correnti si sono placate in quest’ordine del giorno dell’arciriformista onoro Berenini che fu approvato all’unanimità:

“Il gruppo parlamentare socialista nell’intendimento di proporre alla Camera una risoluzione pratica ed attuabile delle questioni economiche e tributarie presenti, coordinata alle finalità del socialismo, nomina una Commissione cbe esamini i varii progetti proposti e formuli quello che soddisfi a tali esigenze da sottoporsi alle deliberazioni definitive del gruppo in una sua prossima riunione”.

Vedremo al prossimo numero sulla scorta di questi documenti se le conclusioni ed i giudizii da noi eretti sull’atteggiamento cosidetto antimilitarista del Partito Socialista Italiano ricevano una nuova luminosa inoppugnabile conferma.

G. Pimpino

1) Intervista col Corriere della sera, 21 ottobre 1905.

2) Deliberato della Direzione del Partito Socialista Italiano, 18 ottobre 1905.

3) Discorso Ferri alla riunione del Gruppo Parlamentare Socialista a Bologna il 23 ott. 1905. Avanti!, n. 3197.

4) Critica sociale, anno XV, n. 20-2l.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, D. 50, 16 dicembre 1905, p. l e 2.

FRATELLI SIAMESI
IV

I provvedimenti per la rigenerazione economica e morale del paese elaborati dal Gruppo Parlamentare Socialista nella sua conferenza di Bologna (23 ottobre 1905) documentano in modo più grave ed esauriente l’indennità di aspirazioni e di propositi della corrente riformista e della corrente rivoluzionaria del socialismo parlamentare, che noi abbiamo ritrovato costante e concorde negli atteggiamenti delle due fazioni di fronte alla propaganda antimilùarista. E ribadiscono in modo ineccepibile che le due correnti, comunque si chiamino, non sono ormai che una gradazione e neanche la più avanzata dei partiti borghesi che si contendono in parlamento la greppia e la biada dei pubblici poteri.

Vorrebbero bene le due tendenze giustificare ancora la loro distinta funzione colla diversità dei metodi di azione nel senso che l’una, la rivoluzionaria, vorrebbe strappare le riforme colla pressione politica, mentre l’altra, la riformista vorrebbe chiederle ad un’aperta collaborazione di classe, ma il giuoco è ormai abusato e la realtà pratica fa ad ogni passo giustizia dei sofismi trappoloni.

Il Ferri e con lui i cosidetti rivoluzionarii del socialismo parlamentare, sanno ed insegnano – e documentano da qualche tempo assiduamente colla cronaca sovversiva del movimento russo – che a premere efficacemente sui pubblici poteri bisogna battere la via scabrosa delle intransigenze audaci per cui l’azione del proletariato appaia, nell’aspro conflitto degli interessi di classe, orientata nettamente verso l’espropriazione della borghesia a cui è imprescindibilmente subordinata l’emancipazione economica dei lavoratori.

Se domani, ad esempio, il proletariato della patria, affrancato dalla losca tutela dei cattivi pastori si decidesse una buona volta a far da sé, ed alla tracotanza dei padroni ed alla tirannide dei pubblici poteri rispondesse negando il suo tributo di lavoro alla produzione, il suo tributo di fame all’imposta, il suo tributo di fede all’urna elettorale: alle classi dominanti – poiché nella violenza reazionaria non si può eternamente né seriamente confidare – non rimarrebbe che uno scampo: concedere il poco per non perdere il tutto. Ci riconoscerebbero quindi con ogni sollecitudine la giornata di otto ore, la riduzione dell’imposta e della ferma, il diritto al riposo festivo ed alla pensione con tutte quelle riforme che, salva ed inviolata l’arca santa della proprietà individuale, esse possono concederci senza diminuzione dei loro privilegi e del loro dominio di classe.

Queste riforme sarebbero, secondo l’espressione del Ferri, strappate alla borghesia dalla pressione politica del proletariato.

– Ma sarebbero riforme da burla.

– Perfettamente d’accordo! e per questo non sappiamo che farne e non le chiediamo e troviamo assurdo che altri in nome del socialismo le solleciti per noi.

In nome del socialismo si può chiedere al proletariato, alle sue energie rivoluzionarie, per la salute comune, l’abolizione dei privilegi di classe e di ogni conseguente forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non si chiede al parlamento una riforma che – anche quando è conseguenza indiretta della nostra pressione politica – rimane uno specifico e caratteristico modo d’azione dei governi di classe con cui socialismo e rivoluzionarismo non hanno nulla da spartire.

Come possono dunque il Ferri, ed i rivoluzionari alla sua maniera, affermare che fanno praticamente del socialismo, della lotta di classe, della pressione rivoluzionaria, quando questi loro provvedimenti di rigenerazione economica e morale non provocano, urgendo la massa alla integrale conquista dei suoi diritti, ma li concretano in un progetto di legge da presentarsi al Parlamento perché coi suffragi dei rappresentanti più bigotti della borghesia diventi legge dello Stato, che è quanto dire legge di classe, legge borghese?

Essi, i rivoluzionari – salvo l’ipocrisia che hanno in più – fanno l’opera stessa dei Turati, dei Bissolati e di quanti sono fraticelli pinzocheri del socialismo riformista, fanno cioè opera di collaborazione di classe, di conservazione borghese, di controrivoluzione: si burlano del proletariato, delle sue aspirazioni, della sua emancipazione.

L’esame anche affrettato e superficiale dei provvedimenti proposti ce ne offrirà esuberante e risolutiva la prova.

Dicono i rivoluzionari col Ferri, col. .. Magliani e col Giolitti: in Italia chi ha molto paga poco, chi ha poco paga molto; bisogna dunque capovolgere il sistema tributario, sollevare coloro che vivono del lavoro quotidiano del maggior peso d’imposta e trasferirlo sui ricchi che vivono di rendita, vale a dire del lavoro altrui. Quindi riduzione del 50 per 100 sul prezzo del sale, e sulle imposte gravanti lo zucchero, il petrolio, il grano.

Dicono i riformisti col Bonomi, il Turati, il Bissolati: lo sgravo dei consumi tanto più nei limiti angusti in cui si potrebbe oggi ottenerlo non avrebbe alcun risultati pratico durevole pel proletariato, quindi l’azione del Gruppo Parlamentare Socialista deve svolgersi energicamente nel senso di eliminare le angherie dalla finanza di classe e di operare coll’abolizione delle tasse di valor locativo e di famiglia coll’abolizione delle cinte daziarie e del dazio consumo coll’introduzione di una tassa unica e progressiva sul reddito, lamaggiore traslazione del carico tributario delle classi produttive e povere alle classi ricche ed oziose.

La diversità dei capitoli da falcidiare, dei tributi da ridurre o da abolire, non turba l’unità dei criteri i e dei metodi delle due tendenze che chiedono entrambe immediati sollievi pel proletariato allo stesso pregiudizio ed alla stessa frode: alla traslazione del carico tributario dai poveri ai ricchi; che chiedono ambedue la rigenerazione economica dei paese ai… debiti, ai prestiti senza di che l’onorevole Turati ed i riformisti non saprebbero provvedere alla conversione della rendita che può sola elevare organicamente e permanentemente le possibilità di sviluppo della ricchezza nazionale.

La concordia tra riformisti e rivoluzionarii è dunque costante nella diagnosi e nella cura: gli eccidii preparati sordamente nella inferiorità economica, nell’assoluta mancanza di capitali di cui soffrono troppe regioni d’Italia, sono determinati dalle angherie fiscali, dall’asprezza e dalla durezza dei tributi che gravano sui consumi: non si possono quindi ovviare che allievando subito il peso delle imposte e secondando lo sviluppo della ricchezza e l’incremento della produzione con dare alla piccola proprietà agricola ed industriale un migliaio di milioni (dice il Ferri) coll’incoraggiare le nuove industrie, le migliori economie od ogni altra iniziativa di colonizzazione interna esonerandola, (consiglia il Turati) da ogni gravame fiscale.

Sempre l’empirismo, la menzogna ed il raggiro che noi abbiamo dovuto deplorare negli specifici antimilitaristi del socialismo legalitario.

Credere e far credere che alla miseria dei lavoratori si possa rimediare colla traslazione dei tributi sulle classi ricche è ripudiare tutta la critica che da mezzo secolo il socialismo ha condotto con Proudhon, Marx e Bakounine contro le frodi dell’economia borghese e della sofistica radicale; e rinnegare tutto il socialismo.

Scaricare sui ricchi con una legge le imposte che gravano oggi sui poveri? colpir di cento milioni di sovraimposta i titoli del debito consolidato? e ridurre del cinquanta per cento la tassa sullo zucchero, il petrolio, il grano ed il prezzo del sale? E sta bene! ma su chi si scaricheranno i ricchi del nuovo aggravio? e dove attingerà il governo i duecento milioni che le riforme socialiste sottrarranno annualmente alle entrate dei bilanci?

I ricchi s’indennizzeranno sui poveri, lo Stato con nuove forme d’imposta. I primi ci riprenderanno nelle riduzioni di salario, nell’inasprimento dei contratti di lavoro, nell’aumento delle pigioni, del prezzo dei generi di consumo quanto il nuovo sistema tributario avrà loro sottratto, lo Stato s’indennizzerà con nuove imposte dei cespiti d’entrata che la riduzione e l’abolizione delle vecchie tasse gli avrà disseccato. Ed in ultima analisi i provvedimenti socialisti per l’incremento e lo sviluppo della produzioneborghese, sarà pagato da pantalone, da noi, totalmente da noi giacché, si chiami rendita, interesse, profitto, ricchezza, quanto insomma è proprietà imponibile non nasce, non si sviluppa, non s’accresce (se meritano sempre un po’ di fede socialista Owen e Proudhon, Engels e Marx e Bakounine e la logica e l’espressione) che in grazia a quella sistematica appropriazione del prodotto del nostro lavoro non pagato, che costituisce appunto la forma fondamentale della produzione capitalistica e dello sfruttamento borghese.

I famosi provvedimenti socialisti di rigenerazione economica e morale della terza Italia non si risolvono dunque che nella solenne turlupinatura per cui, reso il dovuto omaggio all’istituto borghese della proprietà, riconosciuta la provvida tutela dello Stato e rivendicato, a scherno della lotta di classe, il diritto di fare d’accordo coi rappresentanti borghesi della Camera e del Senato opera di provvida legislazione proletaria, i rivoluzionari ed i riformisti del socialismo parlamentare, mentre riconoscono di non poter venire efficacemente in soccorso delle nostre miserie, ci estorcono mille milioni pei piccoli proprietari dell’agricoltura, mille milioni per dare incremento alla produzione capitalista, mille milioni per aprire nuove fonti a nuovi campi e nuove sentine di sfruttamento borghese.

Sarebbe senza dubbio interessante contrapporre cotesta sollecitudine rivoluzionaria del socialismo parlamentare per la piccola proprietà agricola ed industriale colla teorica e colla preconizzazione marxista della concentrazione capitalistica e mettere in luce ancora una contraddizione del famigerato socialismo scientifico, ma la discussione dottrinale esorbiterebbe dai limiti e dalla tesi del presente articolo. Il quale ha il modesto assunto di dimostrare che, dopo la patria, riformisti e rivoluzionarii del socialismo parlamentare non hanno altro amore ed altra religione che la trinità borghese della proprietà, dello Stato, e della legge; ma ha anche la modesta e legittima pretesa d’avere raggiunto largamente la prova.

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. III, n. 51 , 23 dicembre 1905, p. l e 2 .

IL SUFFRAGIO UNIVERSALE

Quello che ne pensavano i socialisti trent’anni fa.

I

“Non v’è nulla di così triste e così inesplicabile quanto il fascino che esercita – anche oggigiorno sulla generalità della classe operaia il suffragio universale … ”

“Eppure se qualche cosa la storia di quest’ultimi anni ha insegnato, questo si è: che l’emancipazione del proletariato come risultante dalla sua ammissione all’elettorato E’ UNA FRODE; che oggi intervento elettorale della classe lavoratrice alle urne torna fatalmente a profitto della classe nemica, della borghesia “.

Jules Guesde

Almanach du Peuple 1873

* * *

“Per elettori, per sovrani che siano i salariati che per mezzo del suffragio hanno potuto liberare internamente il paese, rifargli una finanza, un credito, delle frontiere … sono stati impotenti non soltanto a ridurre di un’ora i lavori forzati a cui li condanna la loro ereditaria espropriazione di tutto il capitale esistente; non soltanto ad accrescere, sia pure di poco, la parte che è loro attribuita, come salario, sulla ricchezza di cui sono tuttavia i soli produttori o gli annuali riproduttori, ma anche a ritenere e conservare i mezzi insufficienti di sussistenza che avevano precedentemente conquistato.”

“Quale dimostrazione più sfolgorante della sterilità, dal punto di vista proletario, di questo suffragio universale, dal quale i più – vittime ancora della sofistica radicale – si ostinano ad attendere la loro emancipazione graduale e pacifica!

L Guesde

La Republique et les greves, 1878

* * *

“Si sa bene che cosa pensiamo del suffragio universale in materia di emancipazione economica e sociale.

Ben lungi dal favorire gli interessi della classe operaia, dall’appianare le vie al quarto stato, esso non ha servito, nelle condizioni in cui funziona da trent’anni, e non poteva servire che al nemico, alla classe dirigente, di cui consolida il dominio:

I. dividendo i proletari finora uniti, saldati, per cosi dire, gli uni agli altri dalla stessa loro esclusione da ogni azione governativa, e spingendoli a battersi fra loro per la scelta dei loro padroni politici;

II. ingannandoli con la speranza menzognera d’una emancipazione graduale, pacifica, legale, uscente dalle urne, che essi possono riempire di schede, ma di cui la borghesia è doppiamente padrona co’ suoi capitali e con la sua istruzione;

III. dando un’apparenza di legittimità a uno stato di cose che non era e non poteva essere, fino ad allora, che il prodotto, l’espressione della forza, e come tale, sempre scoperto contro la forza.

* * *

Non sarà inutile mettere sotto gli occhi di questi ciechi volontari (gli elettori) le seguenti linee, tolte da un libro destinato a glorificare la missione di tutti allo scrutinio, il voto generalizzato:

“Il suffragio universale, introdotto in una nazione, non sconvolge il personale governativo, come si potrebbe credere. Lascia pressapoco il potere allo stesso strato sociale che lo aveva prima del suo avvento, si limita a cambiamenti di persona, ed anche questi cambiamenti sono meno numerosi di quanto si potrebbe supporre. Solo lentamente, dopo anni ed anni, nuovi strati governativi si formano, si costituiscono sotto la sua influenza, simili agli strati geologici che nascono in fondo agli oceani. Guardate in Francia le assemblee del regno di Luigi Filippo, quelle della repubblica di Febbraio, quelle dell ‘Impero, della repubblica attuale, e vedrete quanto è esatta la legge che ho formulato .. . Quanti membri dei nuovi strati sociali sono giunti nei nostri parlamenti? Possiamo contarli. Di seguito fin le persone hanno poco cambiato. L’odierna maggioranza repubblicana non è forse in gran parte formata di ex monarchici, che governavano sotto Luigi Filippo ed hanno ancora il potere oggi, dopo aver aderito alla forma repubblicana.”

Questa pagina, sulla quale richiamiamo l’attenzione dei nostri amICI della classe operaia, è [di] Alfred Naquet, già socialista, già intransigente, ora deputato opportunista di Vaucluse.

La leggano i lavoratori, e essa non apre a loro gli occhi, se non li toglie al miraggio di cui sono da tanto tempo le vittime, sono veramente incurabili.

