I giorni di Venaus sono il vero motore di quel senso di comunità in lotta che è diventato il movimento no tav. Sosteniamo questo perchè quei 7 giorni hanno rappresentato, per quelle centinaia di persone che li hanno vissuti, il vero momento in cui la Valle è diventato un corpo unico; per la prima volta si sono sperimentate la libertà e la liberazione di un territorio sotto occupazione, come in molti avevo sentito solo nelle storie che si raccontano nelle sere d’estate.
Dal primo blitz notturno a quello dello sgombero manu militari si è fortemente radicata in tutto il movimento la consapevolezza di potercela fare, individuando in quel modo di agire e di sentirsi in “comune” la formula vincente.
Fino a poco tempo prima Venaus era forse il territorio che meno rispondeva al richiamo della lotta e, la sua popolazione, forse scettica, si affacciava timidamente al presidio che da giugno esisteva, senza far però mai mancare la solidarietà, che si esprimeva con viveri, cordialità e riconoscimento.
Tutto questo nonostante il fatto che Venaus fosse in realtà il luogo più massicciamente colpito dal progetto; la galleria che avrebbe douto sorgervi rappresentava infatti il vero e proprio punto di partenza dell’opera. Forse il momento in cui una parte dellepopolazione ha capito che il movimento avrebbe potuto farcela, pur senza darlo toppo a vedere, fu dopo la manifestazione del 4 giugno, che terminò nel proprio campo sportivo portando in questo piccolo paese della Val Cenischia decine di migliaia di persone.
Il movimento era composto dal comitato della Val Cenischia, che da quando si è formato si è sempre dimostrato attivo, c’erano i ragazzi e le persone che lo compongono, ma c’era sempre poco d’altro.
Invece fu proprio nei giorni successivi al primo blitz notturno che Venaus si è dimostrata qual è veramente, viva e combattiva, ed ha saputo mettere in gioco quanto ci auspicavamo.
Ma proviamo ad entrare nel merito cronologicamente.
Sono le 3 del mattino di martedì 29 novembre, quando iniziano a suonare i telefoni del movimento: la questura ha chiuso gli accessi a Venaus e la polizia è entrarata nel cantiere. La data prefissata per la presa di possesso dei terreni avrebbe dovuto essere il 30, avevamo comunque intenzione di aspettarli già dalla sera prima, ma questa volta, ancora una volta con un sotterfugio, hanno anticipato addirittura di due giorni.
Scatta l’allarme, la questura blocca il bivio dei Passeggeri e non fa scendere nessuno, un nuovo check point si aggiunge a quello di Urbianoche da ormai un mese costringeva gli abitanti della Valle a vivere in un territorio militarizzato. I primi ad arrivare sono alcuni amministratori e militanti dei comitati che raggiungono il presidio, da Giaglione e dai boschi, dove alcuni si erano fermati a dormire proprio per vigilare.
Ai Passeggeri è ancora buio quando all’avanguardia di no tav che hanno velocemente imbastito un contro-presidio l chek point, sopraggiungono alcuni amministratori, e si decide di alimentare il tam tam, aspettando che albeggi per raggiungere gli altri al presidio.
Le notizie che arrivano dal basso confermano che la polizia ha preso possesso del cantiere esistente ma non ha preso i terreni, per i quali, rispettando la legge (!) aspetta il 30, giorno in cui LTF ha convocato i proprietari.
Il presidio no tav man mano s’infoltisce,e nonostante sia un martedì lavorativo la gente continua ad arrivare.
Dal giorno prima in Valle è presente la commissione europea delle petizioni giunta per visionare il territorio ed ascoltare le parti in causa, in seguito ad una petizione presentata tempo addietro a Bruxelles, dove vi era stata anche un’audizione del presidente della comunità montana e di un membro di Legambiente di Valle. Il giorno prima i commissari europei, partiti da Torino, avevano visionato il territorio, dall’alto della Sacra i valligiani gli avevano mostrato e spiegato l’impossibilità di costruire una nuova infrastruttura in uno spazio già saturo. Nessuno ha più molta fiducia nell’utilità di questa visita, ma dato che i commissari sono il loco si decide di fargli vedere come il governo e le istituzioni piemontesi intendono aprire i cantieri.
Arrivati al mattino, con il giorno inizia per una parte dei no tav la discesa a Valle per i sentieri di montagna, e man mano il presidio si popola. La polizia bada a tenere la gente ai Passeggeri e presidia il cantiere, stranamente ignorando la discesa dei manifestanti, che riescono ad eludere anche il blocco di Monpantero ed a raggiungere l’altra riva del Cenischia. La commissione, accompagnata da Vittorio Agnoletto e Monica Frassoni, viaggia su un pulmino: una volta giunta ai Passeggeri chiede di passare il blocco delle forze dell’ordine. La polizia si fa sospettosa e, incurante delle cariche europee presenti, mette in atto quelle pratiche che più le si addicono, manganellando alcuni deputati ed alcuni manifestanti che volevano oltrepassare il check point. Dopo questo atto che gioca a favore dei manifestanti, i commissari possono finalmente passare e giungere al presidio dove, dopo averlo visitato, prendono atto dell’ennesimo atto militare in corso. Più tardi in una conferenza stampa al comune di Susa, i tre membri, appartenenti a tre formazioni politiche diverse tra di loro, useranno dure parole di condanna sull’operato del governo e delle forze dell’ordine, giudizio poi messo per iscritto e presentato nella sede del parlamento europeo.
