Xylella fastidiosa, Stato insopportabile

index

Cronistoria di un’emergenza inventata e riflessioni

Il nome del patogeno che avrebbe dovuto infestare nei mesi scorsi tutti gli ulivi del Salento contiene un aggettivo singolare: fastidiosa. E di fatto fastidioso questo batterio lo è stato, perché anziché far morire tutti gli ulivi, le piante da frutto e le piante ornamentali, così come paventato dal piano emergenziale del Commissario straordinario, dalla Regione Puglia, dal Governo e dalla Comunità Europea, la notizia della sua diffusione e dei rimedi per abbatterlo – taglio di centinaia di migliaia di ulivi e irroramento massiccio di pesticidi –, ha suscitato un moto d’orgoglio da parte di molti che, in qualche modo, ha rallentato questo piano. Se da un lato è stato abbastanza chiaro, per coloro che si sono interessati alla questione, che si trattava di un piano devastante e biocida senza alcuna logica apparente – ma forse con una sua logica intrinseca legata al tipo di economia e di potere che regge il pianeta –, dall’altra i metodi utilizzati per affrontare tale questione hanno risentito al solito dei limiti legati ad un modello rappresentativo-democratico davvero poco credibile, ma che si sostiene e si riforma, autoriproducendosi.

Se più della metà degli elettori non va a votare il potere trova ancora linfa da utilizzare per governare e specula su questioni come il disseccamento degli ulivi o una grande opera come il gasdotto Tap, spendendo inutili parole di politichese, mentre al chiuso degli uffici lavora per peggiorare la vita di tutti. L’altra metà di elettori si afferra a questa illusione per paura del baratro. Qualcuno si chiude occhi, orecchie e bocca e contribuisce al mantenimento dei privilegi di questi veri parassiti. Qualcun altro invece è proprio convinto che quella sia la strada da percorrere. E così di ricorso in ricorso alla magistratura, di colloquio in colloquio con chi gestisce il potere, di richiamo in richiamo alla democrazia, alla costituzione, ai diritti dell’uomo, della natura e degli animali, il tempo passa, le energie si esauriscono e lo Stato e le sue lobby compaiono all’improvviso, militarizzano con centinaia di uomini delle forze dell’ordine la zona in cui devono intervenire e operano all’insaputa di tutti, infischiandosene ovviamente di tutti i ricorsi, le raccolte delle firme, le inchieste della magistratura, la volontà della persone. Nonostante questo c’è chi continua ad appellarsi alla magistratura, al Governatore neo eletto, a quello uscente, al parlamentare, alla Commissione Europea, ecc. ecc. È evidente che lo Stato viene considerato qualcosa di insuperabile, senza il quale non si può immaginare null’altro. Eppure non esiste un cattivo Stato e uno buono, c’è chi governa meglio, c’è chi governa peggio, ma che lo Stato faccia davvero l’interesse dei propri cittadini dovrebbe essere una favola ormai vecchia a cui sembra davvero sorprendente si possa ancora credere.

Responsabili
Il 7 luglio 2015 a Oria, in provincia di Brindisi, sono stati tagliati 45 alberi di ulivo. Questo provvedimento è stato messo in opera sulla base del piano della Comunità Europea, recepito dal Governo italiano ed eseguito da un Commissario straordinario. Ciò per contenere il diffondersi del batterio di Xylella fastidiosa. Nessuna analisi, nessuna certezza che quegli alberi fossero malati, solo l’esecuzione di un delirio di onnipotenza da parte delle istituzioni che inventano un’emergenza e mettono in campo tutti i mezzi necessari, compresa la forza, per attuare i propri piani. Piani solo in parte comprensibili data l’assurdità della situazione. Le immagini degli operai dell’Arif (Agenzia regionale per le attività irrigue e forestali) intenti a tagliare alberi bellissimi e verdissimi e apparentemente in ottima salute, accerchiati da decine di sbirri, dà il senso di quello che è accaduto. Probabilmente il tentativo di sostituire un metodo di agricoltura tradizionale con uno intensivo che utilizzi pesticidi in gran quantità e una differente varietà di piante, più produttive ma dalla vita meno longeva, cercando poi pian piano di introdurre anche l’utilizzo di Ogm, almeno come possibilità e smussando così le resistenze. È sembrato di vivere in un laboratorio a cielo aperto e ad essere sperimentate o testate sono state anche le reazioni delle persone. Si prova con l’illusione della partecipazione; se funziona, bene, la strada è spianata per qualunque nocività e il “progresso” può andare avanti. Se non funziona si procede con la paura e col terrore, si usano i media per spaventare le persone, si fa una propaganda serrata e quotidiana per instillare nella mente i concetti che tornano utili come “batterio killer”, zona infetta, eradicazione e, se non funziona ancora, si procede con la forza. Queste tre possibilità a volte si combinano, a volte vengono usate singolarmente, ma spesso ritornano nella gestione dei territori e dei luoghi dove il potere, economico e statale, vuole intervenire per imporre qualcuna delle sue opere o dei suoi nuovi modelli di controllo dell’esistente.