Si era detto loro, e si sono lasciati persuadere, che con la barriera che li teneva lontani dalle urne, cadeva l ‘ultima pietra della loro lunga prigione politica ed economica, che “sono essi i principi” i sovrani, i dirigenti – per ripetere l’energica espressione della signora Flocon, nel 1848 – e che preparerebbero essi stessi l’avvenire; e da anni ed anni che il suffragio universale esiste, si vede com’esso non solamente non ha nulla cambiato nelle leggi, ma anche nel personale governativo, reclutato oggi nello stesso strato sociale, composto dalle stesse persone che sotto la monarchia di Luglio. Cos1 gli operai, per quanto siano divenuti elettori, sono governati e sudditi come nel passato, e sudditi, il che peggio della stessa oligarchia capitalista e proprietaria.

Si era detto loro, e si sono lasciati persuadere, che colla sola scheda, essi s’impadronirebbero meglio, in maniera più sicura e con minori spese, del vecchio fucile del 14 Luglio, del 1O Agosto, di Saint-Merry, ecc., del potere, ormai destinato al numero, e che, padroni del potere, sarebbe loro possibile, facile, di rifare legalmente, col parlamento, pel bene di tutti, un ordine sociale, di cui ora approfittano solo poche persone; e si vede come dopo una elezione presidenziale, due plebisciti, otto elezioni generali legislative, il potere è rimasto nelle mani degli stessi proprietarii che lo difendevano nel 1830.

Tasse, crediti, servizi pubblici dovevano essere riordinati, a beneficio ed uso dei proletari, dei proletari divenuti maggioranza nelle assemblee nazionali, come lo sono nella nazione; e invece si possono “contare i membri dei nuovi strati sociali che sono giunti nei nostri parlamenti”, i quali vi sono arrivati, bisogna aggiungere, solo per rinnegare questi nuovi strati sociali, per sacrificarli all’antico.

Tali risultati bastano a giudicare un’istituzione; e – ancora una volta – se, messi così brutalmente in presenza della misticazione di cui sono vittime, i nuovi servi del capitale non riconoscono il loro errore e persistono ad attendere la loro salvezza da ciò che chiamano l’arma pacifica onnipotente del voto e che in realtà è un semplice giuocattolo di fine d’anno, “la tranquilitè des bourgeois, l’amusument des travailleurs,” essi potrebbero incolpare se stessi della loro prolungata miseria.

E sarebbe tanto più colpa loro, che, non lasciar loro scusa alcuna, Alfred Naquet si dà la pena di dichiarare che questa sterilità del suffragio universale, dal punto di vista operaio non è un fatto accidentale, prodotto da circostanze che possa sparire, od essere modificato, ma una legge, “una legge sociale che constata, come constaterebbe una legge chimica, colI ‘osservazione”.

L’EGALITE’ [1], n. 33, 14 Luglio 1878

“Quanto al suffragio universale, di cui Ledru-Rollin non fu, del resto, l’inventore, ma che egli avrebbe “organizzato, – perché non lo diremo? – s’egli l’ha stabilito nel 1848, è come Luigi Bonaparte doveva stabilirlo nel 1851, e cioè senza il minimo profitto per il popolo lavoratore.

Forse egli non si rese ben conto della sterilità di questa “grande riforma “, nelle condizioni d’eguaglianza economica in cui si operava. Noi non l’accusiamo non più di aver pecu1ato sull’illusione di questa sovranità popolare attribuita a ciascuno e a tutti, quando con la proprietà del suolo e degli altri strumenti di lavoro, la sovranità reale restava e doveva restare alla minoranza dei proprietari.

Noi vogliamo credere alla sua sincerità e cioè alla sua miopia. Ma, per quanto pure siano state le sue intenzioni, non è men certo che il risultato di questa generalizzazione del suffragio, non accompagnato dalla generalizzazione della proprietà, è stata un perfetto zero – e non poteva essere altrimenti.

Col pretesto che la scheda bastasse e doveva bastare a tutto, la carabina, il diritto alla carabina, è stato cancellato dall’arsenale popolare; e da questa scheda che miglioramento ha ottenuto la massa laboriosa, dopo trent’anni che ne fa uso?

Né come produttore, né come consumatore, né come contribuente – contribuente di sangue o contribuente di denaro – l’operaio divenuto elettore non ha visto diminuire i pesi che lo schiacciano o scemare anche minimamente lo sfruttamento di cui è vittima.

I salari sono restati ciò che erano all’epoca del censo, e cioè limitati a quanto assolutamente indispensabile al mantenimento e alla riproduzione del macchinismo umano: i salariati.

La coscrizione, altrettanto inutile che obbligatoria, co’ suoi rischi di morte sul campo di battaglia dell’ambizione di alcuni, ha continuato a trasformare le vittime del capitale in difensori, loro malgrado, degli interessi capitalisti.

Contro i suoi sforzi per ritenere una parte meno derisoria del suo prodotto, il lavoro non ha cessato d’incontrare la stessa legislazione parziale, che eleva fra i lavoratori della stessa città, dello stesso corpo di mestiere, le frontiere insormontabili, soppresse invece da essa fra i capitali e i capitalisti di tutti i paesi e di tutti i mondi, da lungo tempo.

E noi lo ripetiamo, non poteva essere diversamente.

E’ possibile immaginare l’elettorato concesso ai negri di Cuba o del Brasile, senza che prima sia stata abolita la schiavitù? Di quale aiuto potrebbe essere questo pezzo di carta nelle mani d’uomini che non possono disporre di se stessi, la cui esistenza dipende dal capriccio altrui?

Ebbene, il salariato sotto il rapporto della dipendenza In cui tiene il lavoratore bianco, non si distingue dalla schiavitù nera .

Non è forse Edgard Quinet che scriveva nel 1872:

“Votare secondo la propria coscienza (i propri interessi) è un pericolo pel lavoratore : contadino, si romperà il suo contratto d’affittanza ; operaio, perderà la sua clientela ricca. Ecco sulla paglia lui, sua moglie, i suoi bambini, per una scheda!!”

D’altra parte, dove e come “l’operaio di sette anni “, che Jules Simon, difendeva nei suoi libri per fucilarlo più tardi nella strada insieme agli altri, dove e quando quest’operaio, pel quale la miniera e l’officina furono la sua scuola, avrebbe imparato ad usare in maniera intelligente ed utile della sua scheda?

Infine, ammettendo per un momento che questo doppio scoglio del suffragio universale abbia potuto essere evitato, che il lavoratore possa e sappia reclamare colle elezioni i suoi diritti, cioè la terra che coltiva e gli strumenti del lavoro, dov’è la sanzione necessaria alle rivendicazioni elettorali? Chi oserebbe sostenere che alla semplice presentazione di queste domande la nuova feudalità finanziaria industriale e commerciale, disponendo di gendarmi, soldati e giudici, abbasserà la sua bandiera e cederà il posto al proletariato? Non è, al contrario, evidente, che il quarto stato potrà bene avere il diritto per sé, ma la classe dirigente, avendo la forza riderà della volontà del quarto stato legalmente espressa?”

L’EGALITE’, n. 14, 2 Luglio 1878

“La nostra attitudine verso il parlamento dev’essere rigorosamente ostile. I deputati socialisti possono tutt’al più entrare una sola volta alla camera, protestare contro gl’ignobile commedia ed abbandonare subito codesta fucina di chiacchere. I socialisti non debbono e non possono, sotto pena di tradire i loro principii, trafficare coi loro nemici”.

LIEBKNECHT. “Worwarts”, n . 2

” Compito nostro non è di avere molti deputati in parlaniento, compito nostro è d’organizzare i lavoratori per la rivoluzione “.

EGALITE’, 21 Gennaio 1880

” Chi pretende attingere per mezzo del parlamento le finalità del socialismo o queste finalità ignora, o queste finalità tradisce”.

BEBEL al Congresso di Halle

Questo, trent’anni fa, il pensiero concorde dei socialisti sul suffragio universale e sull’azione parlamentare, vedremo al prossimo numero che cosa ne pensino ora.

G. Pimpino

L’EGALITE’ era l’organo di Guesde, Deville e Lafargue.
Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 2, 13 gennaio 1906.

IL SUFFRAGIO UNIVERSALE

Che cosa ne pensano i socialisti oggi

II

Nel 1848 si disse al proletariato francese: in luogo della carabina insurrezionale, in luogo del fucile del 24 febbraio, delle giornate di Luglio, e del lO Agosto, eccoti una scheda che vale qualche cosa di meglio e tira più lontano, che non sparge sangue, che non lascia né vedove né orfani. Sarebbe strano che dopo avergli dato quest’arma pacifica e legale voi pensaste a riprendergliela …

Non lo fate! io ve lo chieggo NEL VOSTRO INTERESSE, e nell’interesse della nazione.

J. Guesde, Camera dei deputati.
Seduta dell’ll luglio 1905.

* * *

COLLA SOLA ARMA DEL VOTO l’esercito collettivista diverrà fatalmente e tra poco padrone del governo, padrone della Repubblica e non più allora a beneficio di pochi sfruttatori ma a beneficio della grande massa dei lavoratori. E procederà – come la borghesia, alla fine del secolo scorso colla rivoluzione di cui si fa ora scudo – dichiarando beni nazionali le ferrovie , le miniere, le officine, le grandi proprietà fondiarie .

J. Guesde, Camera dei deputati.
Tornata del 25 Giugno 1896.

* * *

Badate a voi! il giorno in cui il socialismo avesse a finire voi sarete abbandonati senza difesa a tutte le rappresaglie individuali, a tutte le vendette private.

Noi socialisti preconizzando ai lavoratori un affrancamento collettivo che emana e PUO’ EMANARE SOLTANTO DA UN’AZIONE POLITICA COMUNE, siamo di fatto la più grande società di assicurazione sulla vita dei grandi feudatarii dell’industria. Tanto peggio per voi se la propaganda e l’organizzazione socialista venissero a subire una momentanea eclissi. Voi vi troverete di fronte a disperazioni e ad odii accumulati da secoli di cui nessuno potrebbe allontanare l’esplosione.

J. Guesde. Camera dei deputati.
Seduta del 16 Luglio 1896.

* * *

Noi non ci appelliamo che al suffragio universale; è il suffragio che noi vogliamo affrancare economicamente e politicamente. CHE NESSUNO CI PRESTI LA GROTTESCA INTENZIONE DI ATTENDERE IL TRIONFO DELLE NOSTRE IDEE DALLA RIVOLUZIONE VIOLENTA.

A. Millerand. Al Banchetto della Municipalità,
alla Porte Dorèe, il 31 maggio 1896.

Quanto a coloro che gratuitamente ci imputano attendere noi il trionfo delle dottrine collettiviste da una rivoluzione violenta, rispondiamo che nessun atto della nostra condotta autorizza un sospetto simile.

Noi siamo troppo felici del successo sempre crescente assicuratoci dal suffragio universale per sognare altri mezzi d’azione.

A. Millerancl. ECLAIR, 15 maggio 1896.

* * *

Che cosa vogliamo noi? Libertà assoluta di stampa, libertà assoluta di riunione, libertà assoluta di religione, suffragio universale per tutti i corpi rappresentativi e per tutti i pubblici poteri sia del Comune, sia dello Stato . .

Liebknecht. The Forum Library, n. 3, Aprile 1895 .

* * *

Non v’è che un mezzo per realizzare il socialismo, è la conquista del potere politico.

Bebel al Congresso di Londra 1896.

* * *

Lavoratori! Se volete cbe noi possiamo fare qualche cosa per la vostra causa, non avete che ad accrescere il numero dei nostri deputati ai Reichstag.

Vorwarts Gennaio 1878.

* * *

Il suffragio universale diretto, unico e segreto della scelta dei depositari costituisce per la democrazia operaia uno dei mezzi essenziali e la condizione primordiale dell’emancipazione politica e sociale …

Il congresso dichiara che la lotta per il perfezionamento del suffragio universale è uno dei migliori mezzi a preparare intellettualmente e moralmente le masse alla conquista della sovranità politica ed economica, e penetrarle del sentimento della lotta di classe e ad abituarle al governo dello Stato socialista futuro.

V Congresso Socialista Internazionale . Parigi, 23-27
settembre 900. Resoconto Analitico Ufficiale, pago 113.

* * *

Il Congresso delibera:

Di confermare gli articoli dello Statuto i quali fra gli altri oggetti da proporsi al Partito stabiliscono quello di impadronirsi del Comune mediante una viva lotta elettorale e di proporre al Parlamento candidature socialiste ed operaie …

Congresso del Partito Socialista Italiano a Mantova,
25-26 aprile 1896.

* * *

… quando avessimo fiducia di essere ascoltati nOi ci limiteremo a chiedere all’onor. Depretis il suffragio universale politico ed amministrativo

* * *

A. Costa. Rivista Italiana del Socialismo.
Anno I, n. 2, pago 59 . Imola 1886.

* * *

Suffragio universale semplice, diretto e segreto per tutti i maggiorenni d’ambo i sessi …

Prog. Massimo e Minimo del Partito Socialista
Italiano. Pago 12. Ed. Nerbini.

* * *

Spontaneamente da più parti sorge l’idea di una forte agitazione per la conquista del suffragio universale. Visibile è la suggestione dei casi di Russia …

E se l’attualità pel suffragio universale ci viene spontaneamente offerta dai casi storici attraverso cui sta passando l’Europa, lasceremo noi cadere l’invito che gli avvenimenti ci fanno o non piuttosto sapremo noi elevarci alla loro altezza?

A. Labriola. “Avanti”, 14 nov. 1905. N. 3217.

* * *

Considerando che il suffragio universale semplice diretto e segreto è la prima delle rivendicazioni inscritte nel programma minimo del Partito Socialista Italiano fino dalle sue origini (1) .

Che il diritto al suffragio promana dall’interesse vitale che ogni cittadino ha – tanto maggiore quanto più triste è la condizione in regime di privilegio economico – di pesare sulla bilancia della cosa pubblica e di diventare artefice del proprio destino sociale e di quello della sua classe …

Che all’infuori di tale diritto non è concepibile alcun dovere né di tributi di sangue né di rispetto alle leggi;

Che l’interesse del proletariato al possesso della scheda, sia politica che amministrativa, collima coll’interesse generale della civiltà in quanto l’ESTENSIONE DEL SUFFRAGIO – primo passo alla conquista proletaria dei pubblici poteri – richiama nuove forze nelle correnti della vita popolare … e ALLONTANA LE MASSE DALLA FEDE SUPERSTIZIOSA DEI MOVIMENTI IMPULSIVI DELLA VIOLENZA …

I GRUPPI SOCIALISTI MILANESI (2) dichiarano opportuno in vista delle riforme ed in coerenza ai metodi che costituiscono l’essenza del loro programma iniziare un’agitazione per la conquista del suffragio universale politico ed amministrativo …

Ordine del giorno Turati approvato dai Gruppi
socialisti milanesi il 23 nov. 1905.

Il Gruppo Parlamentare socialista nell’atto di dar prinClplO alla campagna parlamentare per il suffragio universale riconoscendo che tale conquista non è possibile se l’azione dei pochi deputati socialisti non venga rinforzata da una potente agitazione e decisiva pressione di popolo, chiede al proletariato italiano questo concorso di pensiero e d’azione.

Ordine del giorno votato dal Gruppo Parlamentare
Socialista il 7 dicembre 1905.

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La direzione del Partito Socialista Italiano considerando:

l. Che fra i vari mezzi dei quali il proletariato si vale per raggiungere la ma emancipazione, la conquista dei pubblici poteri è di sicura efficacia in quanto si propone di trasferire la direzione della cosa pubblica e della produzione dagli organi specifici della classe borghese a quelli che la classe lavoratrice già va elaborando e formerà in avvenire;

2. Considerando che la rappresentanza socialista nelle attuali assemblee elettive come espressione di una cosciente forza proletaria, attenua l’azione di classe degli organi dello Stato borghese e facilita al proletariato l’ottenere il rispetto al suo libero sviluppo e condizioni più favorevoli di vita;

3. Che un’adeguata rappresentanza della classe lavoratrice non può ottenersi finché il diritto elettorale sarà privilegio della minoranza sfruttatrice;

4. Che il suffragio universale chiamando le masse a partecipare alla vita pubblica, contribuisce alla loro educazione civile ed alla formazione della loro coscienza di classe;

5. Che l’esercizio di esso servirà a dimostrare ancora meglio la fondamentale antitesi delle istituzioni monarchiche dell’ordinamento borghese con gli interessi proletarii, e la necessità della loro radicale trasformazIOne;

DELIBERA:

di intensificare con tali criterii di classe l’agitazione per il diritto al Vuto di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, e di invitare tutte le Sezioni del partito a persistere nel movimento, di accordo con le organizzazioni economiche proletarie, fino a quando tale diritto non sia integralmente conquistato.

