L’Eretico (Luigi Galleani)
Se della serena forza delle convinzioni, della sicurezza della coscienza, della saldezza del carattere, così degli individui come delle collettività, devesi giudicare nell’ora tempestosa della prova, quando giudizi, atteggiamenti, resistenze sono
cimentate dal ciclone devastatore delle passioni sfrenate — sparuto pegno della sua forza, del suo carattere, ci dà il movimento sovversivo d’Italia nella gamma svariata che va dal riformismo parlamentare ministeriale al socialismo anarchico, contrito tutto quanto dinnanzi alle minacciose coalizioni della gente per bene, frettoloso di rassicurare il re, Giolitti, la stampa dell’ordine che partecipa esso pure dell’orrore onde Antonio D’Alba ha del suo gesto irriverente percosso tutti i santuari della patria; e con tutta l’anima al giubilo dei te deum salutanti la rinnovata devozione del popolo al re ed alla regina scampati per l’amore e per la grazia di dio al sacrilego attentato.
Ed è intorno ad Antonio D’Alba, il reprobo ventenne, il coro osceno delle abiure tremebonde e delle caine maledizioni con cui dall’italico sovversivismo addomesticato si era nel 1900 ripudiata ogni solidarietà coll’atto di Gaetano Bresci, e con quello di Leone Czolgosz nel 1901; è, dinnanzi alla reazione farneticante, in armi, di utopiche restaurazioni e di rivincite esemplari la stessa casistica alfonsina, lo stesso affanno a distinguere tra i fedeli e gli infedeli delle spaurite confraternite, lo stesso tormentoso rovello a separare le responsabilità di chi opera da quelle di coloro che anche di pensare hanno paura, lo stesso impudico acrobatismo a cercar l’alibi decente nell’infamia della vittima rinnegata.
Nessuno di noi si sogna che potessero socialisti ed anarchici in patria rivendicare anche col più studiato riserbo una qualsiasi solidarietà nell’attentato del 14 Marzo.
Lo stato d’animo dei volghi d’Italia è filtrato fin qui attraverso episodi così caratteristici che l’illusione non è possibile. Se si rompono beduinamente le costole dal colto e dall’inclita ai giudici che non si levano in teatro ad acclamare il re, od ai repubblicani che non plaudono alla marcia reale, il meno che potrebbe ora toccare ad un socialista o ad un anarchico i quali osassero un rimpianto sull’attentato od una parola di compatimento ad Antonio D’Alba sarebbe la quaestio major degli Angelelli e dei Doria, ove non fosse fulmineo, irresistibile il linciaggio delle turbe allenate all’omicidio da quattro mesi di furiosa cannibalesca rettorica guerrafondaia.
E se da qui, dove l’indipendenza irriverente dei giudizi non ci pone ad alcun rischio, noi pretendessimo dai sovversivi della patria una franchezza che ad essi potrebbe costar la vita, e costerebbe senz’alcun dubbio anni ed anni di penitenziario, la nostra pretesa sarebbe assurda ed esosa.
Ma è proprio indiscreto desiderare che i socialisti, che gli anarchici, che gli anarchici di Roma soprattutto, che hanno tanto bisogno di far dimenticare l’intolleranza ladina e servile con cui maledicono da tanti anni, e nell’ora che più vigile si raccoglie su di essi l’aspettativa degli amici e degli avversari, a tutti gli atti di ribellione, avessero per una volta osato cotesto semplice e modesto coraggio del silenzio contro cui si abbatte sterile ogni libidine di persecuzione ed ha nel suo arcigno riserbo tutte le bellezze e tutte le fierezze dello sdegno? È esoso pretender che dai preconizzatori di rivolte popolari — rivolte che assurgono lentamente ma infallibilmente dall’audacia singola all’epica insurrezione collettiva, alla rivoluzione — non si mescesse nel raca! immondo dei pretoriani e dei giullari, l’imprecazione od il vituperio di chi dalla storia o dalla esperienza ha desunto che gli anatemi non avvertono l’indeprecabile, e che i vituperi non ne dirimono le conseguenze? E sul capo del povero d’Alba non avevano cortigiani e birri e preti delle invereconde mani forsennate calcate le spine della sanguinante corona perché dovessero i fratelli — si è pur fratelli, oltre la congrega breve ed irosa, nella speranza, nel proposito nella redenzione comune — versarvi a piene mani l’obbrobrio e l’infamia?
