Una riflessione di Marco Camenisch su un fenomeno che si sta ripetendo negli ultimi tempi. Compagne e compagni, solitamente alla prima carcerazione, chiedono espressamente che non vengano fatte delle azioni in “loro nome”, almeno fino alla data del processo. Spesso, o sempre, tali richieste fanno seguito a pressanti consigli da parte di avvocati, familiari e/o solidali.
Di qui la riflessione di Marco, che noi di Culmine sottoscriviamo.
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Sarebbe a mio avviso da raccomandare, quando s’è arrestate/i, di mai seguire i cosiddetti “buoni consigli” dati, per carità, con le massime buone intenzioni, d’avvocati e/o genitori (al seguito di “consigli” degli sbirri, naturalmente) e mai chiedere che non siano fatte azioni in proprio sostegno. Per due ragioni fondamentali, tra le varie:
1) Azioni in sostegno di chi è stato arrestato/a non sono azioni “in nome di chi” è stato arrestato/a ma sono, a maggior ragione se in ambito anarchico/informale, esclusivamente in sostegno di chi è stato/a arrestato/a e di pertinenza e responsabilità pratica, “giuridica” e politica di chi agisce e lotta fuori dalle mura;
2) Se e/o nella misura in cui è dato seguito a tale “indicazione da dentro”, può da un lato avere proprio l’effetto contrario del -forse- voluto, vale a dire per la repressione può essere indicazione/verifica d’associazione e d’influenza organica della persona arrestata, “peggiorando” e non “migliorando” la sua posizione, ed inoltre, cosa più importante, sono “indicazioni” atte a seminare danni alla tenuta e continuazione della lotta fuori/dentro per le incertezze e le confusioni che seminano sulla “tenuta”, le ragioni e le posizioni della persona arrestata nel momento più delicato di verifica per fuori e dentro. Sono, semmai, prese di posizione, da eventualmente meglio diffondere, motivare ed affermare in seguito e/o nel “processo politico”, dove e solo allora possono, eventualmente, avere effetto “benefico” sulla durezza delle sanzioni senza danneggiare se stesse/i ed altre/i.
marco camenisch, marzo 2010