Come far diventare una prigione una colonia di vacanza
La “Régie des Bâtiments” [azienda statale per l’edilizia], che gestisce il settore immobiliare dello Stato e finanzia opere d’interesse pubblico, ha fatto scalpore presentando i primi disegni della futura maxi-prigione di Bruxelles. Su quelle immagini: allettanti alberghi in carcere, nessun secondino visibile, mura «integrate in un ambiente adatto», verde naturale, edifici tipici di un villaggio. La si direbbe una colonia di vacanza. Il comunicato ufficiale vanta «l’umanità» di questo nuovo progetto, un nuovo modo di «vivere in un ambiente carcerario»…
Chi controlla il senso delle parole garantisce una capacità considerevole di controllo delle menti. Il potere ha sempre cercato di dare alle parole il significato più opportuno. Le guerre condotte dall’Occidente non si chiamano più «guerre», ma «interventi umanitari». I Centri d’Identificazione ed Espulsione non sono prigioni per senza documenti, ma «centri di accoglienza per rifugiati». La giustizia sociale non è da nessun punto di vista «giusta», ma La Giustizia con le sue leggi e i suoi giudici. Si potrebbe fare un intero vocabolario con le parole del potere che esercitano una profonda influenza sulle nostre capacità di riflettere e discutere.
Ma è a contatto con la realtà e col vigore delle idee che le parole tendono a riacquistare il loro vero significato. L’aberrazione che consiste nel rinchiudere un essere umano in una gabbia e a sottometterlo a un totale controllo, potrà anche trincerarsi dietro grandi parole come «protezione della società», «punizione dei delinquenti» o tentare di giustificarsi con «un aiuto per il reinserimento» e «un ambiente umano e verde», ma non resta pur sempre un’aberrazione? La politica “umana” di detenzione che lo Stato brandisce come uno stendardo, assomiglia ad una guida per ridipingere le celle di rosa.
È evidente che le gabbie sono solo fisiche. Una cella ha quattro pareti, ma nella testa i muri, le grate e il filo spinato sono centinaia. Il carcere può diventare accettabile solo se si accetta la società attuale come ineluttabile. La reclusione di qualcuno può costituire un obiettivo solo per chi crede che la libertà sia situata nel codice penale. Condannare la delinquenza non è possibile se non separando dalla definizione di tale termine tutti i misfatti e i crimini, ben più importanti, dello Stato e dei capitalisti. Minacciare un impiegato di banca per costringerlo ad aprire una cassaforte è un grave crimine punito dalla legge, sfruttare migliaia di lavoratori e avvelenare la terra è «libero mercato». Come riassumeva Stirner nel 1844: «Nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell’individuo si chiama delitto».
Ma tornando al nostro «pacifico villaggio penitenziario», come il potere definisce la futura più grande prigione di Bruxelles, osserviamo (in via del tutto eccezionale) un po’ più da vicino il ritornello del più realista dei realisti, la nenia noiosa di chi ha perso ogni capacità di sognare e di lottare con tutto se stesso per le proprie idee di emancipazione. Ammettiamo pure che le celle di questa nuova prigione saranno meno grigie, che i detenuti avranno più accesso alle cure e alle attività, che invece di contare i giorni all’ombra di un grande muro sconfortante, si potrà vedere qualche raggio di sole e qualche cima d’albero. Tutto ciò sarà possibile solo a prezzo di un controllo più profondo, onnipresente, e di una sterilizzazione dei rapporti umani. Lo scopo dichiarato di qualsiasi detenzione è di stroncare la personalità della persona giudicata «criminogena». Vista la resistenza che alcuni individui oppongono a questo lavaggio del cervello, il potere conduce continuamente nuove sperimentazioni. Dal totale isolamento alla privazione sensoriale, come nei moduli di Bruges e di Lantin, passando per il trattamento medico e il doping generalizzato, fino alle carceri “umane” di domani. Noi non abbiamo affatto dimenticato come anche il nuovo centro per clandestini di Steenokkerzeel fosse stato presentato come «un centro umano». La dura realtà della detenzione col suo carico di pestaggi, di disperazione, di «suicidi», non ha tardato a strappare quella maschera, facendo apparire quel centro per quello che è veramente: un campo di concentramento per stranieri. Chi si fa turlupinare dalla forma, dimenticherà la sostanza. La nuova politica penitenziaria sbandierata dallo Stato non ha altro fine.