Ordine del giorno approvato clalla Direzione del
Partito Socialista Italiano in sua seduta 15 dicembre 1905.

* * *

– Ma se ieri dicevano proprio il contrario!

– Già, già, dicevano proprio il contrario: il pensiero e l’azione socialista di oggi sono l’antitesi assoluta del pensiero e dell’azione socialista di trent’anni fa. Ma il socialismo non era passato allora pei lambicchi dell’alchimia parlamentare, era epico, era eroico ma di un semplicismo rivoluzionario ed anarchico così primitivo da muovere a compassione.

Ora invece, scrive l’AVANTI! (3) “il Partito Socialista ha ritrovato il giusto cammino” e farà strada assai, ed in buona e degna compagnia.

Non troverà forse nella crociata per l’IMMANE FRODE DEL SUFFRAGIO – come la chiamavano ieri ancora Liebknecht e Bebel, Guesde e Lafargue, Costa e Bentini – gli entusiasmi e le legioni del proletariato rivoluzionario d’Italia, ma troverà per istrada i fratelli siamesi della forcaioleria sonniniana e cattolica.

Perché è proprio l’onor Sonnino – l ‘esponente di quanto ha di più sordido, di più losco, di più reazionario la consorteria moderata della patria – che nella tornata del 30 Marzo 1881 svolgendo il suo ordine del giorno ” sulla necessità di riconoscere il voto di ogni cittadino italiano che goda dei diritti civili” il primario bisogno nostro è quello di avere un governo forte nella coscienza del proprio diritto. Ma noi questo governo forte non avremo finché non gli daremo … a base costante la volontà nazionale espressa dal voto senza arbitrarie esclusioni”.

E L’OSSERVATORE CATTOLICO, il vecchio immutato organo di don Albertario, commentando in un suo recente articolo di fondo le agitazioni austriache ‘ ed il movimento costituzionale russo, scioglieva esso pure – con minor entusiasmo dell’ AVANTI! – il suo bravo inno al suffragio universale.

Ebbene, pensatene voi quel che meglio vi pare, per me, questo dell’onorevole Ferri, dell’onoro Turati e del non ancora onorevole Labriola che se ne vanno a braccetto coi mangiamoccoli dell’OSSERVATORE CATTOLICO e coi mangiaproletari della forcaioleria Sonniniana del GIORNALE D’ITALIA alla ricerca del governo forte sulle basi del suffragio universale, rimane episodio così caratteristico, così originale, così rivoluzionario di lotta di classe che, scommetto, ne rimarrebbe sbalordito anche Carlo Marx se potesse tornare dal limbo a riveder le chiose che scrivono alla sua dottrina gli interpreti più rigidi ed i continuatori più autorevoli del suo pensiero e dell’opera sua.

G. Pimpino

1) Il programma, anche minimo, parla del suffragio da rivendicarsi ai maggiorenni dei due sessi. Turati e i turatiani trovano invece che “l’idea di conglobare fin da ora nella loro tattica l’uno e l’altro sesso in una stessa agitazione per la conquista simultanea del suffragio urta in una pratica impossibilità universalmente intuita “: è dunque un suffragio universale a scartamento .. . mascolino ed il riferimento al programma è un sempliceescamotage.

2) I famosi circoli autonomi riformisti capitanati da Filippo Turati.

3) 16 Dicembre 1905. Anno IV, n . .3249.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, 11 . .3, 20 gennaio 1906, p. 1.

IL SUFFRAGIO UNIVERSALE

Il perché del voltafaccia

III

Mutare è da saggio, d ‘accordo! ma per mutare una ragione, o un pretesto, vi deve pur essere. Qual è dunque la ragione per cui Bebel, il quale proclamava al Congresso di Ralle che “chi pretende attingere le finalità del socialismo col parlamento, quelle finalità ignora e tradisce” è venuto persuadendosi proprio del contrario ed a proclamare al Congresso di Londra “non esservi che un mezzo, la conquista del potere politico, per attingere le finalità del socialismo?”

Quali sono le ragioni per cui Guesde il quale denunciàva nel 1878 “l’enorme frode del suffragio universale ché lungi dal favorire gli interessi della classe operaia non ha servito che a consolidare la tirannide della classe dominante” è stato indotto a persuadersi proprio del contrario ed a proclilmarè in parlamerlto che “soltanto coll’arma legale del voto l’eserdto collettivista diverrà fatalmente padrone della repubblica? ” Quali sono le ragioni per cui Andrea Costa il quale riteneva nel 1874 “non esservi che un mezzo, forza, ad instaurare il diritto ed a rinnovare il mondo” ha potuto modificare così radicalmente le proprie convinzioni da dichiarare, nel 1886 che “la leva potente con cui si compirà la rivoluzione sodale è là conquista dello Stato?”

E come mai dall’àntico rivoluzionario disprezzo pel suffragio universale sono venuti , cotesti feroci apostoli della lotta , di classe a rltuffarsi coi Mirabelli della repubbliq’l, coi Sonnino , della forcaioleria moderata, coi Meda dell’OSSERVATORE CATTOLICO, vale a dire con tutte le gradaz,ioni della classe dominante, della borghesia, negli entusiasmi equIvoci delle agitazioni innocui per l’universalità del suffragio?

* * *

Le ragioni non ci paiono né profonde, né misteriose.

Nell’INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI i dolori comuni agli sfruttati del mondo si erano associati e confusi ed in quell’immenso crogiuolo, in quelle assisi intime, dolenti e frementi dei paria dell’universo una verità ed una conquista si erano rivelate e realizzate: “l’emancipazione dei lavoratori non è problema locale o nazIona1e ma è problema sociale; tutte le forme della servitù”, dipendenza politica avevano unica fonte “la dipendenza economica dei lavoratori dalla classe che ha il monopolio dei mezzi di produzione e di scambio”.

Non basta. L’INTERNAZIONALE era germogliata sopra una terribile e disperata delusione proletaria, sulla delusione politica delle Costituzioni liberali del Suffragio universale che, strappati dalla plebe in armi a prezzo di galera e di sangue nelle cospirazioni e nelle insurrezioni, si risolvevano in una scellerata sanzione delle secolari immutate miserie, quando pure non suppuravano nei plebisciti mercenarii il colpo di stato, l’impero, la vergogna.

Questa delusione consegnava l’INTERNAZIONALE nei suoi statuti ammonendo che “l’emancipazione economica dei lavoratori è il grande fine al quale ogni movimento politico deve essere subordinato.”

In altri termini – come del resto suffraga ogni atto dell’INTERNAZIONALE – non si poteva parlare seriamente di emancipazione del proletariato dalla miseria sociale, dall’avvilimento intellettuale, dalla dipendenza politica, senza infrangere il gioco della dipendenza economica, senza espropriare cioè la borghesia dei mezzi di produzione e di scambio. Ogni altra forma di lotta che non tendesse a questa espropriazione doveva passare in seconda linea.

L’espropriazione della borghesia si poteva d’altronde realizzare pacificamente per le vie legali; era ad una lotta rivoluzionaria, nel senso ingenuo della parola che l’Internazionale convitava il proletariato dei due mondi; donde il carattere rivoluzionario del socialismo quale si riflette negli accenni riportati del BebeI, del Guesde, del Costa.

Ma la lotta così intesa voleva dire la DEBACLE del regime borghese, e potete immaginarvi se la borghesia che aveva lottato mezzo secolo per salvare il fumo dei privilegi politici, era disposta a lasciarsi portar via senza resistenza l’arrosto dei privilegi economici.

L’Internazionale non trovò quartiere: l’ammonizione, la sorveglianza, il domicilio coatto, il carcere, la fame, il bando furono per anni ed anni retaggio di ogni internazionalista che avesse il coraggio e la fede attiva del propdo ideale in Francia, in Italia, in Ispagna: in Germania il pensiero fu imbavagliato da otto anni di leggi eccezionali.

Non v’era scampo: o contrapporre alla violenza della reazione la forza che instaura il diritto – come preconizzava allora Andrea Costa – o ripiegare l’orifiamma maledetto, rinsavire, adattarsi all’ambiente d’eccezione. Chi ebbe core pari alla bisogna lo mostrò a Bologna, a Cartagena, a Benevento, a Berlino, ad Amburgo, a Napoli ‘coll ‘insurrezione , colle bande armate, cogli attentati; chi non ebbe omeri pel peso delle responsabilità e dei rischi, s’accasciò sotto tormenta, buttò alla deriva il bagaglio delle intransigenze pericolose e cercò il cantuccio sicuro all’ombra delle costituzioni patrie. Venne l’ora della gente pratica, della gente positiva e civile, vennero le candidature formali , per contarsi, per protestare, per coprire l’apostolo perseguitato colla guarantigia parlamentare, non perché si sperasse dal parlamento la salute ma, come diceva ancora D’Atri al Congresso Nazionale di Mantova nel 1886, “a solo scopo di propaganda e d’organizzazione.”

Al socialismo purificato nello Stige parlamentare ad ogni barbara reminiscenza anarchica e rivoluzionaria, al socialismo che rifacendo a ritroso mezzo secolo di storia tornava al 1848 ed alle rivendicazioni politiche – rimessa in linea subordinata alla conquista del potere politico l’espropriazione della borghesia – al socialismo che rientrava nei quadri del vecchio radicalismo imbecillito nel miraggio delle forme e nel culto dei suoi santi, ogni partito in decomposizione regalò la savora dei rifiuti, ed il Partito Socialista contò i suoi elettori a milioni, i suoi deputatt a dozzine realizzandosi così la triste previsione di Paolo Singer il quale deplorava’ che “l’ingrossamento esteriore del Partito avesse consentito a tanti elementi poco sicuri di assumervi politicamente una parte che non spettava loro.”

Ora siamo alla legislazione socialista, siamo alla sfacciata collaborazione di classe, all’epilessia del suffragio universale.

* * *

E’ fatale.

A che cosa hanno conchiuso trent’anni di lotte elettorali, di tattica parlamentare, anche nei paesi che benificiano da oltre me~zo secolo del suffragio universale come la Germania, la Spagna, la FranCIa?

Lo rivelò un incidente piccante al congresso di Amsterdam:

– Che cosa avete fatto coi vostri tre milioni di voti? Nulla assolutamente nulla, rinfaccia Jaurès a Bebel.

– Che cosa pretendevate che facessimo? chiede Bebel a Jaurès di rimando. E voi che cosa avete dunque fatto colla tattica riformista? (Vedi DALL. DOC. SOC. pago 10).

Hanno perso il loro tempo. E lo conferma anche un onorevole italiano il Varazzani, che scrive nell’AVANTI! DELLA DOMENICA (N. 27, ANNO II – 6 marzo 1904):

– Ed è vero . Si perde il tempo. Si perdono le mattinate intere, le intere giornate senza costrutto. E non ce se ne avvede. Montecitorio ha, tra l’altro, questa influenza: che attira a sé ed avvince i deputati come una specie di Circe e fa loro dimenticare che il tempo passa, e ne stempra le attività in una infinità disordinata di discorsi fortuiti, di discussioni usuali ed inutili, di piccole occupazioni sconnesse, di distrazioni non volute, di ozii non previsti, di frivolezze puerili.

Hanno perso il loro tempo, hanno denudato il socialismo delle sue caratteristiche essenziali, hanno rimorchiato ai partiti borghesi, ne hanno fatto un ostacolo, una remora all’espropriazione economica della borghesia, alla rivoluzione sociale, all’emancipazione proletaria.

E quando sono essi che apertamente confessano di non aver fatto nulla, di non poter far nulla, c’è da credervi ma non c’è da domandare a loro che riconoscano il proprio errore, che rimettano il mandato, che vengano a riprendere il loro posto di battaglia in mezzo a noi schierati contro la proprietà, contro lo Stato, pronti a disarmare l’uno e l’altro collo sciopero delle braccia, col rifiuto dell’imposta, della diserzione militare, coll’astensione elettorale.

L’ingranaggio li ha afferrati e li trascina perdutamente: un uomo può riconoscere i propri falli e rimettersi sulla buona via e riguadagnare il tempo perduto; un partito non si sconfessa né si ritrae.

Guardate ai nostri rivoluzionarii del socialismo parlamentare: il Labriola confessa che ” contare sugli organi della società attuale per trasformarla e collaborare a difenderla, a consolidarla, è compiere opera nettamente contro rivoluzionaria” (MOUV. SOCIAL – 15 Juin 1905) e presenta la sua candidatura in ogni collegio vacante; il Ferri vede e sente tutta la sterile impotenza dell’opera sua, ma non getta l’arme spuntata, corre anzi in soccorso della tesi socialista “che assegna la sua importanza alla funzione parlamentare” (AVANTI! Anno IX – n. 3197) e l’energia del proletariato disperde nelle vane agitazioni pel suffragio universale.

L’ingranaggio li ha afferrati e li trascina , perdutamente, di errore in errore, di transazione in transazione, di menzogna in menzogna, ai voltafaccia sfrontati, alle abjure ciniche, ai compromessi scellerati giù nel gorgo melmoso della corruzione politica che rimarrà nella storia indelebile stigma del regime borghese e del sistema parlamentare che ne è la caratteristica espressione.

* * *

Eppure noi osiamo, per una volta tanto, scommettere che la nuova commedia non avrà gli entusiasmi né l’applauso della platea proletaria; noi osiamo anzi sperare che nauseata dalla sfacciata turpitudine dell’intrigo essa manderà al diavolo baracca e burattini tornando al vecchio programma dell’Internazionale, tornando a noi che le siamo stati fedeli, per affrettare l’avvento, per assicurare le vittorie di quella rivoluzione sociale che sulle rovine della proprietà individuale e dello Stato lnlZlera la primavera sacra della fratellanza e della libertà, della civiltà, del benessere, dell’anarchia.

G. Pimpino

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 4, 27 gennaio 1906.

GLI ANARCHICI NEL MOVIMENTO SINDACALISTA
I

La ConfederazIone Generale del Lavoro riprendendo in ossequio ai deliberati del Congresso di Bourges (1) l’agitazione per la conquista della piornata di OTTO O~E che si era rivoluzionariamente iniziata nel Maggio 1886 dagli anarchici di Chicago, e riprendendola con gli stessi caratteri di azione proletaria diretta, nel senso di conquistare la giornata çli otto ore non sui pubbliCi poteri con una sanzione legislativa ma sul padronato per mezzo dello sciopero generale, aveva suscitato tante e così vive speranze nel proletariato internazionale che il primo maggio scorso tutte le ansie, tutti gli animi, tutti gli sguardi erano tesi e, fissi sopra l’irreqùieta capitale francese, sopra Parigi in cui la lotta sarebbe stata senz’alcun dubbio più viva, più solenne l’affermazione.

* * *

Le trepidazioni e le paure della borghesia, l’aspettativa e le ansie dell’internazionale libertaria erano tanto più giustificate che gli anarchici, dopo avere per tanti anni testimoniato la loro indifferenza se non il loro disprezzo per l’azione sindacale devota alla politica corrente e alla conquista di effimeri vantaggi immediati, avevano da un decennio circa mutato tattica: si erano cacciati nelle organizzazioni operaie preconizzandovi con tenacia e con fervore il disprezzo dell’azione parlamentare e delle riforme legislàtive miserabili o fraudolente, la necessità di attingere, attrà: verso la rivoluzione integrale, la distruzione della borghesia (2); e si sapeva che essi erano tra gli ispira tori, gli organizza tori ed i campioni più temerari dell’attuale agitazione.