Lasciamo da bando l’Avanti! per cui l’attentato del 14 Marzo — come già quello del 29 Luglio 1900 — «rientra nella categoria, terrificante delle mostruosità degenerative le quali hanno un valore puramente clinico ed un’importanza strettamente episodica». I Bonomi, i Cabrini, i Bissolati che corrono a felicitarsi col re dello scampato pericolo, i Ferri, i Casalini, i Berenini che mandano il loro telegramma d’indignazione e d’orrore pel sacrilego attentato sono il socialismo alla vigilia delle responsabilità ministeriali, il socialismo riconciliato, oltre il clericalismo di parata, col Vaticano che è una potenza; oltre gli inni sbarazzini ed il remoto tirocinio repubblicano, col re che è il capo dello Stato; oltre la lotta di classe le mille volte rinnegata, le mille volte tradita, colla borghesia dominante ed alleata: governeranno col re, domani, intrigheranno col Papa, domani; divideranno coi nostri sfruttatori, coi nostri oppressori le spoglie, domani; ed a freno delle nostre rivendicazioni ed a scherno dell’ordine venerato porranno, domani, raddoppiata la siepe delle baionette, lo stupro dei birri, le galere, la forca ed il boia. Lo zelo cortigiano e forcaiolo dell’oggi è la garanzia della fedeltà, della devozione, del domani.
E il socialismo è così lontano dai socialisti dell’Avanti! del parlamento, del Ministero, che l’episodio finisce per non suscitar più né preoccupazioni né sdegni.
Ma da due fonti diverse sperava certamente conforto il povero D’ Alba, al suo disinganno nella tormenta d’odii che alla sua cella recava l’eco sorda della universale maledizione. Dalla famiglia, dalla madre, dal patrigno, dal fratello, dalla cognata che sapevano la sua bontà, il suo disinteresse, la sua miseria, e non avrebbero lasciato dire, lasciato ripetere impunemente, che egli fosse un sicario agli stipendi della questura o dei Giovani Turchi. Sperava conforto fraterno da un gruppo di lavoratori che in Roma egli aveva imparato a conoscere in tutte le agitazioni operaie degli ultimi anni, ne’ pubblici comizi in cui portavano, schiva di lenocini bugiardi, un’eloquenza strana, rude nella forma impetuosa di sentimento, grande di verità, di sincerità, di speranze inaspettate, d’ignorate giustizie, d’imprevedute risurrezioni, benedette dalla gioia, dal benessere, dalla libertà.
Questi avrebbero compreso il suo gesto, sarebbero scesi nella coscienza ruggente in cui il proposito era maturato, avrebbero gridato essi con voce più forte d’ogni più furioso crucifige! la realtà spaventosa che in lui era divenuta ossessione spasmodica: mandan al macello di là dal mare troppi figli di mamma per l’impresa stolta ed infausta!
Forse essi soli avrebbero compreso e l’avrebbero gridato; e l’eco, chissà? l’eco poteva dalle loro voci, dai loro cuori gagliardi tramutarsi nel peana d’una guerra più vasta e più generosa, nella santa guerra che essi avevano in cospetto dei lavoratori dell’urbe le mille volte conclamata.
Povero D’Alba ! La madre a cui egli aveva celato gelosamente il suo proposito non trovò la parola indulgente pel figlio perduto; il padre lo maledì; il fratello, buon mastino da preda e da guardia, non vide nella improvvisa iattura domestica che il pericolo di tornar ingrato al padrone, e non aveva più chi servire.
La cognata, spaurita dallo scandalo, non ebbe per l’assassino, venuto a contaminare inaspettatamente la loro immacolata reputazione di schiavi docili e felici, che un rutto di bava (1).
— Me fate vede’ che dicheno? chiedendo un giornale al delegato Mezzabotta che lo portava a Regina Coeli, interrogava il disgraziato d’Alba: Me fate vede’ che dicheno?
