I complici di Cottin

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Scalarini
— Cottin, avete dei complici?
— Sì, signor giudice. Io ero un giovane pacifico e alieno dal sangue, e questo lo può domandare a chicchessia; ma appena scoppiata la guerra, cominciarono tutti a dirmi che bisogna uccidere. Io rispondevo di no; e allora mi davano del tedesco, del pacifista, del leninista, del disfattista, ecc.

Entrai in una scuola, dove il maestro non faceva che parlarmi di Tamerlano, di Alessandro, di Annibale, di Scipione, di Cesare, di Federico, di Napoleone, di Moltke. Io sostenevo che Volta, Galileo, Stephenson, Fulton, Watt, Newton, Darwin, Papin, Colombo, Koch, Pasteur, Edison, Röntgen sono assai più in alto, perché, invece di uccidere, hanno creato.
— No — mi rispondeva il maestro — bisogna uccidere!
Entrai in un’officina, dove si fabbricavano armi e proiettili. — Non sarebbe meglio — dissi io — che si fabbricassero, invece, zappe ed aratri?
— No — mi rispose il padrone — bisogna uccidere!
Entrai in uno studio, dove c’era un pittore che stava dipingendo degli uomini che si sgozzano a vicenda, uno scultore che stava dando gli ultimi colpi di scalpello ad un lupo che scanna un agnello, ed un architetto che stava preparando il progetto per un arco di trionfo ad un macellatore. — L’arte — osservai — deve esaltare la vita, non la guerra.
— No — mi risposero gli artisti — bisogna uccidere!
Entrai nel gabinetto di uno scienziato, mentre stava preparando delle composizioni chimiche per un esplosivo. — La Scienza — feci io — dev’essere per la civiltà, non per le barbarie.
— No — mi rispose lo scienziato — bisogna uccidere!
Entrai in un teatro, dove un poeta, accompagnato dalla musica, declamava una canzone di guerra. Io intonai un inno di pace; ma il poeta mi impose di tacere, gridandomi:
— No, bisogna uccidere!
Entrai in una sala, dov’erano radunati molti uomini di fede democratica che avevano sempre predicato la fratellanza. Quando mi videro nelle mani un giornale socialista, su cui era stampato: “Abbasso la guerra!”, me lo strapparono dicendomi:
— No, bisogna uccidere!
Entrai in un museo storico, e dissi al custode: — Verrà un giorno in cui si guarderanno con ribrezzo le armi, come si guardano gli ordigni arrugginiti della tortura.
— No — mi rispose — bisogna uccidere!
Entrai in una chiesa, dove un prete dal pergamo faceva la glorificazione di Caino. — Io sono per Abele! — gli gridai.
— No — mi rispose il prete — bisogna uccidere!
— Bisogna uccidere! — Sono cinque anni che tutti seguitano a ripetermi queste parole! Tutti: il maestro, il padrone, l’artista, lo scienziato, il poeta, il politico, l’impiegato, il prete, il giudice…. Ecco i miei complici!
— Il giudice?
—Sì, anche lei! Lei, l’anno scorso, mi condannò per pacifismo, non so a quanti anni di galera, perchè avevo gridato: Non uccidere!

[Domani, n. 2, 15 aprile 1919]

NdF: Emile Cottin (1896-1936) — che nel corso del suo processo si dichiarò «anarchico, ovvero antiautoritario, anticlericale, antimilitarista e antiparlamentare» — il 19 febbraio 1919 fece fuoco sul capo del governo francese Georges Clemenceau, detto «la Tigre», ma anche «il primo sbirro di Francia», venendo quasi linciato dalla folla presente. Nonostante il primo ministro fosse rimasto solo ferito, Cottin venne ugualmente condannato alla pena di morte. Graziato dal presidente Poincaré, la sua pena fu commutata in dieci anni di reclusione e vent’anni di obbligo di dimora. Liberato nel maggio del 1924, con la salute del tutto rovinata, Cottin tornerà più volte in prigione finché nel luglio del 1936 non partirà per la Spagna, unendosi alla Colonna Durruti. Morirà l’8 ottobre di quello stesso anno nei pressi di Huesca, sul fronte di Saragozza.