Questo però non dovrebbe farci dimenticare che sempre di un’imposizione si tratta e chi la esegue è, anch’esso, complice di chi dà il comando. Siamo troppo abituati a dire sì, a vivere irreggimentati, a rispettare l’Autorità per dire no, per disobbedire, per disertare, per rifiutarsi.
Tuttavia la disobbedienza c’è stata, poiché in molti hanno cercato di impedire che il piano di eradicazioni, proseguito ad ottobre, questa volta in maniera più decisa, andasse avanti. Ma per stroncare le proteste il cosiddetto piano bis ha previsto che, a tagliare gli alberi, fossero gli stessi proprietari ai quali è stato notificato che i propri alberi erano malati, naturalmente senza alcuna prova di laboratorio. Per fare queste notifiche lo Stato si è servito della Guardia Forestale, forza di polizia a tutti gli effetti  e che presto verrà accorpato nei carabinieri, che si è presentata a casa dei proprietari, spesso anziani contadini proprietari di pochi alberi, alle quattro del mattino con più uomini.
Se i contadini non avessero adempiuto al taglio degli alberi avrebbero ricevuto una multa salatissima e gli alberi sarebbero stati comunque tagliati con la forza. Il piano bis ha cercato quindi di troncare le gambe alla protesta, tuttavia azioni di resistenza si sono verificate ugualmente, quali difesa degli alberi con i corpi degli oppositori, presìdi permanenti, manifestazioni di piazza, ripiantumazione di alberi eradicati, rifiuto degli operai di una ditta di eradicare, minacce all’autista della ruspa che avrebbe dovuto espiantare e furto delle chiavi, chiusura di tutti gli accessi al paese dove erano previsti tagli, piantumazione di nuove piante d’ulivo dello stesso tipo di quelle tagliate, scritte murali. Infine l’occupazione dei binari in un paese in provincia di Brindisi per sette ore da parte di decine di persone.
Troppe domande, qualche certezza
Spesso abbiamo troppe domande in testa per riuscire ad avere una proposta valida, ma alcune certezze ci accompagnano sempre, e non potrebbe essere altrimenti. Abbiamo una visione del mondo e in base ad essa cerchiamo anche di intervenire nelle varie questioni, apparentemente slegate tra di loro, ma che in realtà non lo sono affatto. Se pensiamo ad esempio allo sfruttamento di vari luoghi nel mondo, alla distruzione di interi territori, alla desertificazione provocata da questo sistema economico, alle catastrofi poco naturali che mettono in fuga milioni di persone, non possiamo non pensare di essere accomunati all’esistenza di altri individui quando sulle nostre teste viene imposta una nocività o si decide qualsiasi progetto tolga un po’ di libertà.
Se molti posti nel mondo vengono depredati delle risorse, se la costruzione di una diga toglie l’acqua alla popolazione che vi era insediata e che per forza di cose è costretta a spostarsi, se la costruzione di infrastrutture toglie terra e mezzi di sostentamento a chi vive quei luoghi, se i semi da piantare diventano proprietà privata tramite un brevetto di una multinazionale, come possiamo non collegare tutto questo all’emigrazione forzata che milioni di persone si trovano ad affrontare. Senza contare le guerre che vengono scatenate in giro per il mondo, spesso al fine di controllare le risorse energetiche di alcune nazioni.
Del Salento si vuole fare un luogo per un turismo d’élite e un punto di passaggio e di produzione strategico per varie fonti di energia, fonti fossili, gasdotti, energie rinnovabili, eolico, solare, biomasse. Se a ciò si aggiunge il tentativo di insediare un’agricoltura industriale intensiva il quadro è completo.
Un modello che si sostituisce ad un altro, a volte più lentamente, a volte con un’accelerata, come in questo periodo, e spazza via ogni altra cosa, aspetti ambientali, culturali e sociali prima esistenti.
Naturalmente ciò che vogliamo difendere non sono le tradizioni di un popolo, né un’identità qualsivoglia essa sia, ma una vita a misura d’uomo, naturale, selvaggia se possibile, i luoghi dove viviamo e che si vuole trasformare in deserti inquinati e asettici, tutti uguali. Ciò che vogliamo è resistere alle imposizioni, all’Autorità di qualunque tipo che pretende di gestire le nostre vite, vogliamo difendere la nostra possibilità di scelta, se ancora ne rimane qualcuna.