La quale, nell’animo dei suoi organizzatori ed in quello dei sindacati che vi partecipavano, non doveva risolversi nel pacifico e legalitario sbandamento dei soliti tre otto festaioli. Non pel gesto tolstiano dalle braccia incrociate si erano spesi cInquè anni di propaganda indemoniata orale scritta e pratica per lo sciopero generale, e si erano fino alla vigilia sfidate con tutte le audacie della propaganda antimilitarista le rabbie del nazionalismo ben pasciute e le sanzIoni feroci del codice penale.

* * *

Quando non parlassero con sufficiente eloquenza gli atti del Congresso di Bourges, da cui la nuova agitazione per le OTTO ORE ha tratto le sue origini, atti che esaminaremo diffusamente nei prossimi numeri; quandò potessero lasciare qualche dubbio gli entusiasmi e le recriminazioni con cui i deliberati di questo Congresso sui METODI di agitàzione sono stati accolti dai libertarii e dai legalitarii, basterebbero queste conclusioni della Commissione Confederale di Propagandà per ìe otto ore a chiarire che cosa doveva essere in Francia la manifestazione del 1° Maggio 1906:

“La giornata di otto ore non è che la riduzione dei privilegi del capitalismo, un’attenuazione dello sfruttamento umano, l’affermazione che la classe operaia vuole regolare da sé le condizioni della propria esistenza … Ma essa non è l’emancipazione integrale, non è la porta aperta sull’avvenire…

“Ma se per stupida ostinazione la Borghesia persistesse a tenere il Proletariato nella situazione miserabile che gli fa uno sfruttamento senza ritegno, se attraversando la volontà dei lavoratori si rifiutasse ai miglioramenti di dettaglio che si connettono alla giornata di otto ore, le sue responsabilità sarebbeio ben gravi!

“La sua reazionaria intransigenza ina4gurerebbe un’era di conflitti di cui sconterebbe tutte le conseguenze, giacché daI suo sistematico ostruzionismo verrebbe posta in causa anche la sua stessa ragione di essere (3).

La manifestazione del 1° Maggio, 1906 per la rivendicazione alla giornata di otto ore doveva dunque essere contro i calcoli -, gli intrighi e le obiurgazioni di tutte le congreghe del riformismo e del pacifismo – affermazione solenne e pratica del diritto del proletariato e dell’azione rivoluzionaria.

Alla solennità ed efficacia dell’affermazione, a moltiplicarne la probabilità di successo, a determinare la più energica “poussèe d’ensemble”, a dare al movimento sindacalista un carattere specifico di classe, anarchici e socialisti rivoluzionari avevano durante i due anni fatto sacrifizio delle loro vedute personali, dei loro impeti, qella loro intransigenza (4), rassegnandosi da ultimo, tanto era in essi ardente il proposito di trascinailo all’azione, anche alla scelta arbitraria della data fissa del Primo Maggio 1906 per l’inizio delle ostilità.(5)

* * *

Ebbene senza le fantastiche paure della borghesia, senza la sconcia dei complotti, senza il cancan sollevato per luridi scopi elettorali e politici della tampa fognaiuola e dal governo radical-socialista di Clemenceau e di Briand, nessuno si sarebbe a Parigi accorto del Primo Maggio: l’affermazione e l’agitazione sono egualmente mancate.

La ragione dell’insuccesso?

Vedremo di cercarle e di precisarle senza passionee senza acredine al prossimo numero.

G. Pimpino

1) 12-17 settembre 1904.

2) PELLOUTIER. “Terrips Noùveaux “, 6-12 luglio 1895.
DELESALLE. L’action Syndicale et les Anarchistes, 1901.

3) La Journèe de huit heures. Confederation Jeneral de Travail. Paris, 1905.

4) GRIFFUELHES. Mouvement Socialiste, anno VI, n . 142.

5) POUGET. Ibidem.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 24, 16 giugno 1906, p. 1.

GLI ANARCHICI

Nel movimento sindacalista

II

Cominciamo a sciogliere una riserva, a documentare cioè che nel movimento sindacalista francese dell’ultimo decennio gli anarchici hanno avuto un’influenza preponderante e caratteristica a cui dobbiamo anzitutto la salutare rivolta dei sindacati alle inframmettenze ed all’imperio dei deputati socialisti, la loro aperta e generale sfiducia nell’azione parlamentare e nelle riforme legislative, l’energica ed attiva propaganda per lo sciopero generale ed il magnifico spregiudicato atteggiamento antimilitarista e, da ultimo, cotesta agitazione aspettata e temuta per la giornata delle otto ore che doveva essere la sintesi corrusca vittoriosa di tutta questa audace preparazione rivoluzionaria, e che è invece venuta completamente a mancare.

Senza questa collaborazione e questo concorso degli anarchici noi avremmo guardato con mediocre interesse all’agitazione fondamentalmente riformistica della giornata di otto ore; ma apparendo essa, nei caratteri che ne contrassegnarono e ne accompagnarono la biennale preparazione, il risultato dell’influenza rivoluzionaria e dell’attività anarchica specialmente, è del più vivo interesse ricercare a quali cause se ne debba imputare l’insuccesso. Il quale riaderge innanzi a noi, dopo un decennio di esperimenti assidui e diffusi, meno pacifico e più arduo che mai, l’antico problema di tattica e d’azione: “debbono o non debbono penetrare nei sindacati? e sono questi buon terreno a seminarvi le nostre idee, ad agitarvi con profitto le nostre dottrine? e dato che un vantaggio qualsiasi al progresso della nostra propaganda si possa strappare nell’ambiente dei sindacati, è questo vantaggio tale da compensare l’abnegazione, i sacrifizii e le rinunce a cui sono periodicamente condannate le sentinelle anarchiche perdute nei sindacati? E, in tal caso, come e con quali propositi dobbiamo noi parteciparvi per ottenerne senza diminuzione e senza transizioni, la maggiore coefficienza rivoluzionaria?

E siccome i nostri migliori compagni di Francia i Pelloutier e i Pouget, i Girard e i Desalle si erano buttati anima e corpo una dozzina di anni fa nel movimento sindacalista per dare appunto all’agitato problema una risoluzione, vediamo, al riflesso di cotest’ultima agitazione quale sia la risposta dei fatti, quali e quanti elementi abbia l’esperienza accumulato per la sua soluzione.

* * *

Lo spazio ed il tempo ci mancano a riassumere anche brevemente la storia delle prime organizzazioni proletarie su cui venne man mano intessendo sil’attuale movimento sindacalista. Ma se dobbiamo tacere della vita – breve ed ingloriosa del resto – della Federazione dei Sindacati, la quale non rivelò mai in fondo altra aspirazione ed altro obbiettivo che di crescer lustro al Partito Operaio Francese alla cui politica riformista era supina mente devota, dai cui leaders era ispirata e guidata, dobbiamo una parola all ‘origine, allo sviluppo ed all’opera delle Borse del Lavoro, sia perché “proponendosi di federare i sindacati – senza distinzione di mestiere – per riflettere sulla loro condizione, dedurre i dati generali del problema economico, studiare il meccanismo degli scambi, cercare, in breve, nel sistema sociale attuale gli elementi di un sistema nuovo, evitando gli sforzi incoerenti fatti fino allora e che avrebbero finito per consegnare ai lavoratori disarmati alla potenza politica, finanziaria e morale della classe borghese(1)“, le Borse del Lavoro venivano a dare alla questione economica la precedenza di cui si onoravano nella Federazione dei Sindacati le aspirazioni, i calcoli e le opportunità della politica quotidiana; sia perché comincia in esse ad accusarsi, ad opera del Pelloutier e di altri generosi, quella tendenza -libertaria e rivoluzionaria di pensiero e di metodo che si affermerà poi poderosamente e vittoriosamente nell’imminente CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO.

I propositi di rivendicazione economica in nome dei quali era sorta nel 1889 la Borsa del Lavoro di Parigi le serrò intorno subito una fitta rete di istituti similari nei centri più industriali di Francia a Beziers, a Montpellier, a Cette, a Lione, a Marsiglia, a St. Etienne, a Nimes, a Tolosa, a Bordeaux, a Tolone così che il 7 febbraio 1892 al congresso di St. Etienne la FEDERAZIONE DELLE BORSE DEL LAVORO DI FRANCIA era un fatto compiuto.

L’energia, l’attività, la vigilanza della parte libertaria, che era entrata piena di entusiasmi e di speranze nel movimento, gli impresse subito coll’INTERDIZIONE DA OGNI AZIONE POLITICA, con un aperto disdegno per le riforme legalitarie e per l’azione parlamentare, un carattere rivoluzionario che si accentua sempre più vigoroso e preciso negli anni successivi.

Ed era inevitabile: morta ogni fiducia nei pubblici poteri ed ogni speranza nell’opera politica dei cosidetti rappresentanti del proletariato in Parlamento, i lavoratori dovevano cercare nell’azione diretta sul terreno economico i mezzi della loro emancipazione che tanti anni di lotte, sterili ed infeconde nel campo politico dimostravano ancora una volta non poter essere che opera dei lavoratori stessi.

Sfiduciato il suffragio universale non rimaneva che lo SCIOPERO GENERALE.

Così il 4 settembre 1902 le Borse del Lavoro di St. Nazaire e di Nantes poterono far adottare al Congresso di Turs la seguente mozione del nostro compagni Fernando Pelloutier:

Considerando:

Che la formidabile organizzazione sociale di cui dispone la classe dirigente rende sterile e vani gli forzi amichevoli di emancipazione tentati nell’ultimo mezzo secolo dalla democrazia socialista;

Che esiste tra il capitale e il salariato un’opposizione d’interessi che la legislazione attuale, per quanto si proclami liberale, non ha potuto né voluto distruggere;

Che dopo aver fatto ai pubblici poteri frequenti ed inutili appelli per sostenere il diritto alla vita, il partito socialista ha acquistato la certezza chesoltanto una rivoluzione potrà dargli la libertà ed il benessere materiale che siano conformi ai principii più elementari del diritto naturale.

Che il popolo non ha mai tratto alcun vantaggio dalle rivoluzioni sanguinose, di cui beneficiarono soltanto gli agitatori e la borghesia;

Che in presenza d’altronde della potenza militare messa al servizio del capitale una insurrezione a mano armata non offrirebbe alle classi dirigenti che una nuova occasione di soffocare le rivendicazioni sociali nel sangue dei lavoratori.” (2)

Che tra i mezzi pacifici e legali accordati al proletariato per far trionfare le sue legittime aspirazioni ve ne ha uno che deve affrettare la trasformazione economica della socie’tà ed assicurare, senza reazioni, il successo del quarto stato “.

Che questo mezzo è la sospemione universale e simultanea della forza produttrzce, cioè lo sciopero generale… Il congresso regionale dell’Ovest riunito a Tours il 3, 4 e 5 settembre 1892 prende in considerazione la proposta di sciopero uniyersak presentato dal cittadino Fernando Pelloutier …

* * *

Allo sciopero generale ci siamo. Non siamo è vero che allo sciopero tolstoiano delle braccia incrociate, ma qualche anno di esperienza ne metterà in luce tutta la pietosa e mistica inanità e noi giungeremo, colla CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO che sta per nascere, allo sciopero generale rivoluzionario.

D’altro canto tutto il vieto protocollp autoritario e massonico delle vecchie organizzazioni si sgretola, l’antica disciplina tra monarchia e casermaiuola del corporativismo classico si allenta, rindividuo si educa, operando, alla libertà dei giudizii, all’indipendenza dei movimenti, al coraggio delle iniziative, a pensare, ad agire, a governare da sé.

Il Comit;lto Centrale della Federazione delle Borse del Lavoro non ha né ufficio direttivo, né presidente d’assemblea: gli affari sono sbrigati da un segretario e da un tesoriere responsabile; nelle assemblee non si vota che nei casi, estremamente rari, di divergenze, irreduttibili … tanto che dal 1892 al 1896 tutti gli sforzi delle Borse del Lavoro di Lione, di Grenoble, di Tolone non tendono che a denunziare cotesta ANARCHIZZAZIONE della Federazione, ad invocare. il trasferimento del Comitato Direttivo in una città di provincia designata a volta a volta dai Congressi nazionali.

Come alla vigilia della Comune gli amici dell’ordine affidavano ai rurali la spada della . legge, la sicurezza dello Stato, la salute della repubblica e le nitide pancie della borghesia atterrita, gli amici del suffragio e della pacifica conquista dei pubblici poteri volevano mandar a balia in Vandea, tra i rurali, e le organizzazioni proletarie traviate a Parigi sciaguratamente dalla propaganda anarchica e dalla perdizione rivoluzionaria.

Lo spirito rivoluzionario invece, sotto la fiamma viva delle esperienze quotidiane, divampa irrefrenabile e pervade la nuova organizzazione proletaria che sulle rovine della Federazione dei Sindacati l’ampolla protesta rinnovata ‘ e più decisa contro la menzogna politica della conquista dei pubblici poteri e contro la frode dell’azione Parlamentare – come avremo campo di vedere al prossimo numero.

G. Pimpino

1) PELLOUTIER. “Histoire des Bourses du Travail.” Pago 64.

2)Il Pelloutier a pag. 67 della “Storia delle Borse delle Lavoro” nota a questo proposito che due anni dopo nel 1894 aveva già modificato qualche passaggio della sua mozione e scriveva nel 1902 che ne ripudiava parecchi…quelli certamente su cui nota l’attenzione del lettore. (N.d.R.)

Da CRONACA SOVVERSIVA, a, IV, n, 25; 23 giugno 1906, p, 1.

GLI ANARCHICI

Nel movimento sindacalista

III

Tracciando sommariamente nel numero scorso la storia delle prime Borse del Lavoro costituitesi in Francia noi abbiamo trovato le ragioni e le fonti del nuovo istituto proletario nella reazione sempre più decisa delle masse contro il programma e ‘ l’azione esclusivamente politica della FederazIone Nazionale dei Sindacati mancipia del Partito Operaio e perduta, sulle orme, dietro l’utopica conquista dei pubblici poteri, tra i vaneggiamenti periodici ed infecondi delle lotte elettorali e delle riforme parlamentari.

Il disaccordo, che covava da anni sotto le ceneri e che pur manifestandosi con una serie di sintomi gravi non si era mai risolto in una aperta rottura, scoppiò violentemente al Congresso Corporativista di Nantes (1894) tra i berrettoni della Federazione ed i delegati dei Sindacati. “Questi ultimi preoccupati di dare la preponderanza alle questioni conomiche e subordinarvi le questioni politiche, erano impregnati dello spirito nuovo che un neologismo veniva a riassumere ed a definire, erano i SINDACALISTI”.

“La politica colle sue rivalità individuali, colle sue competizioni di scuola aveva portato un profondo disagio nelle organizzazioni corporative, contrastandone non soltanto lo sviluppo ma determinandone, che è ben peggio, il più delle volte la dissoluzione. Di qui un acuto desiderio, di eliminare dai Sindacati cotesta grave causa di perturbamento: i sindacalisti dopo aver sofferto profondamente delle dissenzioni che le questioni di politica astratta e le competizioni ambiziose provocano in seno ai gruppi corporativi, erano venuti nella convinzione che il movimento sindacalista vegeterebbe sterilmente finché, liberato da questi spurii contatti, non sapesse elaborarsi sul terreno economico una tattica precisa, darsi una precisa orientazione”.

