Il fallimento della democrazia

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La democrazia è rovinata, superata, inoperante, ha fatto il suo tempo la vecchia baldracca. La sua maschera egualitaria si strappa a brandelli e fa comparire una faccia schifosa decomposta qua e là dalle placche della sifilide. I numerosi amici protettori e sostenitori di ogni genere e ogni religione la accudiscono con cure devote e illuminate, cercando invano di rimediare ad anni di irreparabile oltraggio. Si tirano fuori da vecchi bauli e da vecchi scatoloni i vestiti più belli, si risolleva il petto stanco, si sostengono con artifici ogni giorno rinnovati le attrattive avvizzite della Marianna democratica e repubblicana.

Niente da fare, il berretto che la copre è stinto, da rosso vivo che era è diventato rosa, e così chiaro, così chiaro che lo si direbbe bianco.
Non piangiamo la vecchia, la sgualdrina ha fatto il suo tempo. Ha nutrito grassamente tutto l’esercito di mercenari e di magnaccia che le facevano la corte. I soldatacci stellati, i gesuiti intonacati, i boia in ermellino, i corrotti, i peripatetici della politica, tutti coloro che sognarono di essere gli amanti prediletti della vecchia donnaccia che distribuisce loro prebende, si uniscono allo scopo di farla vivere ancora per qualche giorno. Osservano con terrore il letame che la circonda crescere sempre più; la decomposizione delle membra, la cancrena e il marciume hanno invaso tutto. Non c’è più uno spazio pulito che possa ancora sedurre i clienti. Marianna muore consunta e putrefatta dai suoi amanti.
Il parassitismo è re nel paese dei diritti dell’uomo. Dall’alto in basso delle scale sociali, in cima c’è la corsa al denaro e agli onori. Funzionari, generali, deputati, senatori, ministri, arraffano a più non posso. Strillano di economia, di riduzione delle spese, ed ogni giorno con le loro mani avide scavano un po’ di più il buco nero in cui sprofondano i bilanci. Queste brave persone vogliono proprio che il paese riduca le spese, ma rifiutano categoricamente di ridurre le proprie; poiché, anche qui, ci sono due specie di paesi, quello che lavora, guadagna e stringe la cinghia e quello che gode, spende e ci rovina.
La democrazia repubblicana non ha il privilegio di un simile stato di cose: tutti i regimi, che siano monarchici, repubblicani, socialisti o comunisti, possiedono le medesime tare. Basta essere «qualcuno», avere «dei rapporti», «delle influenze», perché presto la manna d’oro entri in cassaforte. Che importa se altri crepano di stenti, che importa se chi produce la vita con le proprie braccia e la propria mente crepa nell’indigenza. Uguaglianza davanti alla legge, dice solennemente la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Ma via! Per i poveri esiste solo il diritto di crepare di fame, per i ricchi il diritto di spogliare, di accaparrare, di tosare e far sanguinare quell’eterno montone che è il popolo.
In questo stato di cose la repubblica agonizza, i finanzieri più scaltri, gli economisti di maggior talento, i giuristi più eminenti non riusciranno a rimettere in piedi la malata. Il male è troppo profondo, è nelle fondamenta del regime, nel capitalismo distruttore di energie, creatore di miseria e di sofferenza.
Si tratti di Tizio, Caio o Sempronio, né l’uno né l’altro riuscirà a far restituire il maltolto da coloro la cui sola funzione è il saccheggio della ricchezza acquisita col sudore e il sangue dei proletari.
Regime di vergogna, governo di banditi e di crapule, ecco tutta la repubblica democrazia. Non è lontano il giorno in cui dovranno rendere conto, il fallimento si avvicina e con esso il risveglio del proletariato che pensa, riflette e non vuole più servire da macchina e da giocattolo agli affamatori della terza repubblica.
Insorti! È giunta l’ora di far sentire la nostra voce sempre più alta, sempre più forte, sempre più energica. La lotta è bella per chi possiede un cuore solido e un’anima ardente.
Le piccole miserie quotidiane non sono nulla in confronto alla lotta sociale a cui ci siamo dati per intero.
Non saremo più dei vinti perché solo noi siamo forti, nell’ideale, nel pensiero e nell’azione.
[L’Insurgé, anno I, n. 12 del 25/7/1925]