Con le sue pretese umanitarie, tenta di smorzare ogni critica radicale alla prigione, radicale nel senso che essa va proprio alla radice del problema. Avranno un bel camuffare le loro reti anti-elicottero che fanno intravedere il cielo solo attraverso le maglie, a mo’ di parasole, potranno anche dipingere i muri di verde o attaccare dei peluche al filo spinato, ma ciò non cambierà nulla al fatto che questo mondo non potrebbe difendere i privilegi dei ricchi e dei potenti se non praticando la detenzione di massa. D’altronde vediamo bene come la reclusione giudiziaria venga diffusa attraverso tutta la società, bel al di là delle mura di una prigione: braccialetti elettronici, pene di lavoro, percorsi psicologici obbligatori,… Criticare radicalmente la prigione, significa attaccare la sua ragione d’essere, che non ha nulla di umanitario o di originale, riducendosi alla necessità per lo Stato di gestire le contraddizioni sociali generate dal sistema, e di domare le rivolte che lo mettono in discussione. Punto e basta.
Da parecchi anni si stanno scatenando ammutinamenti e rivolte nelle galere, dove individui recalcitranti si battono per preservare la propria dignità e resistere al mostro carcerario. I disegni abbelliti della futura prigione di Bruxelles non riescono a far dimenticare tutta la gamma repressiva d’isolamento, punizioni, segregazione, divieti di ricevere visite, pestaggi e doping messi in atto nelle carceri per annientare le velleità di rivolta e per affievolire le grida di libertà.
Per impedire la costruzione di questa maxi-prigione è in corso una lotta. Ora, è anche diventata una battaglia per il significato delle parole. E sia! Ci batteremo per continuare a gridare che la libertà non risiede nella legge, che il carcere non è una colonia di vacanza. Di fronte agli argomenti della macchina della propaganda statale, meglio tacere e trovare altrove spazi autonomi e liberi, in cui il senso delle parole sia forgiato dalla battaglia quotidiana contro ogni sfruttamento e ogni oppressione. Lontano dalle luci dello spettacolo politico e dal suo discorso doppio, la lotta tenta di aprirsi un varco nella strada e di distruggere ciò che ci distrugge.
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Elenco di imprese coinvolte nella costruzione della nuova prigione ad Haren
DENYS – Impresa belga di costruzioni con sede a Wondelgem
FFC CONTRUCCION – Impresa spagnola di costruzione con uffici in diverse città europee
Buro II & ARCHI+I – Uffici di architetti belgi a Bruxelles, Roeselare e Gand
EGM ARCHITECTEN – Ufficio di architetti olandesi con sede a Dordrecht
AAFM FACILITY MANAGEMENT – Impresa olandese di servizi con uffici ad Anversa e nei Paesi Bassi
M.O.O.CON – Impresa austriaca di servizi con uffici in Austria e in Germania
G. DERVEAUX – Ufficio d’ingegneri belgi con sede a Gand
MARCQ & ROBA – Società di consiglio belga con sede a Bruxelles
ADVISERS – Società di consiglio belga con uffici a Bruxelles e ad Anversa
TYPSA – Società di consiglio spagnola con sede a Madrid, e filiali a Bruxelles e in altre città europee
VIALIA SOCIEDAD GESTORA DE CONCESIONES DE INFRAESTRUCTURAS – Società spagnola di mediazione immobiliare con sede a Madrid
MACQUARIE CAPITAL GROUP – Banca di investimento australiana con uffici ovunque nel mondo, che fa parte del Macquarie Group
Dr. ANDREA SEELICH – Architetto specializzato in architettura carceraria
REGIE DES BATIMENTS – Azienda immobiliare dello Stato belga, responsabile di tutti i progetti di nuove carceri in Belgio
[trad. da Hors Service]
http://www.finimondo.org/node/1334