Ed è per tutti questi motivi che non potremo mai trovarci, nella nostra battaglia, al fianco di un fascista, di uno che ha la gerarchia in testa, che fomenta l’odio contro il diverso, lo straniero, e che è parte integrante di questo sistema di sfruttamento, nonostante il suo populismo. Non abbiamo bisogno di una falsa unità, di difendere un ulivo e dimenticare tutto il resto. Non abbiamo bisogno di difendere il nostro orticello e chiudere gli occhi davanti alle morti in mare di migliaia di persone, alle guerre, alla devastazione del pianeta. Non abbiamo bisogno di difendere un territorio perché salentini; il patriottismo non ci appassiona, ci sentiamo accomunati ad altri individui in quanto sfruttati. Non ci sentiamo fratelli di chi vorrebbe, come un fascista o un integralista di qualsiasi tipo, vietare, negare, limitare la libertà.
Un modello che si sostituisce ad un altro, a volte più lentamente, a volte con un’accelerata, come in questo periodo, e spazza via ogni altra cosa, aspetti ambientali, culturali e sociali prima esistenti.
Naturalmente ciò che vogliamo difendere non sono le tradizioni di un popolo, né un’identità qualsivoglia essa sia, ma una vita a misura d’uomo, naturale, selvaggia se possibile, i luoghi dove viviamo e che si vuole trasformare in deserti inquinati e asettici, tutti uguali. Ciò che vogliamo è resistere alle imposizioni, all’Autorità di qualunque tipo che pretende di gestire le nostre vite, vogliamo difendere la nostra possibilità di scelta, se ancora ne rimane qualcuna.
Ed è per tutti questi motivi che non potremo mai trovarci, nella nostra battaglia, al fianco di un fascista, di uno che ha la gerarchia in testa, che fomenta l’odio contro il diverso, lo straniero, e che è parte integrante di questo sistema di sfruttamento, nonostante il suo populismo. Non abbiamo bisogno di una falsa unità, di difendere un ulivo e dimenticare tutto il resto. Non abbiamo bisogno di difendere il nostro orticello e chiudere gli occhi davanti alle morti in mare di migliaia di persone, alle guerre, alla devastazione del pianeta. Non abbiamo bisogno di difendere un territorio perché salentini; il patriottismo non ci appassiona, ci sentiamo accomunati ad altri individui in quanto sfruttati. Non ci sentiamo fratelli di chi vorrebbe, come un fascista o un integralista di qualsiasi tipo, vietare, negare, limitare la libertà.
Che la paura cambi di campo
All’indomani dell’eradicazione dei 45 ulivi a Oria, una delegazione di presidianti si è recata dal Prefetto di Brindisi per chiedere spiegazioni su quanto accaduto. Per tutta risposta il funzionario, con modi spicci e arroganti, ha affermato che in quanto elettori dovevano sottostare a quanto deciso, che era una legge dello Stato e che dovevano rispettarla. Che in quanto semplici cittadini non rappresentavano proprio nessuno. Per il Prefetto, che è espressione del Governo sul territorio, la forza e la legge sono essenzialmente la stessa cosa. Decide il più forte, non c’è altro da dire. Per chi non ha fiducia nell’Autorità e neanche nel Diritto non c’è tanto da stupirsi poiché il Prefetto ha affermato quella che è l’essenza di uno Stato democratico.
Non è uno stato d’eccezione, è la gestione del diritto, e la forza è uno degli elementi fondanti. Dietro l’apparenza della partecipazione, in realtà, si tenta di indurre alla paura e si tiene in scacco il più debole, decidendo del suo destino.
E allora ciò che occorre è che la paura cambi di campo. Che le persone non siano più succubi, suddite di un potere che cerca di sopravvivere. Ad avere paura dovrebbero essere coloro che hanno creato questa emergenza e i loro esecutori e tutte le figure istituzionali locali, nazionali ed europee. Ad avere paura dovrebbero essere i giornalisti che alimentano il terrore e creano confusione.
Ad avere paura dovrebbero essere tutti quelli che hanno accreditato questa emergenza e hanno messo in atto i mezzi per sostenerla fino al necessario. Ad avere paura dovrebbero essere loro e questa è l’unica unità che vorremmo auspicare.
