Al momento dell’avvio dei lavori, lo Stato resta sempre determinato a realizzare il suo progetto della maxi-prigione. Esso agita lo spettro della repressione contro chi lotta. Ha la necessità di difendere questo investimento gigantesco, parte di un piano ancora più vasto di una decina di nuove galere.
Il suo obiettivo è chiaro: rinchiudere sempre più persone per sempre più tempo.
E queste misure non sono riservate ai soli prigionieri di dentro. Anche fuori, il giro di vite si generalizza: con condizioni di sopravvivenza sempre più dure, migliaia di persone espulse dal mondo del lavoro, nuove uniformi che pullulano, telecamere di sorveglianza a tutti gli angoli delle strade… La maxi-prigione è solo la ciliegina sulla torta.
E quindi, che si fa? O ci facciamo rinchiudere nelle nostre vite di merda, o attacchiamo coi mezzi che riteniamo più idonei tutti coloro che stanno per forgiarci un quotidiano da caserma: costruttori, architetti, ingegneri e prestatori d’opera nella maxi-prigione, fino ai politici che prendono decisioni, passando per tutti coloro che si arricchiscono con l’affare della sicurezza e della reclusione.
Ma anche disturbando il loro ordine, aggiungendo il nostro tocco chiassoso a questa città che vorrebbero civilizzata e senz’altra vita se non quella della merce.
Non è svendendo la nostra lotta per qualche apparente miglioria che riusciremo a metter loro i bastoni fra le ruote. Piuttosto, ciò che temono è un movimento completamente agile, fatto di piccoli gruppi, senza partiti politici né capi, che decidono da soli dove e come attaccare.
Nessuna ricetta, ma una miscela che ha un potenziale esplosivo: una pluralità diffusa e incontrollabile che, attraverso l’autorganizzazione e l’azione diretta, può superare i muri che vorrebbero imporci.
Scateniamoci contro tutti coloro che mettono sbarre alla nostra vita!
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