I nostri caduti

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« Dante Carnesecchi è una delle più belle figure dell’individualismo anarchico. Alto, vigoroso, pallido e bruno. Occhi taglienti e penetranti di ribelle e di dominatore. Ha l’agilità di un acrobata ed è dotato di una forza erculea. Ha ventotto anni. È un solitario ed ha pochissimi amici. L’indipendenza è il suo carattere. La volontà è la sua anima. Nelle conversazioni è un vulcano impetuoso di critica corrodente. È sarcastico, ironico, sprezzante […]. È un anarchico veramente individualista »

 

(Renzo Novatore in un articolo del 7 ottobre 1920 sul giornale Il Libertario)

 

 

« Tra quella nidiata d’aquilotti libertari che dai colli arcolani, dominanti a mezzogiorno la conca azzurra del golf di Spezia e a tramontana la vallata del Magra, spiccavano il volo verso tanti quotidiani ardimenti, si distingueva sopra tutti Dante Carnesecchi. Alto, atletico, volto energico, parco di parole, rapido nel gesto, tagliente lo sguardo una giovinezza creata per l’azione, e nell’azione interamente spesa. Se il tipo assoluto d’Ibsen qualcuno può mai averlo realizzato, questi fu Dante Carnesecchi. Egli era realmente una di quelle eccezionali individualità che bastano a sé stesse. Gran parte delle sue gesta rimarranno per sempre ignorate, poiché, solo a compierle, ne portò il segreto alla tomba. Non aveva amici, non ne ricercava: non affetti, mollezze, piaceri. In seno alla stessa famiglia viveva senza vincoli. Verso la madre, come verso le sorelle che lo adoravano, si comportava con la freddezza di un estraneo. Egli, a cui pur non difettavano i mezzi, coricava sul duro letto senza materasso, onde evitare di provare dell’attaccamento agli agi di casa. Un individuo simile non era fatto per essere amato. E dell’amore non conobbe né le estasi sublimi, né le dedizioni mortificanti. Strana natura! Perfino verso noi, tra i più vicini, il suo animo insofferente elevava un’ultima barriera isolatrice, come a sottrarsi ed a proteggersi dalle possibilità d’ogni intima comunione. Certo, egli era il più odiato dai nemici nostri, il più temuto dagl’indifferenti, il più ammirato dai compagni e dagli spiriti liberi: ma era anche colui che non si lasciava amare, che non fu amato. Nessuno poteva esercitare un qualsiasi ascendente su di lui. Refrattario ad ogni influenza esteriore, egli era all’altezza delle sue azioni, che mandava in piena consapevolezza ad effetto, fidando solo sulle sue forze. Ogni progetto, riduceva alle proporzioni di un’operazione aritmetica, accomunando ad un’estrema audacia un’estrema prudenza, una piena sicurezza in sé ed una risolutezza tacita quanto irreducibile. Nello sport quotidiano allenava il corpo alla resistenza, all’agilità, all’acrobazia, alla velocità, e il polso alla fermezza; nella temperanza scrupolosa conservava la pienezza del suo vigore fisico e della sua lucidità mentale; nella musica ricercava le intime sensazioni per ricrearsi liberamente lo spirito. Perciò egli era boxeur, lottatore, ciclista, automobilista, corridore, acrobata, tiratore impareggiabile; suonatore e compositore di un virtuosismo piuttosto arido e cerebrale; ottimo poliglotta »

 

(Auro d’Arcola, da L’adunata dei refrattari. I nostri caduti: Dante Carnesecchi del 11 maggio 1929)