“Ecologia fascista. L’ ‘ala verde’ del Partito Nazista e i suoi antecedenti storici” di Peter Staudenmeier

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Di fronte al fenomeno recente delle infiltrazioni nei movimenti antispecisti ed ecologisti di settori neofascisti, ci sentiamo di pubbliare un’analisi sull’Ecofascismo comparsa sul sito Spunk.org, e pubblicato dalla casa editrice anarchica AK Press in inglese, dal titolo “Ecofascismo: lezioni dall’esperienza tedesca” di Peter Staudenmeier.

Il testo analizza gli antecedenti storici di quello che viene chiamato ecofascismo.
Il testo originale inglese si può trovare su
http://www.spunk.org/texts/places/germany/sp001630/peter.html.
(Traduzione: http://www.veneto.antrocom.org)

–pdf

Ecologia fascista, l’ala verde del partito nazista – P. Staudenmeier

 

Peter Staudenmeier, Ecologia fascista – 2. Dal movimento Wandervogel alla Repubblica di Weimar

ECOLOGIA FASCISTA:

“L’ALA VERDE” DEL PARTITO NAZISTA

E I SUOI ANTECEDENTI STORICI

 

di Peter Staudenmeier

Peter Staudenmeier vive nel Wisconsin. Per due decenni ha partecipato attivamente al movimento anarchico, al movimento  verde e a quello cooperativo negli Stati Uniti e in Germania. Con Janet Biehl ha scritto  Ecofascism: Lessons from the German Experience. Come storico Peter ha focalizzato la sua attenzione sul Nazismo e sul Fascismo, sulla storia delle teorie razziste e sulla storia politica dell’ambientalismo. Attualmente è professore di storia tedesca moderna alla Marquette University di Milwaukee, Wisconsin.

Published by: AK Press – The Anarchist Library

http://www.spunk.org/texts/places/germany/sp001630/ecofasc.html

(Traduzione: http://www.veneto.antrocom.org)

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Scorrendo le immagini sul movimento giovanile tedesco di inizio XX secolo Wandervogels, disponibili in rete o raccolte in alcuni libri, si resta colpiti dalla straordinaria somiglianza con il movimento successivo degli hippies degli anni ’60 e della relativa controcultura, con cui condivide parecchi elementi di stile: il viaggio, il vagabondare senza meta, zaino in spalla; le danze, i canti, i girotondi; le chitarre; il nudismo,  i capelli lunghi;, i sandali, i cibi naturali, le terapie naturistiche, etc. Infatti i Wandervogel vengono talora definiti “proto-hippie”, anche se in realtà gli esiti politici dei due movimenti furono molto diversi: i Wandervogel finirono in gran parte per essere assorbiti dalle organizzazioni giovanili naziste, prima di essere sciolti nel 1933; il movimento hippie fu al contrario, in generale, antimilitarista, pacifista, antirazzista, internazionalista. Non tutti i Wandervogel finirono comunque nella Hitlerjugend, c’erano anche Wandervogel di origine ebraica (come Walter Benjamin, il gruppo Blau-Weiss o altri che aderirono ai primi gruppi sionisti) o altri gruppi (di destra o sinistra) antinazisti, i cui membri spesso vennero arrestati e fucilati, o costretti all’esilio. Molti di loro emigrarono negli Stati Uniti, e costituirono il vero anello di congiunzione col movimento hippie, in un contesto completamente diverso. La differenza è riassunta da Gilles Deleuze in questi termini:

“E’ strano come l’albero abbia dominato la realtà occidentale, e tutto il pensiero occidentale, dalla botanica alla biologia, l’anatomia ma anche la gnoseologia, la teologia, l’ontologia, tutta la filosofia…: il fondamento-radice: Grund, roots, foundations. L’Occidente ha un rapporto privilegiato con la foresta e lo sboscamento…

Bisognerebbe fare un discorso a parte sull’America… Ne risulta che tutto quello che d’importante è successo, che tutto quello che d’importante succede, procede per rizoma americano: beatnik, underground, sotterranei, bande e gangs, spinte laterali successive in collegamento immediate con un di fuori. All’Est si compiono la ricerca arborescente e il ritorno al vecchio mondo. Ma l’Ovest è rizomatico, con i suoi indiani senza ascendenza, il suo limite sempre fuggente, le sue frontiere mobili e spostate. Tutta una “carta” americana all’Ovest, dove gli stessi alberi fanno rizoma…” (G.Deleuze, Rizoma, 1976).