Ad un certo punto, sotto pressione e forse con le idee poco chiare, il blocco della polizia si apre e centinaia di manifestanti giungono a Venaus, riprendendo le posizioni in vista del 30.
30 novembre-giorno 1
Il 30, mercoledì, è il giorno prefissato per la presa di possesso dei terreni di Venaus. I proprietari erano stati convocati a vari orari da una raccomandata inviata da Ltf che prevedeva già in sé l’uso delle forze dell’ordine e la nostra presenza.
Dalla notte ci facciamo trovare pronti ed al mattino centinaia di resistenti si presentano a Venaus convinti di opporsi al tentativo delle forze dell’ordine di invadere i terreni. La situazione che si presenta innanzi ai manifestanti vede la polizia già nel cantiere ed un continuo viavai di mezzi che viene segnalato dagli abitanti della Valle e da vedette preposte. Tutti i manifestanti circondano il cantiere presidiando le uscite delle forze dell’ordine, che ad un certo punto tentano il blitz passando contemporaneamente da tre punti, ma subito ai due lati di Venaus ed in mezzo al prato centinaia di valsusini gli si oppongono tenendo la spinta, incordonati e determinati. In questa fase le forze dell’ordine si muovono in maniera soft, spingendo i manifestanti con gli scudi, lavorando di forza senza usare, tolto qualche colpo proibito dal basso, i manganelli.
Da lì la situazione rimane in stallo con la forza pubblica schierata ovunque ma ferma, ha il cantiere, è presente nelle strade ma non agisce.
Intanto però decine di mezzi e centinaia di uomini bloccano gli accessi alla Val Cenischia.
Allo stesso tempo vengono alzate barricate a difesa del presidio e utili ad impedire il cambio alle forze dell’ordine. Dopo l’esperienza del Seghino il movimento, nella pratica, ha imparato quanto la freschezza delle truppe possa fare la differenza e quindi, impedendo il cambio degli agenti, oltre a rendere il favore fatto si avvantaggia nel tempo di resistenza.
La barricata è eretta e presidiata a metà strada tra l’ingresso del cantiere e la centrale dell’Aem che la questura tenta di usare come passaggio pedonale per fare i cambi. Anche in questo caso il cambio non viene effettuato grazie agli ostacoli creati dai difensori della barricata. La strategia dei cambi si dimostrerà vincente, tant’è che i gendarmi non turneranno per 18 ore consecutive.
All’imbrunire, valutando il prosieguo della serata e considerando le forze in campo, decidiamo di allentare la presa ed indietreggiare la barricata a difesa del presidio. Sappiamo che questa scelta porterà al cambio la polizia, ma consapevoli valutiamo di non poter reggere ancora per molto un’ipotesi di scontro, né pensiamo che sia utile, visto che li abbiamo tenuti bloccati per ore. Però non lasciamo senza pretendere qualcosa, quindi si tratta con la polizia l’uscita di uomini e mezzi senza però che avvenga un cambio, poi (senza dichiararlo alla controparte) avremmo indietreggiato la barricata.
Così viviamo l’ennesimo momento di smacco per la questura torinese, in cui decine e decine di uomini e mezzi di polizia, guardia di finanza e carabinieri, sono costretti a passare tra due ali di folla, che dopo aver aperto la barricata li guarda sfilare,tenendosi sottobraccio, determinati, dimostrando l’astio di una Valle intera e della sua gente per chi rappresenta l’occupazione militare che difende gli interessi del Tav. Ci rendiamo conto una volta in più, vedendoli sfilare, dei numeri che il ministero dell’interno ha messo in campo per batterci ma che, ancora una volta, non sono riusciri a farlo.
Arriviamo a sera e, rinforzando le barricate con cura, innalzandole, fortificandole grazie alle decine di persone che diventano ingegneri di questo strumento di resistenza, ci prepariamo a passare la notte, organizzando le posizioni di controllo al cantiere, le presenze alle barricate, le vedette ed i responsabili all’interno del presidio dei telefoni utili a lanciare il segnale in caso di attacco.
Barrichiamo l’accesso alla strada dai Passeggeri, quello da Venaus ed ogni possibile passaggio intorno al cantiere.
Ogni resistente mette a disposizione voglia e capacità, inventando e riscoprendo una forma di resistenza, quella di montagna, che viene da lontano nel tempo e lontano è destinata a portarci. Il prato si popola di tende, ci sono falò ovunque, sono centinaia i resistenti che turnando, faranno vivere la resistenza quotidiana e notturna. Si socializzano il cibo e le vivande, si discute, si ride, si scherza, ma si pianifica il futuro, si pensa al prosieguo della lotta e si fa sempre più forte la convinzione di potercela fare.
E’ un via vai continuo di gente, che fa il giro delle postazioni, scambia battute, porta viveri e soprattutto si ferma a resistere partecipando a questa battaglia.
Nonostante la temperatura il cibo e le bevande calde non mancano da subito, sia per la solidarietà di Venaus e della Valle, sia per l’impegno con cui decine di donne e di uomini si sono messi a disposizione della lotta, provvedendo 24 ore su 24 a cucinare ed a gestire la struttura del presidio. Molti di loro venivano da quell’esperienza ormai collaudata dei tre presidi permanenti, nei quali a qualsiasi ora del giorno era possibile mangiare e bere qualcosa di caldo, la cassetta delle offerte era la cassa del popolo.[…]
[estratto da NOTAV- La Valle che Resiste – Febbraio 2006]