Sono stato molto indeciso sul rispondere o meno a questo scritto, ma solo per il semplice fatto che certe “amenità” (riciclando il tuo termine) non meriterebbero nemmeno risposta. Rispondo con la speranza di aprire qualche spunto di riflessione, perché dal tuo scritto non escono né spunti di riflessione, né critiche costruttive sulle quali ragionare, anche se so che sarà difficile, perché quando bisogna cambiare le proprie abitudini personali si tende spesso (a volte inconsciamente, a volte no) a resistere al cambiamento.
Partiamo dalla frase con la quale cominci: “Cattiverie gratuite a parte, chi scrive queste note ha scelto una vita di lotta, scontro, violenza, galera perché sente dentro si sé un senso di empatia verso tutti gli oppressi e di odio verso tutti i padroni, a partire dai miei.” Già qua ci sono contradizioni. Dove senti quest’empatia verso TUTTI gli oppressi mentre ti nutri ed appoggi lo sfruttamento proprio dei piú oppressi tra gli oppressi?(e difendi pure questa idea…).Quale odio verso i tutti i padroni se ti ergi proprio a padrone delle vite e dei corpi degli animali non umani?
Per quel che riguarda il tuo discorso sul fatto che i vegani siano “a Milano” o comunque provenienti da grandi città ti devo contraddire ancora. Il maggior numero di vegani è nelle zone degli appennini toscani e nella bassa bergamasca, luoghi non proprio “metropolitani”. Poi essendo io stesso un “montanaro” posso dirti che forse tra “i montanari” è piú difficile fare passare certi messaggi, proprio per il discorso fatto nel comunicato sui benefit sulle “strutture di dominio che ci sono state inculcate dalla cultura e dalla società” che sono ancora piú radicate in noi “montanari”. Altra considerazione da fare è che spessissimo la scelta di diventare vegani spinge all’autoproduzione e allo “scappare dalle città” scegliendo per l’appunto la campagna o la montagna. L’uscita da te fatta “sui sentieri tracciati dai cacciatori utilizzabili come vie di fuga dopo le azioni ” non la commenterei neanche, solo che è una scusa che non avevo mai sentito, quindi ti do voto 10 per l’originalità.
Il veganismo come atto politico è una scelta anticapitalista ed antiautoritaria e non si pone come “obbligo morale” perché nessuna lotta antiautoritaria potrebbe porsi in questo modo. Non si tratta di amore verso gli animali non umani, non si dice che bisogna amarli per forza, ma riconoscerli come individui con lo stesso diritto alla libertà che auspichiamo per tutt* noi. Conosco compagn* che degli animali se ne fregano altamente e non hanno i un minimo di empatia verso di essi, ma nonostante ció sono vegani solo ed unicamente come atto politico (discorso che forse non è chiaro a molt* compagn*).
Come ci si puó dichiarare antiautoritari e cibarsi di brandelli di individui imprigionati,sfruttati ed uccisi? Perchè l’autoritarismo e le gerarchie le vogliamo distruggere,o sbaglio?
Poi nel tuo quadro generale noto nettamente che hai le idee molto,molto confuse( per non dire totalmente errate) su cosa sia l’antispecismo. Non è assolutamente un “Peace & Love” come da te descritto ,non è roba da freakkettoni, non so dove tu ti sia informato, ma sei informato veramente male.
Le pratiche d’azione sono le medesime degli anarchici, perché l’antispecismo ha le sue radici anche nell’anarchismo verde .Tenti di creare una sorta di divisione con una frase tipo “Insomma abbiamo di fronte due realtà. Da una parte l’antagonismo, col suo modo di vestire, col suo modo di mangiare, col suo modo di parlare; dall’altra chi è rivoluzionario e lotta con le armi per abbattere lo Stato e sterminare i padroni. Da un lato la forma, dall’altro la sostanza ”scordandoti che peró gli antispecisti sono anche compagn* con i quali si dividono le strade, le lotte, la repressione, la prigionia, le azioni ed anche le modalità di agire. Una differenza forse potrebbe essere nel fatto che nelle azioni di sabotaggio a volte, oltre che cercare di causare il maggior danno economico possibile,si porti in salvo qualche vita. Parlo per me personalmente, ma anche per quei fratelli e sorelle di lotta con i quali ho il piacere di confrontarmi. Nessuno di noi è contro l’uso della forza o della violenza per distruggere lo stato ed il capitalismo. Ed ora veniamo alla conclusione del tuo scritto, la parte sui prigionieri, cosa che sinceramente mi ha spiazzato di piú : tu contrapponi una tipologia di prigionier* con quella che secondo te è la mentalità antispecista, come se da una parte ci fossero i duri che agiscono con la forza e dall’altra i pacifisti che vogliono solo parlare e teorizzare. Come se da parte antispecista mancasse solidarietà e complicità verso i prigionieri anarchici (lo siamo noi stessi anarchici!) e come se a marcire in quelle galere non ci fossero anche compagn* antispecist*.Ci sono forse prigionier* di serie A e prigionier* di serie B? Per me rimangono fratelli e sorelle imprigionati, in un certo modo e per motivazioni differenti, proprio come gli animali non umani imprigionati negli allevamenti. Questo farà storcere il naso, ma la realtà è questa, se si vogliono abbattere le gabbie, bisogna volerle abbattere tutte, cominciando da quelle mentali che non ti fanno vedere l’essere a tua volta lo sfruttatore ed il boia.
Concludo riportando un pezzo di un volantino che distribuiamo con il collettivo al quale appartengo alle nostre iniziative:
“Solo riconoscendo loro lo status di soggetti, e non di oggetti, non ci si comporterà da sfruttatore e nemmeno ci si renderà complici di siffatte torture. E il mangiar brandelli di una animale in questo preciso contesto storico, politico e culturale, non è compiacere le logiche di dominio che trovano negli animali non umani schiavi incapaci di ribellarsi, non per condizione mentale ma fisica? Non è forse su di essi che lo sfruttato diventa a sua volta sfruttatore come per una sorta di rivalsa? Il ritornello “Io voglio mangiare quello che mi piace” sarebbe ammissibile in un mondo privo da ogni forma di dominio, un mondo di cui delle gabbie sono rimaste solo le macerie ma dovremmo essere realisti e constatare che è impossibile in questa società rimanere neutrali, che “ogni singolo individuo può cambiare le cose, il modo in cui le cambiamo dipende da noi, perchè la scelta è nostra.” E’ il nostro agire quotidiano che permette alla teoria di svestire i panni della retorica per divenire azione, quell’incantevole parola in bocca a tanti anarchici. Il veganismo non rappresenta altro se non un’azione di libertà in questo mondo di prigioni.”
Le lotte non sono separate
Liberazione totale
Un veganarchico