Pietra di paragone all’ormai insanabile contrasto fu la questione dello SCIOPERO GENERALE. I POLITICANTI non volevano più sentirne a parlare, per quanto ne fossero stati pochi anni prima partigiani entusiasti. Giacché non bisogna dimenticare che la prima mozione in favore dello sciopero generale (1) fu votata al Congresso dei Sindacati a Bordeaux nel 1888, e che la maggioranza a quel Congresso era costituita da Guedisti.

Se non che la tendenza sempre più schiettamente economica dello sciopero generale essendosi, ad opera dei libertarii, messa in miglior rilievo, i partigiani dei pubblici poteri l’avevano ripudiata. Cos1 la combatterono con ogni loro forza al Congresso di Nantes, indarno perché con 65 voti contro 37 il Congresso si pronunciò per lo sciopero generale determinando col suo voto anche la dissoluzione della Federazione Nazionale del Sindacato che dopo qualche mese silenziosamente si spense.

L’anno dopo, nel 1895, al Congresso di Limoges s’impone la necessità di un organismo che vincoli fra loro nella lotta i Sindacalisti delle diverse arti e professioni, e si gettano le basi della CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO la quale sancisce subito che GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO SI DEBBANO OTTENERE ALL’INFUORI DI TUTTE LE SCUOLE POLITICHE.”(2) La lotta fu vivace, la vittoria conquistata piede a piede, ma alla fine il congresso la diede vinta alla frazione libertaria: NON ERA SOLTANTO LA CONFEDERAZIONE CHE DOVEVA TENERSI LONTANA DALLA POLITICA DI PARTITO MA ANCHE TUTTI I SINDACATI CHE VI ADERIVANO.

Questa prima vittoria fu riconsacrata al Congresso di Tolosa nel 1897, al Congresso di Rennes del 1898, al Congresso di Parigi nel 1900, al Congresso di Lione nel 1901; e se la Confederazione non è ancora – come si vaticinava entusiasticamente a Limoges cinque anni prima – “l’organismo formidabile dirizzato contro la potenza capitalista per resisterle dapprima, per abbatterla di poi”(3) è però universalmente riconosciuto che sarà nell’avvenire lo strumento rivoluzionario capace di rovesciare l’attuale società ove il proletariato cosciente non neghi né le lesini tutto il suo concorso; ed il compagno Emilio Pouget pur riconoscendo che essa ha dinnanzi a sé la parte maggiore del cammino da percorrere, è superbo di constatare (4) che la Confederazione ha saputo rigidamente conservare la sua orientazione economica evitando al movimento corporativista, da pilota chiaroveggente, gli scogli incessanti della politica.

Su questo argomento anzi il Congresso di Lione (1901) è anche più esplicito dei precedenti giacché il quesito “se la Confederazione Generale del Lavoro debba o non debba fare della politica” è oggetto di una minuta ed esauriente discussione che occupa tutta la giornata del 26 settembre e si chiude colla seguente dichiarazione, approvata all’unanimità meno un voto:

“Considerando che la tesi diretta ad incorporare il movimento sindacale nell’azione politica avrebbe per conseguenza la divisione dai nostri contingenti in tante frazioni quanti sono i partiti politici.

Che il sindacato non potrebbe adottare senza mentire al suo scopo vero, che è di raggruppare tutti gli sfruttati senza distinzione di razza, di nazionalità, di pensiero filosofico o religioso e di colore politico;

Invita il Congresso a decidere che l’azione sindacale debba conservare la sua vita e il suo movimento al servizio esclusivo delle finalità ed affermarsi quindi all’infuori di ogni influenza politica, all’infuori di ogni aggruppamento politico, di ogni scuola politica, e che lo stesso debba essere degli elementi che la costituiscono: federazioni di mestiere o d’industrie, oppure sindacati che vi aderiscono direttamente”.(5)

E’, sempre sull’energica suggestione e per l’incessante lavoro di propaganda degli anarchici penetrati nel movimento sindacalista, il Congresso Corporativo di Lione è stato altrettanto esplicito sulla questione dello sciopero generale: “dopo il fallimento dei pubblici poteri e delle panacee riformiste, lo sciopero generale rimane la sola speranza degli sfruttati “, dice il rapporto della Commissione speciale per lo sciopero al Congresso.(6) E non è più lo sciopero evangelico che il Congresso preconizza, non è più un’effimera levata di scudi per un problematico vantaggio immediato, è LA RIVOLUZIONE SOCIALE che il Congresso sotto lo stimolo della propaganda e dell’azione libertaria preconizza la mozione del compagno Bourchet la quale raccoglie 355 suffragi favorevoli contro 41 voti contrari:

Il Congresso dichiara lo sciopero generale non può essere soltanto il mezzo con cui una categoria di lavoratori, qualunque sia, migliora la propria condizione.

Esso non può avere per scopo che l’emancipazione integrale del proletariato per mezzo della espropriazione violenta della classe capitalista”.(7)

Non è più la sospensione pacifica universale e simultanea preconizzata al Congresso di Tours dal compagno Pelloutier nel 1892, è l’insurrezione armata delle falangi proletarie, è l’espropriazione violenta della borghesia, è la rivoluzione sociale, ineluttabile condizione all’emancipazione del proletariato dal giogo economico del capitale e dell’oppressione politica dello Stato che i lavoratori di Francia emancipati dal fraudolento, vassallaggio delle congreghe del socialismo legalitario e parlamentare, adottano sotto l’influenza attiva e preponderante esercitata dagli anarchici nel movimento sindacalista .

E noi vedremo al prossimo numero che queste tendenze rivoluzionarie dal Sindacalismo francese si precisano e si accentuano nei due ultimi congressi che procedono e maturano l’agitazione per la giornata di otto ore, la manifestazione del Primo Maggio 1906, i congressi di Montpellier e di Bourges.

G. Pimpino

1) Ecco il testo preciso clelia mozione approvata a Bordeuax:

Considerando

che la monopolizzazione degli strumenti del lavoro e del capitale nelle mani dei padroni dà a questi una forza che diminuisce di altrettanto quella che lo sciopero parziale mette nelle mani degli operai;

Che il capitale non è nulla ove non sia posto in movimento;

Che rifiutandosi di lavorare gli operai annichilerebbero d’un solo colpo la potenza dei padropi;

Considerando

che lo sciopero parziale non può essere che mezzo di agitazione e di organizzazione;

Il Congresso delibera:

che soltanto lo sciqpero generale, vale a dire la cessazione completa di ogni lavoro, ossia la Rivoluzioneone, può guidare i lavoratori alla loro emancipazione.

2) Questo primo articolo dello Statuto Confederale fu approvato con 124 voti favorevoli contro 14 contrari. E. POUGET ” Le Parti du Travail,” pagina 23. pagina 23.

3) GUERARD. Rapporto al Congresso Corporativista a Lione 1901.

4) E. POUGET. ” Mouvement Socialiste “, anno III, n. 71; pago 670.

5) Resoconto ufficiale del Congresso di Lione; pago 145.

6) “Compte-rendu du Congrès National Corporat.” Lyon 1901; pago 171.

7) Ibidem; pago 183-197.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 26, 30 giugno 1906, p. 1.

GLI ANARCHICI

Nel Movimento Sindacalista

IV

Il Congresso Corporativo di Montpellier (22 – 23 settembre 1902) è sotto due diversi aspetti, egualmente gravi, degno della maggior considerazione.

Anzitutto la CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO vi rivela per la prima volta la sua vitalità reale, lo sviluppo straordinario nd sei anni dalla sua nascita raggiunto. “Fin qui la sua azione era stata poco sensibile ed i suoi Congressi avevano avuto la modesta fisionomia di semplici e teoriche conferenze sindacali. E’ un fatto che si spiega: finché si trattava che di scambiarci delle idee, comunicarsi qualche riflessione, volgarizzare qualche metodo di tattica, fortificare insomma l’educazione generale con un reciproco scambio di vedute allo scopo di districarne l’orientazione dominante del proletariato, non v’era inconveniente alcuno che ai congressi corporativi partecipasse ogni sorta di organizzazioni sindacali, federate o no.

Ma la bisogna dovette correre diversa non appena, disertate le generalità e le astrazionì e ingaggiate sull’arduo terreno della realtà, si cercò dar vita ad un ORGANISMO DI COMBATTIMENTO.

Da questo nuovo atteggiamento, che reclamava ed esigeva impegni reciproci comuni, rampollava logica la necesità di lasciar fuori dal Coqgresso tutte le organizzazioni non aderenti alla Confederazione. E’ indiscutibile: non’ potevano decidere né determinare la condotta della Confederazione coloro che se ne stavano fuori”.

LA CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO è dunque giunta a questa fase lusinghiera del suo sviluppo ha una base organisa costituita da un fascio di punti generali che non entrano più in discussione; questi punti generali costituiscono una dottrina sociale che può parere nuova ma non è in fatto che il ritorno alla sana dottrina dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori: “costituire i lavoratori nella rete coordinata dei propri sindacati in partito di classe sul solido terreno economico all’infuori di ogni influenza di partiti politici: orientare le nuove legioni del lavoro verso l’azione diretta sotto tutte le sue forme contro le forze dello sfruttamento e dell’oppressione, contro il capitale e contro lo Stato; e preparare la trasformazione della società per mezzo dello sciopero generale che disagregando rivoluzionariamente la società capitalista permetterà ai lavoratori di prendere possesso della produzione sociale”.

“Era logico che una volta d’accordo su questi principii si cercasse di non lasciarli indefinitamente allo stato di affermazione teorica, ma che si avvisasse invece i mezzi di realizzarli. Per questo la Confederazione in luogo di continuar a tener assise aperte — le quali non potevano essere che conferenze senza alcuna sanzione – riconobbe la necessità di discutere dell’azione, di cui è il perno, unicamente coi sindacati interessati.” (1)

Ora la CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO è dunque diventata, grazie all’energico inipulso, all’incessante vigilanza, ed alla spregiudicata propaganda degli anarchici un organismo rivoluzionario di prim’ordine da cui le beghe, le ambizioni e le competizioni malsane della politica e dei politicanti sono bandite senza ritorno; un organismo proletario che si muove da sé, con lucida coscienza del proprio ufficio e del proprio fine, e concentra quindi ogni sua attività ed energia nel campo economico alla preparazione dello sciopero generale rivoluzionario che espropriata violentemente la borghesia permetterà ai lavoratori di prender possesso della produzione sociale.

La constatazione di questa fervida vitalità, di queste aspirazioni e del metodo spregiudicato di lotta torna così amara ai fachiri del socialismo parlamentare che la PETIT REPUBLIQUE organo ufficiale, allora, del partito socialista intraprende subito una violentissima campagna contro la “politica malsana” e le “agitazioni sterili” della CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO.

La presunzione della canaglia proleteria a far da sé, senza dande e senza tutori, rompe più di un sonno e più di un calcolo; e l’indignazione dei medagliettati è assolutamente legittima. Ma tant’è: il Congresso di Montpellier, riconferma e ribadisce le sue diffidenze e le sue ripulse pei politicanti del socialismo. L’articolo 1° degli statuti dice che la Confederazione ha per oggetto:

1 L’aggruppamento dei salariati per la difesa dei loro interessi morali e materiali, economici e professionali;

2 Essa rappresenta, all’infuori di ogni scuolda politica, tutti i lavoratori coscienti della lotta da condursi per la disparizione del salariato e del padronato;

Nessuno può servirsi del suo titolo di confederato o di addetto ad un ufficio qualsiasi della Confederazione in un atto elettorale di qualsiasi natura.

Ma non basta, respinge all’unanimatà meno due voti la proposta del socialista Hardy per la creazione di un comitato, parlamentare e applaude al compagno nostro Bourchet quando, chiudendo il suo rapporto dice: “noi chiediamo allo Stato, ai parlamentari, ai politicanti di lasciare che i sindacalisti facciano da sé i propri affari, giacché noi non dimentichiamo che i lavoratori debbono alla politica le divisioni da cui sono indeboliti .” (2)

* * *

Ma il Congresso Corporativo di Montpellier ha ai nostri occhi uri altro merito: quello di aver cementato l’unità d’azione della CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO e della Federazione Nazionale delle Borse del Lavoro.

La Borsa del Lavoro è un gruppo localizzato la cui influenza va di rado oltre i confini della città o della provincia, ma accoglie intorno a sé gli operai di TUTTE le industrie, li inizia ai primi misteri della solidarietà di classe, ne sorregge i primi passi coll’ufficio di collocamento… col viatico, coll’assistenza morale e materiale in caso di disoccupazione, li agguerrisce alle prime lotte, compie insomma presso di essi l ‘opera elementare di educazione che si completa poi nel Sindacato che è organizzazione di resistenza e di combattimento. E’ vero che essa è generalmente sovvenzionata dai mnnicipii e che per conservare questo sussidio – che è il più delle volte il prezzo di ineffabili rassegnazioni – essa sdruciola in compromessi obliqui e scellerati, ma è fonte di risultati benefici indiscutibili in quanto elimina le rivalità professionali che hanno tenuto fin qui divisi gli operai di diverse categorie, i proletari delle blouse e quelli della marsina, i quali a vivere ed a lottare insieme finiscono per apprendere essi tutti, gli elementi diversi di una stessa classe di sfruttati su cui incombono le stesse miserie e le stesse umiliazioni, che agitano bisogni ed aspirazioni comuni, e che vogliono essere uniti nella nazione ed oltre i confini della nazione come essi sono uniti, concordi e solidali nella città e nella provincia.

D’altra parte unendosi alla Confederazione Generale del Lavoro, organismo di lotta esclusivamente proletario e rivoluzionario, pur conservando integri i loro caratteri specifici e la loro autonomia le Camere del Lavoro, anche sovvenzionate, hanno dovuto assumere un carattere d’indocilità, d’indipendenza, e di intransigenza più conforme ai sentimenti e all’indole della Confederazione alleata e ciò meno per la suggestione dell’audacia e del numero che per quella degli insegnamenti pratici come quelli che erompevano recenti dall’agitazione per l’abolizione degli uffici di collocamento invocata indarno per tanti anni dai pubblici poteri e conquistata insurrezionalmente in pochi giorni dai Sindacati in rivolta.

E che coi buoni e cogli audaci non si falsi la strada e si finisca di praticare col tempo audacia e bontà, le Camere del Lavoro di Francia mostraron presto colla coraggiosa ed attiva partecipazione da esse presa alla propaganda antimilitarista. Se da una parte la grande Voix du Peuple della Confedrazione Generale del Lavoro vi ha dato un impulso gagliardo e decisivo non bisogna dimenticare che il MANUEL DU SOLDAT che suscitò gli sdegni e le persecuzioni del COMPAGNO Millerand in … congedo al ministero, fu edito e diffuso a centinaia di migliaia di copie ad opera della Borsa del Lavoro di Parigi.

* * *

Questi brevi cenni riassuntivi del Congresso Corporativo di Montpellier saranno meno incompleti quando avremo aggiunto una parola sul nuovo aspetto sotto cui fu considerato lo sciopero generale.

Lo sciopero generale – affermava al Congresso Corporativista di Lione (1901) il Comitato Confederale – non è stato esaminato fin qui che dal suo punto di vista combattivo e l’azione dissolvente che esso eserciterà sulla società capitalista è stato fin qui la sola meta delle preoccupazioni proletarie. V’è perciò sul lato della questione che è stato fino ad oggi troppo trascurato e sul quale è necessario attivare l’attenzione dei lavoratori, e la questione di sapere QUALE SARA’ L’ATTITUDINE DEL PROLETARIATO ALL’INDOMANI . DELLO SCIOPERO GENERALE VITTORIOSO.

E il Comitato Confederale in luogo di un rapporto che non avrebbe riflesso probabilmente che le idee personali dei suoi componenti presentò alle organizzazioni confederate il seguente questionario:

1 Come agirebbe il vostro Sindacato per trasformarsi da gruppo di lotta in gruppo di produzione?

2 Come procederete voi per prendere possesso del macchinario spettantevi?

3 Come concepite voi il funzionamento delle officine riorganizzate?

4 Se il vostro Sindacato è un aggruppamento di trasporti di prodotti, di passeggeri, di ripartizione della merce … come concepite voi il suo funzionamento?