Senza dimenticare Ken Kesey & His Merry Pranksters, gli Acid Trip, gli Hell’s Angels e i Rolling Stones, i bikers e i film di Corman, la Charles Manson Family e l’assassinio di Sharon Tate, Jim Jones e la Guyana, la New Age, gli Arancioni, gli Hare Krishna, una nuova ondata di Guru (Shri Rajneesh poi Osho), i Beatles e John Lennon etc etc. Ma questa è un’altra storia

 

2. Il movimento giovanile e l’era di Weimar

 

Il principale veicolo per far diventare preminente questa costellazione ideologica (il movimento völkisch, il monismo di Haeckel, il razzismo biologico, v. pt.1) fu il movimento giovanile, un fenomeno amorfo che giocò un ruolo decisivo ma fortemente ambivalente nella formazione della cultura popolare tedesca durante i primi tre tumultuosi decenni di questo secolo. Anche noto come Wandervögel (che si traduce più o meno come “liberi spiriti vaganti”), il movimento giovanile era un calderone di elementi controculturali, mescolando neo-romanticismo, filosofie orientali, misticismo della natura, ostilità alla ragione e un forte impulso comune verso una confusa ma non meno ardente ricerca di rapporti sociali autentici e non alienati. La loro enfasi sul ritorno alla terra spronò una appassionata sensibilità verso il mondo naturale e i danni che soffriva. Sono stati giustamente caratterizzati come “hippie di destra” perché,  anche se alcuni settori del movimento gravitavano verso varie forme di politica di emancipazione (anche se di solito si spogliavano delle vesti ambientaliste nel processo), la maggior parte dei Wandervögel finirono per essere assorbiti dai nazisti. Vale la pena di esaminare questo spostamento dall’adorazione della natura all’adorazione del Fuhrer.

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Wandervogels aus Berlin

Le varie linee del movimento giovanile condividevano una comune visione di sé: erano una risposta significativamente “non politica” a una profonda crisi culturale, che metteva l’accento sul primato dell’esperienza emotiva diretta sull’azione e la critica sociale. Spinsero le contraddizioni del loro tempo fino al punto di rottura, ma non furono in grado o non vollero fare il passo finale verso la ribellione sociale organizzata e finalizzata, “convinti che i cambiamenti che volevano effettuare nella società non potessero essere portati avanti con mezzi politici, ma solo attraverso il miglioramento dell’individuo” (16). Ciò fu un fatale errore. “In senso lato, due modi di rivolta erano aperti loro: potevano continuare la loro critica radicale della società, che nel tempo dovuto li avrebbe portati nel campo della rivoluzione sociale. [Ma] i Wandervögel scelsero l’altra forma di protesta contro la società – il romanticismo” (17).

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Questa posizione si prestava anche troppo bene a un tipo molto diverso di mobilitazione politica: il fanatismo “impolitico” del fascismo. Il movimento giovanile non falli semplicemente nella scelta della sua forma di protesta, ma fu attivamente riallineato quando i suoi membri entrarono a migliaia nel nazismo. Le sue energie controculturali e i suoi sogni di armonia con la natura portarono i frutti più amari. Questa è, forse, la traiettoria inevitabile di qualsiasi movimento che riconosce e si oppone ai problemi sociali ed ecologici, ma non riconosce le loro radici sistemiche o non resiste attivamente alle strutture politiche ed economiche che li generano. Evitando la trasformazione della società in favore del cambiamento personale, una disaffezione apparentemente apolitica può, in tempi di crisi, produrre risultati barbari.

L’attrazione che tali prospettive ebbero sulla gioventù idealista è chiara: l’enormità della crisi sembrò intimare una repulsione totale delle sue cause apparenti. E’ nella forma specifica di questa repulsione che sta il pericolo. Qui il lavoro di parecchie menti più teoriche del periodo è istruttivo. Il filosofo Ludwig Klages influenzò profondamente il movimento giovanile e formò in modo particolare la loro coscienza ecologica. Egli scrisse un saggio tremendamente importante intitolato “L’uomo e la Terra” per il leggendario raduno di Meissner dei Wandervögel nel 1913 (la “Woodstock” di quel movimento). Un testo straordinariamente incisivo e la più famosa delle opere di Klages, non è solo “uno dei grandissimi manifesti del movimento pacifista ecoradicale in Germania” (19), ma anche un esempio classico della terminologia seducente dell’ecologia reazionaria.

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L’uomo e la Terra” anticipava quasi tutti i temi del movimento ecologista contemporaneo. Denunciava l’accelerata estinzione delle specie, la rottura dell’equilibrio del sistema ecologico globale, la deforestazione, la distruzione dei popoli aborigeni e dei loro habitat, l’allargamento delle città e l’aumentata alienazione della gente dalla natura. In termini enfatici condannava il cristianesimo, il capitalismo, l’utilitarismo economico, l’iperconsumo e l’ideologia del “progresso“. Condannava anche la distruttività ambientale del turismo rampante e il massacro delle balene e mostrava una chiara cognizione del pianeta come una totalità ecologica. Tutto questo nel 1913!

