Aggiornamento su Davide Delogu, l’udienza del 21 aprile e condizioni di carcerazione

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Breve resoconto sulla prima udienza del processo a Davide Delogu – Tribunale di Cagliari 21 aprile 2016

Il processo per la cosiddetta “tentata evasione dal Buncammino” (in realtà per colpire una protesta collettiva di ormai due anni fa), è fissato per le 11. Quando arriviamo Davide è ancora rinchiuso in una stanzetta presidiata. Nell’atrio aspettano i genitori, ai quali è stato concesso un breve incontro di cinque minuti, la nipotina di 3 anni che vede per la prima volta, e un gruppetto di compagne.

Fuori intanto si sono radunate una trentina di persone, è stato appeso uno striscione “Basta isolamento” e volantinato uno scritto in solidarietà con l’amico e compagno. Ragazzi e ragazze molto giovani si aggregano dopo essere stati al presidio sotto il Tribunale dei Minori per il processo alle tre ragazze accusate di “violazione di zona militare” per il corteo antimilitarista del 3 novembre a Sant’Anna Arresi, dimostrando come la solidarietà sia trasversale e come sia possibile e ampliabile un discorso contro la repressione, partendo da situazioni particolari per arrivare a riflessioni più generali sul carcere.

Poco prima di mezzogiorno Davide viene fatto uscire ammanettato. Riusciamo a vederlo, salutarlo, baciarlo, ad avere un minimo di contatto fisico con lui che dispensa sorrisi e si mostra fiero e tranquillo. Lo seguiamo fin dentro l’aula dove gli tolgono le manette. La giudice comunica subito che il processo verrà rinviato per impossibilità dell’avvocato di Davide ad essere presente. Chiede se sono presenti testi, le viene risposto che “sì, è presente il direttore del carcere di Buoncammino” (carcere giudiziario di Cagliari, ora chiuso, al tempo della protesta). Annuncia quindi la nomina di una avvocatessa d’ufficio, suscitando l’immediata reazione di Davide, che comunica la volontà di rifiutarne la tutela e di confermare il suo difensore. L’avv. si alza per uscire, la giudice la ferma poiché “non è possibile ricusare l’avvocato d’ufficio” (dato che in aula non è possibile alcun passo quando la persona accusata sia senza avv.) che a lei (avv.) non rimane che “presentare istanza di rinvio” (per poter conoscere gli atti ecc.) e comunicare all’avv. di fiducia la data della nuova udienza.

La giudice riprende una compagna che scambia sguardi, gesti o forse mute parole con Davide, invitandola a interrompere l’atto fuori luogo e chiedendole il nome per, eventualmente, fare richiesta di colloquio con l’ “imputato”. La giudice si altera, invita Davide a calmarsi mentre viene riammanettato. A questo punto la ragazza dice che farà il proprio nome, ma intanto vuole sapere perché a Davide sono state rimesse le manette, che lui mostra le alzando le braccia. La giudice taglia corto, spiegando che l’udienza sta terminando e che l’imputato dovrà essere condotto fuori dall’aula. Quindi comunica la data per la prossima udienza: 29 dicembre 2016 ore 9,30.

Portano via Davide impedendoci di parlargli. Viene fatto scendere direttamente nei parcheggi sotterranei, ci portiamo all’uscita da questi così Davide riuscirà a vedere buona parte di noi, lo striscione, a sentirci. Qualcun* di noi riesce a parlare con la giudice che dice: di non essere lei a stabilire le date dei colloqui né qui né altrove, che non sa quando Davide sarà ricondotto ad Agrigento e che, per i colloqui, occorre presentare istanza al giudice di sorveglianza competente (quello di Agrigento). Una compagna ricordando quando circa un anno fa era riuscita ad entrare nella stanzetta in cui era rinchiuso Davide dopo un’udienza, di avergli parlato, conclude “ma allora, forse, Davide era ancora un delinquente comune”…

La mamma di Davide lo dice chiaramente: “Davide non è più un detenuto comune, i colloqui anche qui nel carcere di Massama (Oristano) dove è appoggiato, non si possono svolgere nel salone predisposto per tutti, ma in una stanzina in cui, per due ore strappate” a forza di ostinazione e tenacia materne, la madre sofferente di cuore viene costretta nonostante la sua conclamata claustrofobia. “Noi (i genitori di Davide) veniamo sottoposti a una serie di procedure: deposito dei bagagli, fare fila per la perquisizione e solo un’ora di colloquio”…  La madre racconta di avergli portato al colloquio formaggio, pesce e “tottu cosa bona”, ma inutilmente, perché Davide da una settimana ha ripreso a lo sciopero della fame. Protesta nell’unico modo che gli resta, con il suo unico mezzo mezzo: il suo corpo.

Lui ai genitori ha detto che è chiuso in una cella di pochi metri quadri dove non riesce a dormire a causa delle zanzare, del materasso scomodo e delle lenzuola sporche; non può fare il bucato, non ha diritto neanche all’acqua, che deve acquistare; che non può leggere né lettere né libri né riviste, non può guardare la tv e che lo consola solo una piccola radiolina. Gli abusi sono tanti, riporta la mamma, in primis la mancanza di prospettiva con cui lo apostrofano quotidianamente: “Noi non ti trasferiamo!”

Davide lotta a modo suo e a noi non resta che trovare il nostro, con intelligenza, consapevolezza, perspicacia e, se possibile, con altrettanta perseveranza.