5 Quali sarebbero, una volta compiuta la riorganizzazione i vostri rapportii con la vostra federazione di mestiere o di industria?

6 Su quali basi s’operebbe la distribuzione del prodotti e come gruppi produttivi si provvederebbero le materie prime?

7 Quali ufficio avrebbero le Borse del Lavoro nella società trasformata e quale sarebbe il loro compito dal punto di vista della statistica e della ripartizione dei prodotti?

Il Congresso non ha potuto esaurire questa parte originale ed interessantissima del suo ordine del giorno, le risposte al questionario dovettero pubblicarsi sulla VOIX DU PEUPLE, a cui rimandiamo i pigri che non vorranno per loro conto proprio affrontare il complesso problema e rispondere a ciascuna delle domande colla propria riflessione e coi dati della propria conoscenza ed esperienza. Diremo per conto nostro che i quesiti sono meno oziosi e meno accademici di quel che potrebbero a tutta prima parere. Se la vittoria dello sciopero generale è a noi tanto più vicina, tanto più sicura e tanto più definitiva quanto più lucida e sicura è in noi, in ciascuno di noi e dei gruppi produttori, la coscienza del compito che l’ora agitata ci affiderà, è certo che uno studio largo e profondo delle molte incognite affacciate dalla Confederazione Generale del Lavoro può salvarci da dolorose decisioni, può salvare la rivoluzione da un nuovo disastro e da un nuovo escamotage.

Non è del resto qui il caso né il luogo di approfondire gli aspetti teorici e pratici del problema a cui abbiamo unicamente accenato perché, mettendo in luce i caratteri e le esigenze dello SCIOPERO GENERALE RIVOLUZIONARIO documenta ancora una volta la nostra tesi, l’influenza costante e preponderante degli anarchici nell’attuale movimento sindacalista francese.

Forse per questo il questionario della Confederazione Generale del Lavoro ha suscitato i sarcasmi e gli schemi di quasi tutta la stampa socialista che ha bene, nelle grandi occasioni, il suo inno obbligato alla società collettivista e comunista, ma che non sa darsi pace che il canagliume proletario osi pensare al pane ed alla libertà del domani mentre trascura le beatitudini del suffragio universale che dà oggi la medaglietta e biada ai suoi disinteressi patroni.

G. Pimpino

1) E. POUGET, Les Sindacalist 0l!vrier Mouvement Socialiste. Anno IV, n. 111, pago 59.

2) “Mouvement Socialiste”. N. 114; anno IV, pago 347.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 27, 7 luglio 1906, p . 1 c 2.

GLI ANARCHICI NEL MOVIMENTO SINDACALISTA

V

Così dal Congresso Corporativo di Nantes (1894) che, sulla questione dello sciopero generale, provoca il divorzio tra il socialismo parlamentare esclusivamente preoccupato da aspiraziorii politiche, ed i sindacati operai decisi a dar precedenza alle questioni economiche, noi siamo giunti attraverso dieci anni di propaganda indefessa ed energica – di cui i congressi di Limoges (1895); di Parigi (1900), Lione (1901), di Montpellier (1902) sono le grandi pietre miliari – al Congresso di Bourges (12 – 17 Settembre 1904) in cui il desiderio di AGIRE RIVOLUZIONARIAMENTE PER LA DIFESA SUL TERRENO ECONOMICO PER LA DISPARIZIONE DEL SALARIATO E DEL PADRONATO, desiderio accaezzatci per dieci lunghi anni dalla Confederazione Generale del Lavoro, diventa bisogno lancinante, insofferente di dilazione e d’indugi che vuole e cerca le armi e le vie di una sollecita, audace soddisfazione.

E’ naturale quindi che l’attività e l’energia degli anarchici culmini a questo Congresso di Bourges; come è altrettanto naturale che i legalitari parlamel1taristi e dietro di essi i timidi, i ben pensanti, i pusilli che le responsabilità del domani spaurano e spaura più che tutto il pensiero di muovere da sé fuor di ogni tutela, tentino qui, contro la coalizione rivoluzionaria, l’estrema disperata riscossa.

Il Congresso Corporativista dI Bourges è l’arena agitata del grande duello Io tra legalitari e rivoluzionarii e se noi ci indugiamo in questi dettagli gli è meno per riflettere ai nostri lettori un fremito della vita e della lotta del proletariato francese – episodio di storia contemporanea che ha tuttavia il suo lato interessante – che porre in tutta la sua luce d’azione esercitata dagli anarchici nel movimento sindatalista, a questa azione dovendosi risalire quanto – riassunta in uno dei prossimi numeri l’agitazione per la conquista delle giornate di otto ore nelle sue manifestazioni caratteristiche – dovremmo ricercare le cause di questo nuovo insuccesso proletario.

La bandiera che leveremo vittoriosa domani in faccia al sole sulle rovine dell’orrenda Bastiglia borghese, s’intesse, filo a filo, degli ammaestramenti severi dell’esperienza amara che rampolla dalle incertezze, dagH indugi; dagli errori dell’oggi: non bisogna dimenticarlo.

* * *

Le Parti:

I RIVOLUZIONARI sono la parte più omogenea e quindi più ardita: malgrado la grande sobrietà dottrinale a cui è tenuta un’organizzazione economica che affratellando nella lotta comune per l’integrale emancipazione gli sfruttati di tutte le arti e di tutte le industrie, non può né chiedere né imporre un credo politico che sarebbe fomite di scissioni e di jatture, i rivoluzionarii hanno vittoriosamente consegnato da anni nell’articolo primo degli Statuti che la Confederazione Generale del Lavoro “raggruppa tutti gli operai coscienti della lotta da condursi per la disparizione del salariato e del padronato”, e spiegano tutta la loro energia a contrastare la tendenza dei legalitarii che vorrebbero incanalare il movimento sindacalista nelle vie parlamentari; a combattere anche più acerbamente il sistema che, ispirandosi ad una impossibile conciliazione tra capitale e lavoro, conchiude alle solite commissioni miste, all’arbitrato, alle sanzioni legislative e alle decorative vacuità dei consigli superiori del lavoro: circa i miglioramenti immediati, di dettaglio essi pensano che “sono una frode ove non si risolvano in un’effettiva riduzione di privilegi capitalisti”.

I LEGALITARI sono lungi assai dall’omogeneità della compagine avversaria: sono un’amalgama bastarda di riformisti parlamentari che l’esperienza non ha sanato ancora dal sogno di una pacifica conquista dei pubblici poteri, né dal pregiudizio che la legge – postuma e tarda constatazione di una conquista dello spirito pubblico – possa contro lo spirito pubblico creare dal nulla il progresso, il benessere e la libertà. Dietro ad essi – pel fatto stesso che rappresentano nella Confederazione una corrente pacifista e moderata – si accordano i proletari dall’anima, dalla morale, dalle aspirazioni borghesi, che non vedendo più in là del loro naso nell’avvenire, tutti preoccupati dell’oggi, vorrebbero bene migliorare un pochino le loro condizioni ma al patto espresso di non disgustare il loro padrone, di non far torto all’ordine pubblico e di non dispiacere ai poteri costituiti.

* * *

La lotta si ingaggia acerba fin dai primi giorni e si riaccende accanitamente su tutte le questioni che si succedono mano a mano all’ordine del gIorno.

Le ostilità sono aperte dai riformisti Keufer (della Federazione del Libro) e da Guerad (Sindacato Ferrovieri) i quali accusano il Comitato Confederale e l’organo della. Confederazione, LA VOIX DU PEUPLE “di aver tradito la lettera e lo spirito degli Statuti Confederali: hanno fatto della politica e della cattiva politica, hanno fatto dell’anarchismo schietto; l’anarchico Yvetot segretario della Federazione delle Borse del Lavoro ha aspramente ed incessantemente combattuto e maltrattato le organizazioni che non credono nell’azione diretta e nella rivoluzione sociale; il socialista blanquista Grifflueelhes, segretario della Federazione delle Borse del Lavoro, non fa che dell’antiministerialismo sistematico, non risparmiando neppure l’ultra liberale ministero Combes; il Comitato Confederale ha poi fatta opera apertamente politica lanciando in occorenza delle elezioni amministrative del Maggio 1904 un manifesto astensionista; LA VOIX DU PEUPLE organo della Confederazione oltre a bersagliare d’una critica assidua e spietata le organizzazioni moderate, spende i quattro quinti del suo spazio in propaganda antistatale, antireligiosa, antimilitarista e antiparlamentare: è un giornale anarchico.

“E’ bene, BISOGNA PURGARE la Confederazione Generale del Lavoro dalle infiltrazioni e dalle dittature libertarie che l’inquinano e vi dominano compromettendone il prestigio, l’opera e l’avvenire”.

Risponde pei libertarii: Willeval del Sindacato Nazionale dei Correttori riferendosi ai principii fondamentali della Confederazione Generale del Lavoro, che proclamano la finalità rivoluzionaria del Sindacalismo: rivendica il diritto di criticare e di combattere le organizzazioni che in luogo di inseguire la sopressione del salariato non sognano che indugi ed alleanze col capitale sacrificando ogni idealità ed i vitali interessi della causa proletaria ai calcoli gretti del momento ed alla losca fregola pacifista.

POUGET, trova le ragioni del dissidio, più che nelle tendenze, nel fatto che molti accettano i principii della Confederazione con soverchie riserve mentali, superficialmente, e che in fondo coltivano il sogno delle alleanze capitaliste; qui bisogna quindi mirare alla finalità dell’ESPROPIAZIONE CAPITALISTA, e l’unità morale invocata indarno fin qui si realizzerà per incanto. Quanto alla VOIX DU PEUPLE, affidata alle sue cure, riconosce che può spiacere all’armento dei timorati ma essa si ispira ai criteri rivoluzionari i consacrati nella costituzione confederale; nega che essa sia l’organo di una dittatura libertaria imperiosa ed invadente, e confida che il Congresso dirà senza equivoci che essa è la voce autorizzata, autorevole e sincera del proletariato organizzato.

LATAPIE, rivendica agli organi della Confederazione il diritto di fare non della politica propriamente detta, ma della propaganda rivoluzionaria in conformità dei criteri a cui la Confederazione si ispira: noi combattiamo la proprietà che è sfruttamento lo stato che è oppressione, la caserma che è schiavitù ed abiezione, il parlamento che è inganno e frode, chi sà perché non dovremmo combattere la religione, che è rassegnazione, quando la rassegnazione è l’antitesi dell’azione sindacale che si esprime e si riassume nella RIVOLTA?

E, di mille duecento quattordici sindacati presenti al Congresso di Bourges, 825 contro 369, respinte le accuse, le suggestioni e la tattica parlamentare e pacifista dei legalitarii approvano ed applaudono all’opera e alla propaganda dei nostri compagni che della Confederazione Generale del Lavoro vogliono fare un’arma rivoluzionaria di combattimento, un ridotto delle dottrine libertarie, uno strumento di conquista e d’emancipazione proletaria.

Così larga adesione da parte degli operai sindacati alle nostre dottrine e ai nostri metodi di lotta è elemento troppo grave e troppo necessario alla valutazione della manifestazione del 10 Maggio 1906 perché noi non ci dovessimo indugiare con qualche dettaglio sugli atti e sulle deliberazioni del Congresso Corporativo di Bourges.

Dei quali atti il più importante è senza dubbio quello di aver impostato l’agitazione per la conquista della giornata di otto ore che è argomento appunto di queste nostre modeste considerazioni.

E qui il dissidio tra rivoluzionarii e legalitarii si accusa ancora profondo ed irrimediabile.

I rivoluzionari preconizzano che COL 1° MAGGIO 1906 I LAVORATORI SI RIFIUTINO DI LAVORARE PIU’ CHE OTTO ORE AL GIORNO, e il compagno Pouget osservando che da una quindicina di anni si fa una propaganda teorica per le otto ore e che è quindi tempo di passare alla pratica, prega il congresso ad accettare per l’inizio dell’agi tazione la data del 10 Maggio 1906.

“La fissazione di una data determinata è certamente arbitraria ma la scelta del 10 Maggio 1906 indica soltanto che un’intesa si va concertando affinché a partire da questo giorno si abbia uno sforzo collettivo che possa moltiplicare le probabilità di successo”.

Quanto ai caratteri dell’agitazione egli crede che “il compito dei rivoluzionari non consista nel creare movimenti violenti SENZA TENER CONTO DELLE CONTINGENZE, ma di disporre gli animi affinché questi movimenti divampino quando le circostanze favorevoli si presenteranno.”(1)

E rispondendo più tardi alle obiezioni più o meno argute degli avversarii e dei due estremi che imputavano alla Confederazione di voler organizzare pel 1° Maggio 1906 la rivoluzione sociale, egli non ha creduto di rispondere meglio che colle parole di Spies ai giurati di Chicago:

“HO POTUTO DIRE CHE I LAVORATORI DOVEVANO ARMARSI, ma di qui a dedurre che abbia pronosticato pel 1° Maggio la rivoluzione sociale, ci corre. Non si fa una rivoluzione come non si fa un ciclone, come non si fa un terremoto. SI POSSONO PREPARARE LE CAUSE E LE CONDIZIONI in cui un’agitazione generale possa sviluppare e diffondersi.”(2)

Queste cause e condizioni noi prepariamo, soggiungeva il Pouget (3), con tutto l’ardore delle nostre convinzioni e del nostre temperamento.

E al di là di ogni nostro potere percorrere gli avvenimenti e poter dire che cosa ci riservi il domani: “noi ci accontientiamo di agire sapendo che l’azione ingenera l’azione e che la ripercussione sarà tanto più grande e profonda quanto più energico e vigoroso sarà stato il nostro impulso”.

“E’ certo che la realizzazione di questa volontà proletaria susciterà conflitti gravi. Quali? Il domani lo dirà.

Ma noi sappiamo in ogni caso che la conquista delle otto ore non può essere un ideale ma una semplice tappa sulla via dell’emancipazione integrale: abbiamo quindi ragione di formulare le nostre aspirazioni in tutta la loro ampiezza e proclamare che nulla di consistente e di definitivo sarà conquistato dalla massa operaia finché essa non abbia con lo sciopero generale spezzato la società capitalista.

La giornata del 1° Maggio 1906 sarà dunque un’avvisaglia della grande guerra imminente che dovrà, sui ruderi del privilegio borghese debellato, spianare la via all’emancipazione proletaria, iniziare per l’umanità l’evo auspicato della fratellanza e della giustizia.

Non si fa una rivoluzione a scadenza fissa, proclamò Augusto Spies dinnanzi alla forca, ripeté Emilio Pouget al Congresso di Bourges, e pensiamo modestamente anche noi; ma siccome per altra parte il nostro compito rivoluzionario, più che attentare colpi d’audacia senza tener conto delle contingenze, sta nel disporre gli animi perché – quelle contingenze avverandosi – il movimento proletario divampi, così si può dire ai Lavoratori, come disse loro Spies nel Maggio 1886, che SI ARMINO E SI DISPONGANO ALLA BATTAGLIA.

E che questo, con queste stesse parole, abbiano proclamato gli anarchici al Congresso del 1904, e di poi, nell’agitazione preparatoria dei due anni che ne seguirono, si desume inoppugnabilmente dal giudizio e dal contegno stesso dei legalitari.

Il Keufer non vuole saperne di agitazioni per le otto ore, la trova un’esagerazione ed un errore, e piglia partito per le conquiste parziali e graduali, che col tempo daranno la giornata di otto ore; il Guerard, pur consentendo nell’aspirazione trova biasimevole che si voglia realizzarla con la violenza insurrezionale (4) preconizzata dagli anarchici i quali – egli non saprebbe negarlo – hanno esercitato od esercitano sul movimento sindacalista un’influenza decisiva. (5)

* * *

Il Congresso passa sopra queste riserve, queste restrizioni, questi casi di coscienza affacciati dalle fraterie del socialismo parlamentare e del riformismo pacifista e barbogio, acclamando unanime alla tattica rivoluzionaria preconizza ta dagli anarchici e fissando pel 1° Maggio 1906 l’inizio delle ostilità.