— Dicono che pazzi di vergogna e di dolore vostra madre, vostro padre, vostro fratello, tutti in casa vostra vi hanno maledetto.
Anche il solo conforto che egli sperava, gli si inaridiva subitamente nell’atroce risposta dell’aguzzino.
Ma quegli altri… oh! quelli avrebbero compreso…
Quegli altri…
«Aristide Ceccarelli, oratore quasi ufficiale del suo partito in tutti i comizi anarchici, ha detto di non conoscere l’assassino che del resto non è stato mai sentito nominare da nessuno dei compagni… “Io dubito, ha soggiunto, fortemente che sia anarchico individualista, perché nessuno degli anarchici individualisti da noi conosciuti sa di questo individuo che non può essere se non un esaltato ed un solitario, tanto più che chiunque si azzardasse a far proposte di attentati agli amici sarebbe considerato né più né meno che un agente provocatore”…» (2).
«Uno dei più noti anarchici militanti, il romano Melinelli ha smentito che il D’Alba militasse nel partito anarchico. Ha detto di non conoscerlo… “Noi volevamo provocare un’agitazione contro la guerra ma facendo un’azione rivoluzionaria avremmo avuto contro di noi la grande maggioranza del paese… Siamo contrari alla guerra, ma non dimentichiamo che le truppe combattenti contro i Turchi si compongono di figli di proletari ed ammiriamo la loro fede ed il loro coraggio che vorremmo rivolgere a fini pacifici”» (3).
Luigi Curti, un altro anarchico intervistato dal Giornale d’Italia ha detto che l’attentato gli ha recato ingrata sorpresa. È tramontato il periodo dei governi reazionari ed è tramontato di conseguenza il periodo degli attentati. La rivoltella di Antonio d’Alba è probabilmente ammaestrata. Da chi? Non so. Ma perché invece di pensare agli anarchici non si pensa ai Giovani Turchi?
«Il re e la regina pei sentimenti democratici da cui sono francamente animati riscuotono forse maggior avversione nelle alte sfere che non tra il proletariato…» (4).
Povero d’Alba! non l’hanno compreso, non hanno voluto comprenderlo neanche quegli altri…
L’Avanti! che all’attentato nega anche «il significato politico di protesta contro la guerra» e relega tra i degenerati il suo autore infelice, si inchina riverente al maggior Lang dei corazzieri che per il capo dello Stato ha ripetuto il gesto eroico di Benedetto Cairoli… senza saperlo.
I socialisti anarchici di Roma incerti se lo debbano catalogare tra gli emissari dei Giovani Turchi o tra gli agenti provocatori di Giovanni Giolitti, in attesa di protestare contro la guerra quando avranno il consenso della maggioranza della nazione, fanno atto ligio di devozione al re democratico ed alla regina che, beata lei! può allattare i propri figliuoli.
E nel dilagare dell’arcadia rivoluzionaria, povero d’Alba, mandano al macello senza contarli per un’impresa folle tanti figli di mamma!
Le avanguardie della rivoluzione sociale non hanno compreso, non hanno voluto comprendere; ti hanno rinnegato, maledetto, come nella ottusa anima di servi ti hanno maledetto il padre, la madre, i fratelli.
Solo! disperatamente solo.
Se non fossero con te in affetto ed in spirito solidali i reprobi a cui fanno schifo i socialisti del parlamento che ti rinnegano nell’arrembaggio alla cuccagna, a cui fanno pietà i socialisti anarchici della… regina, che ti rinnegano e ti vilipendono per la paura; e senza domandarsi se il reprobo sia andato oltre il proprio diritto o se il carnefice sia umano e pietoso, preferiscono l’audacia alla viltà, la vittima al boia ed all’armento che lo magnifica, la rivoluzione alla forca!
(1) Il Secolo di Milano, 15 Marzo 1912.
(2) Idem.
(3) L’Avanti! di Roma, 15 Marzo 1912.
(4) Idem.
[Cronaca Sovversiva, anno X, n. 15, 13 aprile 1912]