Collettivo editoriale delle Éditions de La Roue,
(Miguel Amorós, Michel Gomez, Marie-Christine Le-Borgne, Bernard Pecheur)
PROSPETTIVE ANTINDUSTRIALI
Pagine 64, € 4,00
Le prospettive antindustriali sono orientate verso il superamento dell’attuale società che non è più quella della diversità delle classi sociali e della sua geografia non più umana: la totalità dello spazio è urbano o accessorio dell’urbano. Lo spazio non urbano, i territori residuali delle megalopoli, sono considerati solo satelliti degli agglomerati urbani. Lo spazio urbano, seppur diviso in zone di integrazione e di esclusione (quartieri dormitorio, ghetti), è lo spazio unificato della merce. La vita qui è artificiale, massificata, mutilata, addomesticata, determinata dalla tecnologia e colonizzata dallo spettacolo. È al tempo stesso uno spazio industriale alienato, in cui gli esseri umani esistono solo in quanto massa, è un immenso non luogo. Reso “sicuro”, neutro, omogeneo, trasparente, sterile; è insieme prigione, fabbrica, centro commerciale e stadio. La circolazione domina sulle altre attività. È una società urbana priva di un progetto comune, in cui ogni sua singola parte può essere comprata, venduta oppure data alle fiamme. Una società d’imprenditori, una società-mercato.
In questa società, la tecnologia – processo che riunisce scienza, tecnica, economia e politica – è la forza che presiede a ogni cambiamento; sta alla base di ogni sistema di produzione, circolazione e consumo. È il mezzo grazie al quale la produzione può essere automatizzata e delocalizzata, la natura colonizzata, le sue forze domate e le sue risorse saccheggiate; infine crea lo spazio sociale in cui la merce diventa spettacolo. La tecnologia che non può essere ridotta a un insieme di macchine e di conoscenze, costituisce di per sé un sistema divenuto autonomo. L’economia è alle sue dipendenze, ed essa si è diffusa a tal punto che si può parlare di una società resa artificiale o “coltivata fuori suolo”. Gli uomini, veri soggetti della storia alienata, si limitano a essere nient’altro che mediatori tra le macchine. Ciò non significa che ora le masse non possano mobilitarsi, ma che questa mobilitazione è diventata emotiva, non più razionale: appartenendo a un mondo unificato dalla merce e dallo spettacolo, le masse non possono essere altro che degli assembramenti senza legami, privi di esperienza e di memoria. In questo regno dell’anomia non è più il lavoro il fondamento della collettività, ma la messinscena che serve a simularla: spettacolo della paura, del terrorismo, degli immigrati, degli abitanti delle periferie, degli stupratori, degli assassini, degli incidenti, delle epidemie, della disoccupazione, della povertà, dell’invecchiamento, insomma di tutti quei rischi che sono sempre più numerosi e imprevedibili.
A ogni livello, a partire dalla diversità dei movimenti parziali e delle opposizioni locali, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo globale, l’azione di quelli che vorranno agire contro tutto questo sarà una lotta, priva di passatismo e di nostalgia, contro le fondamenta stesse della società industriale, e in particolare contro le nocività principali: il culto del progresso e la religione della crescita e dello sviluppo. Questa lotta comune, unificata da un desiderio di liberazione e di umanizzazione, troverà delle motivazioni di fondo – estetiche, etiche, ecologiche… – tanto diverse quanto potrebbero esserlo quelle di un’umanità finalmente uscita dall‘addomesticamento perpetrato attraverso la paura e l’amnesia.
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