Noi sappiamo così in modo limpido e preciso CHE COSA DOVEVA ESSERE in Francia la manifestazione del Primo Maggio scorso: noi vedremo al prossimo numero CHE COSA SIA STATA in realtà.

G. Pimpino

1) “Mouvement Socialiste.” Anno VIi n. 142, pago 168.

2) “VOIX DU PEUPLE”. 1° maggio 1905.

3) “Mouvement Socialiste”. Anno VIIi n. 161, pago 373.

4) Ibidem. Anno VI; n. 142, pago 167.

5) Ibidem. “Le Congrès et l’opinion ouvriere. Euquète”; pag. 92 e seg.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, 11. 28, 14 luglio 1906, p. 1 e 2.

GLI ANARCHICI

Nel Movimento Sindacalista

VI

I diciotto mesi che intercorrono fra i deliberati del congresso di Bourges (settembre 1904) ed il 1° Maggio 1906 costituiscono un’agitazione preliminare così ardente e così tenace, così metodica che, si può dire con tutta certezza, nessun’altra battaglia proletaria ha avuto più prudente e più larga preparazione.

L’Unione federale dei metallurgici organizza centocinquanta comizi che si tengono successivamente in centocinquanta delle principali città della Francia, l’Unione dei Tintori lancia un proclama per le 8 ore ed un appello alla solidarietà dei confederati; le principali Borse del Lavoro votano e versano speciali contribuzioni per l’agitazione; l’Unione dei Sindacati della Senna inizia con un primo contributo di mille franchi e con una sottoscrizione analoga si obbliga per una quota mensile di franchi cinquanta; il Comitato della Confederazione Generale del Lavoro lancia mezzo milione del suo famoso manifesto: NOI VOGLIAMO LA GIORNATA DI OTTO ORE! trecentomila proclami AI LAVORATORI! ed a milioni di esemplari gli opuscoli: “La journèe de huit heures dans le batiment!”; “En avant puor les huit heures!; e il 1° Maggio 1905 un appello dei lavoratori di cui è a ricordarsi ed a ritenersi la conclusione: “Levatevi per proclamare che i lavoratori considerano i miglioramenti strappati al capitalismo soltanto come tappe necessarie per il popolo si avvicina allo sciopero generale espropiatore che realizzerà per tutti la divisa della Confederazione: BENESSERE E LIBERTA’!”

Un numero speciale della VOIX DU PEUPLE (1° Maggio 1905) innesta tra un articolo e l’altro di propaganda specifica per le otto ore, una serie di motti suggestivi che sono poi diffusi a centinaia di migliaia di copie: “Lavorare più che otto ore è votarsi alla tubercolosi!” “Lo sfruttato che lavora più di otto ore si abbruttisce”: “Lavorare al massimo otto ore e preparare lo sciopero generale espriatore!”

In Giugno la Federazione dei Maniscalchi e dei Carpentieri convitano alla suprema battaglia i compagni d’arte; in Luglio si organizza una vasta tournèe di conferenze in tutte le regioni della Francia; in Agosto i Congressi Corporativi dei tintori, dei tessitori, dei legnaioli, dei conciapelli, degli arsenalotti, dei zoccolai acclamano all’agitazione e vi si associano senza risèrve; in Settembre i contadini del Sud costituiscono un comitato d’azione per la giornata di SEI ORE affacciata dalla Federazione dei lavoratori di campagna; in Dicembre il Segretario della Confederazione passando in rassegna i primi risultati ne trae gli auspicii più lusinghieri per l’esito finale; il Congresso delle Federazioni Nazionali tenutosi a Parigi il 5 – 6 Aprile 1906 dà le ultime disposizioni tattiche, l’ultima suggestione, l’ultimo consiglio: “La Conferenza conta sull’attività dei militanti e delle organizzazioni operaie perché rechino all’agitazione tutto il loro concorso, e ricorda ad essi che i risultati saranno tanto maggiori quanto maggiore sarà l’energia colletivamente spiegata; e conta soprattutto che i lavoratori saprimno elevare la loro coscienza all’altezza del compito e che sapranno, in un supremo sforzo solidale, strappare al padtonato un pò più di benessere e di libertà.”

E’ l’ultimo mormorio sommesso delle ansie intime nell’ardua vigilia d’armi: domani? domani sarà la battaglia, domani sarà l’uragano.

* * *

Dinnanzi alla marea che monta la paura dei buoni borghesi e le preoccupazioni del governo radical – socialista giungono al parossismo e si tradiscono nelle forme più diverse: i più grassi passano il fosso, attenderanno a Londra od a Folkestone che l’uragano sia passato; i meno pingui si approvigionano come per un lungo assedio (1) e si asserragliano nelle loro case invocando dalla madonna di Lourdes che siano stornate dal loro capo le collere livellatrici del leone proletario; torneranno ‘tutti nell’ora della rapressione – come nel Maggio 1871 – torneranno tutti nell’ora della passione, a gridar raca! sui vinti, riscattando colla ferocia l’ineffabile e incoercibile paura delle attuali vigilie. Clemenceau, vecchia faina, scaltrito da cinquant’anni d’opposizione radicale ai subdoli avvolgimenti di governo, butta la livrea, la lucerna, lo spadino di Presidente del Consiglio e, senza seguito, senza scorta, se ne va in giacchetta a visitare i minatori del Nord che sono in sciopero da oltre un mese. Va e dissemina pei tuguri dei poveri minatori una parola di speranza, di giustizia e di pietà; ai borghesi, ai banditi milionari delle Compagnie ricorda con parole aspre i doveri nuovi imposti dalla nuova civiltà e dalla prudenza al capitale; ai soldati, ai piccoli e poveri soldati diffusi nei bacini, pei fossati, per le forre, attorno ai pozzi, raccolti a schiere intorno ai palazzi ed alle casse forti dei vampiri, dice sommesse parole di amore, di fratellanza e di pace.

Non si era visto mai nel potere centrale tanta così paterna sollecitudine per le miserie e per la causa del proletariato: non per nulla sedevano al governo un vecchio liberale come il Clemenceau, un socialista rivoluzionario intelligente e fedele come il Briand.

L’agitazione non sarebbe uscita quindi dalle dighe oneste e discrete di una imponente ma pacifica manifestazione civile.

* * *

Bisogna tuttavia prevedere l’ipotesi contraria: bisogna prevederla coi., tanta maggiore saggezza che ad onta ed in ispregio delle sue promesse, delle sue assicurazioni e delle sue parole di pace il ministero radicalsocialista faceva arrestare in massa a Lens, a Denain, ad Avion le teste calde, gli agitatori che il tribunale di Bethune condannava in blocco, mentre ventiduemila uomini di truppa disseminati pei bacini minerarii tenevano a segno gli affamati curvando nel polverone sotto la mitraglia repubblicana ad Haveluy, a Trith, a Lievin, a Denain quanto al loro destino di morti di fame non sapevano rassegnarsi senza protesta e senza rivolta. Del resto ove le intenzioni del ministero radical- socialista Clemenceau – Briand avessero potuto consentire qualche dubbio, questo doveva esulare anche dall’animo degli ottimisti quanto al Segretario Generale della Confederazione del Lavoro S.E. Clemenceau dichiarava il 25 Aprile (2): “non poter ignorare che esisteva una Confederazione Generale del Lavoro ed un 10 Maggio, che era quindi suo dovere di ministro dell’interno prendere tutte le misure suscettibili di assicurare l’ordine pubblico e la tranquillità dei cittadini. Noi non siamo dallo stesso lato della barricata – aveva soggiunto S.E., ed io debbo adempiere al mio ufficio di membro del governo”.

In adempimento di questo suo ufficio il ministero radical- socialista Clemenceau – Briand, sapendo quante risorse di provvide scissioni possa scaturire dalle lotte politiche, aveva da tempo scaltramente indette le elezioni generali legislative del 6 Maggio; ordiva ora le fila del famoso complotto anarchico – bonapartista contro la sicurezza dello Stato; faceva arrestare alla vigilia del 1° Maggio i militanti più in vista della Confederazione Generale del Lavoro, ed accumulava a Parigi, oltre la guarnigione ordinaria, trentanove battaglioni di fanteria e quattro squadroni di cavalleria elevando così – a costo di sguarnire la vigilata frontiera dell’est – il presidio militare a novantacinquemila uomini di truppa delle diverse armi.

Contrapporre alla preparazione rivoluzionaria – manifesta ed ingenua – dei Sindacati inermi, le subdole arti poliziesche e le formidabili misure di prevenzione del governo, non illustra soltanto le forze rispettive, le armi e il terreno in cui si incontreranno tra ventiquattro ore in nome di un secolare antagonismo di interessi, in nome di due civiltà dei mondi, in nome del passato e dell’avvenire, in nome dell’ordine e della libertà, i due eserciti; è anche sgombrare la via alla ricerca delle cause che dovevano ineluttabilmente determinare, come hanno in realtà determinato, la sconfitta dei Sindacati operai, il fallimento del loro tentativo rivoluzionario, la delusione del Primo Maggio 1906 che pure aveva riaperto in tanti cuori impenitenti uno spiraglio alle speranze più fulgide agli ardimenti più temerari.

* * *

Perché è vano sofisticare, puerile il distinguere, colpevole mendicare conforti alla delusione dello spettacolo di coesione e di solidarietà della massa unanime nell’aspirazione e nel voto della giornata di otto ore.

Se questo unanime plebiscito di pacifica protesta, se questa metodica e pertinace agitazione per le otto ore, se gli scioperi parziali tentati e condotti con varia fortuna in alcuni centri hanno richiamato sul problema della durata del lavoro quotidiano le riflessioni melanconiche del proletariato la previdente sanzione di qualche conservatore intelligente (che sa per esperienza corrispondere a miglior lavoro ed a miglior salario un prodotto migliore e quindi un più largo guadagno e più lauti dividendi), l’adesione della grande maggioranza del pubblico e quindi una corrispondente e proporzionale pressione sui pubblici poteri, si che la giornata di otto ore sarà in un avvenire molto prossimo, una conquista reale (quanto effimera) – noi siamo le mille miglia lontani da quell’esperimento di sciopero generale rivoluzionario, che era nell ‘animo degli inizia tori che conquistata, diremo così, alla baionetta in una carica impetuosa la giornata di otto ore, doveva oltre questa prima tappa inseguire nell’espropiazione capitalista l’abolizione del salariato e del padronato.

E la constatazione è tanto più amara che taluni sintomi caratteristici gravissimi – di cui ci occuperemo al prossimo numero – consentivano la presunzione che quel tentativo non si sarebbe arrischiato in condizioni assolutamente disperate.

G. Pimpino

1) Non è esagerazione: i lettori consultino il Figaro, il Temps e tutti i giornali dell’ordine, compresa la socialista Humanité del Juarès e vedranno che i grandi negozianti di alimenti pur avendo triplicato il personale non erano in grado di sopperire alle ordinazioni della clientela borghese che si approvvigionava non soltanto di viveri, ma di petrolio, di armi e di munizioni.

2) Humanité: Anno III, n. 139.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 29, 21 luglio 1906, p. 1 e 2.

GLI ANARCHICI

Nel Movimento Sindacalista

VII

I soli episodi che sulla scialba giornata del Primo Maggio 1906 mettono un vivido riflesso di energia cosciente, che nella svogliata agitazione per le otto ore suscitino l’eco di una nota coraggiosamente rivoluzionaria sono le dichiarazioni del tenente Tisserand – Delange, l’atteggiamento apertamente ribelle di qualche oscuro e cosciente sfruttato della caserma.

Il Tisserand-Delange tenente nel quinto reggimento di fanteria di guarnigione a Ponthièvre, trasferito colla sua compagnia ad Auteuil in seguito alle ultime disposizioni d’ordine pubblico emanate in vista del 1° Maggio dal ministero radical- socialista Clemenceau – Briand, intervenne la sera del 30 Aprile all’assemblea generale che la Federazione dei Sindacati teneva alla Borsa del Lavoro di Parigi, e salito alla tribuna tra l’inquieto stupore e la manifesta diffidenza del pubblico, spiegò con parola commossa le ragioni della sua presenza al comizio.

Figlio di piccoli borghesi, a cui il disagio economico di cui tutti soffrono non aveva risparmiato né amarezze né tristezze, egli era stato, fanciullo ancora, collocato all’accademia militare di Saint – Cyr ove coi primi studi e colle prime febbri del conoscere si era svegliata in lui un’acuta nostalgia di verità, di giustizia, di bellezza, che l’intimità dei suoi aristocratici compagni di collegio, intimità deprimente e sconfortante, aveva reso più tormento sa

Aveva seguito così – da semplice curioso dapprima – il movimento sociale degli ultimi vent’anni, poi nelle veglie assidue, devote ai forti studi ed alle riflessioni severe che la disciplina non arriva né a bandire né a comprimere, aveva educato le sue prime incerte simpatie all’idea libertaria. Nominato istruttore a Saint – Cyr le sue simpatie costantemente urtate e ferite in quell’ambiente reazionario clericale ed aristocratico si erano rinvigorite e maturate allo spettacolo delle persecuzioni di cui sono vittima gli ufficiali che non nascondono la loro devozione fedele alla repubblica ed alla libertà.

Ora le sue simpatie, le sue convinzioni, la sua fede erano strette all’ultimo cimento: le ultime disposizioni ministreriali lo aggregavano alla guarnigione straordinaria che doveva garantire a Parigi contro ogni eventuale attentato dei lavoratori in isciopero l’ordine pubblico, la sicurezza, la propietà, la tranquillità degli sfruttatori.

Ebbene egli tornava al popolo da cui era nato, per la cui miseria aveva dolorato, per la cui causa aveva palpitato, per la cui emancipazione fremeva in ogni fibra più intima del suo cuore.

– E che cosa consigliate voi alla folla che vi ascolta? Che cosa dovrà essa fare quando la sbirraglia, uscendo di qui, vi metterà le mani addosso?

– Aveva interrotto il compagno Luquet.

– Qui sono venuto, soggiunse subito Tisserand – Delange per raccomandarvi la moderazione, per ricordare ai lavoratori che tra i soldati, che tra gli ufficiali schierati contro di essi, vi sono degli uomini, dei socialisti, dei rivoluzionarii come loro. Quanto a me, io assumo intera la responsabilità dei miei atti: uscirò solo di qui, avvenga che avvenga, non voglio che a cagion mia i lavoratori si urtino alla massa enorme dei soldati che ingombra la strada.

“Se per avventura mi lascieranno domani il comando io ubbidirò anche agli ordini crudeli, ma giuro dinnanzi a voi che i miei uomini non tireranno. V’è già troppo sangue tra i soldati e i lavoratori che non debbono mai dimenticare la loro fratellanza”.

Uscì, e sulla porta stessa della Borsa del Lavoro parecchi agenti in borghese l’arrestarono e lo portarono al posto di polizia del decimo circondario. (1)

Loubel, un semplice fantaccino del 5° reggimento di fanteria, richiesto dal commissario di polizia Feralid di dare man forte con altri compagni alle guardie di pubblica sicurezza incaricati di far circolare gli sfaccendati raccolti nelle vicinanze della Borsa del Lavoro vi si rifiutò decisamente: “la mia coscienza di proletario e di sfruttato mi vieta in modo assoluto di portar le armi e di marciare contro i miei fratelli in isciopero”.

Arrestato immediatamente il generoso Loubel fu disarmato e chiuso subito nelle celle di punizione della caserma di Chateau d’Eau e rinviato dinnanzi al Consiglio di disciplina del 5° reggimento di linea.

