provincia di Hakkari marzo-aprile 2012
edizioni Alpi libere maggio 2012, pagine 32, 2,00 euro
INTRODUZIONE Il testo che segue è la trascrizione di una chiacchierata fatta con un gruppo di ragazzi di una borgata in montagna, nella regione del Kurdistan che si trova nei confini dello Stato turco. È il frutto di un incontro avvenuto durante il viaggio di alcuni compagni nel periodo del Newroz, l’antica festa di origine zoroastriana che ogni 21 marzo celebra, con l’inizio della primavera, una sorta di capodanno, di risveglio, occasione per la rivendicazione dell’identità del popolo curdo e della sua vitalità e resistenza. Il solo fatto che il PKK rappresenti, in questa fase storica e in un’area del pianeta a noi tutto sommato vicina, l’ultimo movimento di guerriglia popolare, esteso, vitale e radicato, dovrebbe rendere evidenti le ragioni per cui riteniamo di grande interesse confrontarcisi e saperne di più. Questo dovrebbe risultare ovvio per chiunque si ponga, di fronte all’incedere dei disastri e delle ingiustizie della civiltà capitalista, nell’ottica di un suo superamento radicale e rivoluzionario. Queste sono le tensioni, profonde e viscerali, che abbiamo sentito prevalere negli uomini e nelle donne del popolo curdo che combatte. E ciò al di là dei termini con cui queste tensioni vengono espresse, che spesso possono stridere nel linguaggio politico cui siamo abituati (come il termine «democrazia»). Ciò non può giustificare il disinteresse o addirittura la diffidenza che troppo spesso i movimenti rivoluzionari in Occidente riservano alla lotta del popolo curdo e non solo. Una diffidenza che a nostro avviso deriva più che altro da un cronico eurocentrismo e senso di superiorità che, in particolare in ambito radicale e libertario, segnano l’approccio alle lotte per l’autodeterminazione dei cosiddetti «popoli senza Stato». Ma crediamo che anche chi non avesse interesse alcuno ad allargare il proprio sguardo oltre i conflitti che lacerano le metropoli occidentali, avrebbe tutti i motivi per confrontarsi con quelle esperienze e quelle lotte da cui gran parte dei “nuovi proletari” d’Occidente provengono. Chiaramente, poi, quello che i curdi riusciranno effettivamente a realizzare è un’altra storia, che non dipende solo da loro. Dipende anche, e forse soprattutto, da quanto lo Stato turco continuerà a ricevere il sostegno dei governi occidentali grazie all’indifferenza dei loro “cittadini”. I curdi ce la stanno mettendo tutta per conquistare sul campo una vita diversa, su questo non ci piove. E su quel campo non crediamo proprio di aver le carte in regola per poter andare in giro a dar lezioni. Anzi. In particolare per noi – che come «Alpi libere» abbiamo individuato nel territorio che abitiamo, la montagna, l’ambito di intervento privilegiato per sperimentare percorsi di resistenza e liberazione – il confronto con simili esperienze costituisce un bagaglio di stimoli e conoscenze più che mai utile e prezioso. Alpi libere – fine aprile 2012 |