Non si può pensare liberamente all’ombra di un tribunale
Verso la metà di dicembre 2015 c’è stato il colpo di scena. La procura di Lecce, dopo un’indagine durata 18 mesi, ha posto sotto sequestro circa un milione di ulivi, con facoltà d’uso da parte degli agricoltori e ha indagato formalmente 10 persone. Funzionari della Regione Puglia, professori universitari e il Commissario straordinario Silletti. In seguito a questa inchiesta Silletti si è dimesso, così come i funzionari indagati e la protezione civile ha richiesto alla Regione Puglia e al Governo la revoca dello stato d’emergenza dichiarato nel febbraio 2015. Di fatto le eradicazioni sono state sospese e il futuro immediato sulla vicenda sembra più che mai incerto. Molti hanno plaudito all’operato della procura, che ha ridato un’immagine presentabile ad uno Stato in deficit di credibilità. L’intervento della magistratura darà sponda alle istanze cittadiniste che hanno esultato per l’inchiesta invocando condanne, repressione e giustizia contro le mele marce. Intanto la procura di Brindisi, come era prevedibile, ha emanato i suoi primi decreti penali di condanna – ne seguiranno molti altri, probabilmente – a carico di alcuni agricoltori che in una mattinata di novembre avevano manifestato in piazza. Mossa che tra l’altro mira a ristabilire i confini di una protesta democratica e che accresce il potere dello Stato che, per mezzo del suo organo giudiziario, si mostra equidistante. Vengono repressi tutti, chiunque agisca al di fuori delle regole imposte. Ma questo è ciò che accade abbastanza frequentemente quando si creano situazioni limite, quando singoli pezzi dello Stato si spingono talmente oltre che i loro inganni rischiano di diventare troppo evidenti e anche quando, dall’altra parte, la protesta deborda i confini della legalità e si esprime con pratiche che vanno oltre il consentito, rischiando di diventare efficaci e di sfuggire ai margini imposti – ad hoc – dalla legge.
Tuttavia, ciò che è accaduto in questi anni è qualcosa di inquietante e la vicenda della Xylella è davvero esemplificativa di come il sistema economico funzioni nel mondo. Seppure non sia nulla di nuovo, fa un certo effetto venire a conoscenza che nel Salento, secondo dati riportati da alcuni giornali, tra il 2010 e il 2012 sono stati irrorate quantità ingentissime di pesticidi in campi sperimentali avviati da Monsanto e Basf in deroga alle autorizzazioni, per testare la resistenza delle piante di ulivo alla cosiddetta “Lebbra dell’olivo”.
Anche al di là di quanto riportato dalle carte della procura, si aveva la percezione che il Salento fosse utilizzato come luogo di sperimentazione, sociale e ambientale, e ciò sta accadendo anche con il gasdotto Tap e soprattutto è già accaduto con l’Ilva di Taranto e la centrale a carbone di Cerano; un territorio, gli aspetti sociali, culturali, economici che lo riguardano e i suoi abitanti vengono sacrificati sull’altare del profitto e dell’economia.
Ruolo dell’Europa
Molti hanno considerato l’Europa, con le sue istituzioni, estranea a quanto accaduto: semplicemente coinvolta nell’emanare provvedimenti emergenziali che prevedevano l’eradicazione di migliaia di alberi e l’uso di pesticidi, perché tratta in inganno. Al contrario l’Europa non può non aver avuto un ruolo centrale in tutta questa vicenda. Oltreché direttamente influenzata da esponenti politici locali, uno dei quali anche funzionario europeo, al soldo probabilmente di qualche multinazionale, il ruolo delle istituzioni europee è abbastanza chiaro e mira all’introduzione o alla diffusione di un modello di “sviluppo” mondiale basato, in questo caso, su un’agricoltura intensiva e sull’uso di pesticidi e Ogm. Un dato di fatto risultante dalla politica di Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) riguardo gli Ogm, tutta a favore degli studi  e dei risultati delle grosse multinazionali che li producono. Di recente inoltre Efsa ha dichiarato, con un documento ufficiale, che l’uso di glifosato (principale elemento dei pesticidi) in agricoltura non è causa di malattie cancerogene, mentre parere esattamente contrario ha dichiarato l’OMS. Efsa si è espressa anche sulla questione Xylella in maniera alquanto oscura e ambigua. Affermando che non vi era certezza sulla causa del disseccamento degli ulivi, ha lasciato la porta aperta all’uso di soluzioni estreme ed emergenziali come l’eradicazione. Tali istituti vengono visti come indipendenti e il loro parere acquista grande valore in virtù delle competenze che essi dovrebbero esprimere. Tuttavia, non è difficile scoprire l’influenza che grossi colossi dell’agroindustria, come Monsanto, hanno su questi istituti, indirizzando di volta in volta i pareri a seconda della necessità del mercato o del momento. Ecco perché sarebbe un errore considerare la questione Xylella come una questione esclusivamente locale. Per fare un esempio pratico, nel sud della Spagna vi è stato negli scorsi anni un medesimo processo indotto di trasformazione della coltivazione tradizionale degli ulivi in una coltivazione industriale. Non sorprende quindi che anche in Salento sia in atto il medesimo tentativo.
Meccanizzata, iperproduttiva, intensiva, omologata, geneticamente modificata, avvelenata: questo il quadro di un’agricoltura che più che a sfamare è destinata a riempire ipermercati luccicanti e asettici e a produrre energia i cui destinatari ultimi non sono certo gli esseri viventi ma le macchine.
Alcuni nemici delle nocività 
[L’Urlo della terra n. 4, febbraio 2016]