* * *

Dinnanzi alle officine elettriche Nil Melior, 42 Rue Lacordaire una squadra di scioperanti cantando l’Internazionale era venuta a reclamare la cessazione del lavoro, l’abbandono della fabbrica.

Tre pelottoni del 103 reggimento di fanteria chiamati telefonicamente, giunsero sul posto agli ordini di un ufficiale e di un commissario di polizia, ed allineatisi subito allo sbocco della strada spianarono i lebels contro la massa degli scioperanti che si era accresciuta degli operai della Nil Melior i quali all’appello dei compagni avevano risposto con entusiamo abbandonando immediatamente il lavoro.

All’urlo minaccioso degli scioperanti ed alle proteste indignate ed unanimi dei cittadini, i soldati abbassarono le armi, ma guidati dai birri si scagliarono sulla folla picchiando alla disperata coi calci dei fucili, ferendo gravemente una ventina di disgraziati.

Un caporale – la cronaca non fa neppure il nome dell’onesto e coraggioso fantaccino – indignato dalla brutalità dei suoi subalterni li investi con una tremenda sfuriata ed afferrandoli ad uno ad uno e menando piattonate sui riottosi li costrinse a rimettersi in rango e coll’armi al piede: “Abbruttiti! gridava loro, vi par questo il modo di trattare i poveri diavoli – miserabili e sfruttati come voi – che sfidano privazioni e miserie per dar un pò più di pane ai figlioli, un pò più di pane e un pò più di quiete ai vecchi esausti dagli anni e dalla fatica? Ebbene voialtri siete tutti quanti degli abbruttiti. e degli aguzzini, e il triste mestiere dei caino e dei giuda lo farete voi; io no, io vado con loro, viva la rivoluzione sociale!” e con armi e bagagli piantò il pelottone, s’arruolò tra gli scioperanti intonando l’Internazionale. Questi dovettero scongiurarlo con ogni sorta di pietose considerazioni per farlo rientrare nei ranghi dove la sua condotta aveva sbalordito i soldati ma messo in grave apprensione l’ufficialetto che, pallido, masticando hi sigaretta, lo fece subito afferrare, disarmare, tradurre alle carceri.

* * *

Questi, della grande giornata, così vivamente attesa dagli uni, così spaventosamente temuta dagli altri, i soli episodi che ci paiono veramente degni di considerazione perché se da una parte accusano anche negli organismi rimasti fino a ieri immuni da ogni inquinazione sovversiva, una crepa che la pertinacia della propaganda teorica rinvigorita da audaci esperimenti pratici allargherà rapidamente nella breccia vittoriosa, mettono dall’altra in rilievo uno stato di fatto, una condizione di ambiente straordinariamente propizia all’affermazione rivoluzionaria che i sindacati francesi avevano per due anni preconizzata con entusiasmo e preparato con rara energia; e di cui non hanno saputo al momento opportuno approfittare.

Ma di questo ordine di considerazioni ci occuperemo in uno dei prossimi numeri, ricercando le cause dell’insuccesso dell’agitazione e dell’affermazione.

Perché l’insuccesso – confessiamolo francamente – è stato completo, disastroso.

Non era per raccogliere inermi centomila scioperanti per le vie di Parigi custodite da novantacinquemila uomini di truppa armati a perfezione in completo assetto di guerra; non era per le solite parate festaiole contro cui si era esercitata per due anni la caustica ironia degli iniziatori dell’attuale movimento per le otto ore, che si erano per due anni invocati dai proletari dei campi, delle officine, delle miniere, delle caserme della patria, sacrifizi, privazioni, abnegazione ed energia; non era per un gesto tolstoiano di gelida resistenza passiva che ai socialisti si era chiesto durante tanti anni di disertare l’arido campo elettorale, la sterile impostura del suffragio e le frodi complicate dell’azione parlamentare; così non si era chiesto alle spregiudicate avanguardie dell’anarchismo indocile la mortificazione della loro fede ribelle, il sacrificio delle loro rigide intransigenze, la contrizione delle loro inflessibili coerenze per un’affermazione riformi sta nel fondo e nella forma.

Le objurazioni, i proclami, gli appelli volevano tutti gli uomini di buona volontà al loro posto di battaglia per la onquista della prima posizione, la giornata di otto ore, tappa di convegno per raccogliere sui fradici e pericolanti istituti di codesta società condannata, l’uragano di quello SCIOPERO GENERALE ESPROPRIATORE che reca nel suo torbido grembo la voce tonante dei tempi nuovi e deve spazzare dalla terra redenta la duplice e conserta vergogna del salariato e del padronato.

E verso quella tappa non si è mosso un piede, non si è fatto un passo.

Le ragioni?

Vedremo di dedurle al prossimo numero.

G. Pimpino

1) Il ministero radical-socialista che aveva sancito le assolutorie recenti di tutti gli ufficiali che si erano rifiutati di marciare contro i congregazionisti all’epoca degli inventarii, dovette limitarsi contro il Tisserand-Delange ad una semplice misura disciplinare e con decreto del 2 Maggio 1906 lo collocò in aspettativa. (N.d.R.)

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, n. 31 , 4 agosto 1906, p. 1.

GLI ANARCHICI

Nel movimento sindacalista

VIII

Le cause che determinarono l’insuccesso della Manifestazione del Primo Maggio 1906 sono varie e complesse. ESTRINSECHE le une, vale a dire non direttamente imputabili agli iniziatori ed agli organizzatori dell’agitazione per la conquista della giornata di otto ore; INTRINSECHE le altre, che è quanto dire inseparabili dai caratteri dell’agitazione e dalla responsabilità dei suoi organizzatori.

Esamineremo brevemente in questo numero il primo ordine di cause, delle cause cioé che non si possano direttamente imputare ai militanti della Confederazione Generale del Lavoro, riservando ci di esaminare più diffusamente al numero venturo il gruppo delle cause intrinseche più interessanti e più gravi. (a)

Alla chiara intelligenza delle condizioni specialissime in cui veniva a riassumersi l’agitazione per la conquista delle otto ore è tuttavia necessario aprir qui una parentesi.

Cauto il ministero Rouvier sopra un’appassionata questione di politica interna – quella degli inventari congregazionisti – le redini del governo repubblicano venivano afferrate, sullo scorcio della Legislatura dal ministero radical-socialista Sarrien-Clemenceau-Briand a cui incombeva quindi il compito di fissar la data delle elezioni generali.

Elezioni generali poco comuni, agitate e tempestose! come quelle che dovevano, secondo la borghesia democratica, sancire l’abolizione del Concordato 18 GerminaI, anno X e la conseguente separazione della Chiesa dallo Stato, come quelle che dovevano coi voti di tutti i superstiti dell’antico regime riconciliare la Repubblica col Papato, ricondurre docile e contrita ai piedi di Pio X la prediletta figliola della Santa Sede.

Il Clemenceau ed il Briand (Sarrien è men che nulla ed i parigini lo chiamano Ca rien) vecchia faina il primo a cui cinquant’anni di opposizione parlamentare hanno rivelato tutti i biechi avvolgimenti e le scaltre risorse della politica; arrivista aspro e senza scrupoli il secondo che fino alla vigilia aveva militato tra le avanguardie sbarrazzine del socialismo rivoluzionario, non dovette stentare a comprendere che le elezioni – chi dice elezione dice divisione – sarebbero state per l’agitazione proletaria imminente il colpo formidabile e decisivo che le avrebbe spezzato le reni, l’unità che ne costituiva la sola ed unica forza.

E fissarono la data delle elezioni generali al 6 maggio 1906.

Possiamo chiudere la parentesi che ci dispensa da lunghi commenti superflui e mette in luce coll’eloquenza dei fatti la prima e più grave delle cause a cui deve la manifestazione del 10 Maggio il proprio insuccesso.

Si ha un bel dire, e si è fino ad una certa apparenza nel vero, che il Sindacato, in quanto sindacato professionale, non fa della politica e tanto meno della politica parlamentare; ogni operaio sindacato ha le sue idee personali, le sue credenze religiose la sua fede, il suo partito le sue simpatie politiche che la piattaforma delle attuali elezioni scaltramente eretta dai partiti borghesi sul contrasto tra Chiesa e Stato doveva eccezzionalmente appassionare.

E pur non ammettendo che la Chiesa sia rimasta e rimanga in troppa parte della superstizione popolare la mistica consolatrice degli aflitti, l’inerme e benedetta dispensatrice della carità e della grazia, l’amica pietosa degli umili, l’umiliatrice acerba dei potenti; pur non ammettendo che lo Stato sia rimasto e rimanga in troppe coscienze volgari il necessario custode del diritto e dell’ordine, è pur d’uopo convenire che la lotta immane combattuta in tutta la Francia in nome di due principii e di due autorità egualmente secolari (la grande massa vede le apparenze esteriori non la frode recondita) non poteva lasciare alcuno indifferente, e che la concordia inseguita e scongiurata in nome di interessi economici solidali, ma non sempre facilmente accessibili, in dieci anni di educazione sindacalista e di propaganda rivoluzionaria, non poteva resistere all’urto violento di questo conflitto politico che dai gorghi della coscienza agitata e turbata ricacciava a galla tutti i detriti della vecchia educazione, le reminiscenze profonde e tenaci della tradizione i dubbi, le paure, gli scrupoli mal sopiti. E vi doveva tanto meno resistere che i lettori ricorderanno come al Congresso di Bourges una forte minoranza, la minoranza riformista di Keufer e dei Guerard, si era schierata contro i propositi rivoluzionari della massa, riaffermando la sua fede nell’azione e nelle conquiste parlamentari; e si era buttata a capo fitto nel turbine elettorale per lo Stato contro la Chiesa.

Si procede incerti, si lotta con poca fiducia nelle forze proprie quando dinnanzi al nemico non sentiamo battere intorno a noi all’unisono i cuori dei compagni d’armi distrutti e perduti sulla via degli indugi e delle chimere.

E l’incertezza scorata con cui smentendo le temerarie audacie della vigilia il proletariato di Francia condusse la manifestazione del Primo Maggio ne è la più eloquente delle prove .

* * *

Se non che il mmlstero radical-socialista Clemenceau-Briand aveva in serbo per ogni eventualità, contro l’agitazione proletaria, un altro colpo non meno rude che le avrebbe intorno mietuto colla falce dei dubbi e dei sospetti più atroci la messe della rare e tenaci simpatie che fossero sopravvissute agli attriti, alle competizioni ed alle nausee elettorali.

E siccome alla vigilia del Primo Maggio i rapporti delle prefetture non dovevano essere gran che rassicuranti, e siccome è dimostrato da Giuda a Masaniello fino al Nicotera ed al Crispi che il colpo più traditore viene sempre dagli amici di ieri, dai rinnegati, così l’ultra radicale Clemenceau ed il socialista rivoluzionario Briand lanciarono contro la Confederazione Generale del Lavoro e contro i suoi militanti più intelligenti, più attivi e più stimati, il sospetto che fossero al servizio del partito bonapartista col quale, per denaro avrebbero complottato la rovina della repubblica, la restaurazione dell’impero. E il turpe sospetto avvalorarono nell’opinione pubblica stupita, proprio la vigilia del 1° Maggio con 52 arresti sbalorditivi se si pensi che per una volta tanto le manette ed il PANIER A’ LA SALADE stringevano le mani nude e callose ed i poveri cenci del Griffuelhes, del Levy e del Robert della Confederazione Generale del Lavoro alle mani aristocraticamente anemiche ed al sussiego gentilizio del conte Durand De Beauregard, di Xavier Feuillant dell’A VANT-GARDE ROYALISTE e del Bibert redattore dell’AUTORITE’ del Cassagnac non che di altri notevoli e non meno aristocratici rappresentanti del cesarismo bonapartista.

E’ vero che svanito l’incubo del 1° Maggio e rinsaldata nei comizi della Domenica sucessiva, con una maggioranza imprevedibile, insospettata, la situazione del ministero radical-socialista, nessuno osò più parlare del complotto neppure il Clemenceau che pure nel suo discorso programma di Lione (3 maggio) aveva spudoratamente affermato che “non egli aveva “fabbricato i documenti. dai quali appariva che in esecuzione di un antico “piano dello stesso duca d’Orleans si concertava l’intervento dei partItl “antirepubblicani nel movimento operaio allo scopo di ingenerare disordini “da cui doveva uscire l’instaurazione della monarchia” (1) .

Come è altrettanto vero – Giuda non si smentisce mai – che cercò poi apparir generoso sottraendosi con un progetto d’amnistia alle responsabilità politiche e giudiziarie che accollava al ministero radicale socialista la sua fantasia complottista, ma intanto da queste torbide e sozze accuse lo slancio e la campagna del movimento venivano ad essere profondamente minate.

Bisogna non aver vissuto l ‘intima vita delle masse per credere che queste folate di calunnie e di vituperio non ne agitino e non ne sollevino subito le diffidenze istintive sempre vigili, sempre irrequiete.

Costa troppe privazioni, troppe abnegazioni, troppe persecuzioni ai paria la lotta acerba di ogni giorno per il pane e per la libertà perché nelle giornate campali disperate essi arrischino volentieri l’ultimo brandello di fede e di vita quando aleggia sulle mute ed angustiate vigilie il bisbiglio del tradimento e rode la coscienza il dubbio che fede, vita, sacrifizio siano ancora una volta invocati ed estorti per qualche elegante frode di lor signori.

Lo sanno tutti i tribuni che hanno scalato l’Olimpo, i Nicotera, i Crispi, i Constans, i Clemenceau, i Briand che nell’ora tragica dei grandi duelli di classe hanno il loro immancabile COUP DE ]ARNAC, l’oro straniero, i trattati firmatissimi di Bisaquino, i complotti bonapartisti, le mene cesaree nazionali ed anarchiche contro la sicurezza e la salute della Repubblica.

* * *

Mancando la zizzania elettorale ed il trucco dei complotti bonapartisti, il governo radicale-socialista Clemenceau-Briand aveva raccolto tra le mura di Parigi in pieno assetto di guerra una guarnigione straordinaria dicentomila uomini che col pretesto di impedire ogni attentato alla coscienza pubblica e di presidiare la libera espressione del suffragio popolare doveva ad un cenno di Lepine soffocare nel sangue l’agitazione proletaria per le OTTO ORE ave, esorbitando dalla pacifica carreggiata delle manifestazioni consentite dalla costituzione e dal rispetto agli ordini costitutivi avesse mostrato di voler turbare o contendere alla classe dominante il pacifico godimento dei privilegi a cui la presenza di un socialista rivoluzionario al governo vuole essere autorevole sanzione e garanzia nuova di sicurezza e di intransigibilità.

G. Pimpino

a) Questo è l’ultimo articolo della serie poi non continuata da Galleani, pubblicata con il titolo “Gli anarchici nel movimento sindacalista.”

1) HUMANITE’. Anno III, n. 747, 4 maggio 1900.

Da CRONACA SOVVERSIVA, a. IV, Il. 32, 11 agosto 1906, p. 1.

(Il compagno Max Sartin m’informa che il numero del 25 agosto della “CRONACA SOVVERSIVA” porta nella prima colonna della pagina 3, la seguente dichiarazione priva di titolo e di firma) .

“Avvertiamo i lettori che il compagno G. Pimpino al fine di rendere più completo il suo studio sugli Anarchici nel Movimento Sindacalista, ha deciso di rimandarne di qualche settimana la continuazione, onde attendere la fine della pubblicazione di alcuni articoli di E. Pouget, sui risultati della campagna delle otto ore, in Francia. Chiunque si interessa di tale questione, siamo convinti, scuseranno questa breve sospensione che non mancherà certo di ritorcersi tutta a profitto dello studio intraperso”.

(Disgraziatamente l’attualità incalzante non permise di mantenere la promessa).

(N. d. e.)