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Può quindi sorprendere il sapere che Klages per tutta la vita fu politicamente arciconservatore e un velenoso antisemita. Uno storico lo etichetta come “fanatico völkisch” e un altro lo considera semplicemente “un battistrada intellettuale del Terzo Reich” che ”preparò la strada alla filosofia fascista per molti aspetti importanti” (20). In “L’uomo e la Terra” un genuino oltraggio per la devastazione dell’ambiente naturale è accoppiato con un sottotesto politico di disperazione culturale (21). La diagnosi di Klages dei mali della società moderna, con tutte le sue declamazioni sul capitalismo, torna sempre a un solo colpevole: “Geist“. L’uso idiosincrasico di questo termine, che significa mente o intelletto, aveva lo scopo di denunciare non solo l’iperrazionalismo o la ragione strumentale, ma il pensiero razionale in sé. Tale atto d’accusa complessivo della ragione non può che avere implicazioni politiche barbare. Chiude ogni possibilità di ricostruire razionalmente i rapporti della società con la natura e giustifica l’autoritarismo più brutale. Ma le lezioni della vita e delle opere di Klages sono state difficili da imparare per gli ecologisti. Nel 1980 “L’uomo e la Terra” fu ripubblicato come stimato saggio precursore per accompagnare la nascita dei verdi tedeschi.

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Lager des Großdeutschen Bunds im Grunewald bei Berlin (1933)

Un altro filosofo e severo critico dell’Illuminismo che aiutò a collegare fascismo ed ecologismo, fu Martin Heidegger. Pensatore molto più rinomato di Klages, Heidegger predicò “l’Essere autentico” e criticava aspramente la tecnologia moderna ed è perciò spesso celebrato come un precursore del pensiero ecologico. Sulla base della sua critica della tecnologia e repulsione dell’umanesimo, gli ecologisti contemporanei hanno elevato Heidegger nel pantheon degli eco-eroi:

La critica di Heidegger dell’umanesimo antropocentrico, il suo appello perché l’umanità impari a “lasciare le cose esistere”, la sua idea che l’umanità è coinvolta in un “gioco” o “danza” con la terra, il cielo e gli dei, la sua meditazione sulla possibilità di un modo autentico di “abitare” la terra, il suo lamento che la tecnologia industriale sta rendendo la terra un immondezzaio, la sua enfasi sull’importanza del localismo e della “patria”, la sua pretesa che l’umanità debba custodire e preservare le cose, invece di dominarle – tutti questi aspetti del pensiero di Heidegger aiutano ad appoggiare l’idea che egli sia un grande profondo teorico ecologista” (22).

Tali effusioni sono, a dir poco, pericolosamente ingenue. Suggeriscono uno stile di pensiero completamente dimentico della storia dell’appropriazione fascista di tutti gli elementi che il passo citato loda in Heidegger. (A suo credito l’autore del brano, un importante teorico ecologista per conto suo, ha da allora cambiato posizione e ha spinto con urgenza i suoi colleghi a fare lo stesso) (23). Quanto al filosofo dell’Essere stesso, era – contrariamente a Klages, che visse in Svizzera dopo il 1915 – un membro attivo del partito nazista e per un periodo appoggiò il Fuhrer entusiasticamente, persino in modo adorante. I suoi panegirici mistici sull’Heimat (la patria) erano completati da un profondo antisemitismo e le sue sfuriate dal fraseggiare mistico contro la tecnologia e la modernità convergevano nettamente con la demagogia populista. Anche se visse e insegnò per trent’anni dopo la caduta del Terzo Reich, Heidegger non si pentì pubblicamente neppure una volta e tanto meno rinunciò al suo coinvolgimento con il nazionalsocialismo e neppure ne condannò pro forma i crimini.

La sua opera, quali che siano in suoi meriti filosofici, si pone oggi come un’ammonizione esemplare sull’uso politico dell’anti-umanesimo in veste ecologica.

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Oltre al movimento giovanile e alle filosofie proto-fasciste, c’erano, naturalmente, sforzi pratici per proteggere gli habitat naturali durante il periodo di Weimar. Molti di questi progetti furono profondamente coinvolti nell’ideologia che culminò nella vittoria di “Sangue e Suolo”. Un manifesto di reclutamento per equipaggiamento di conservazione forestale dà il senso della retorica ambientalista del periodo:

In ogni petto tedesco la foresta tedesca trema con le sue caverne e forre, rocce e massi, acque e venti, leggende e racconti fatati, con le sue canzoni e melodie e risveglia un potente desiderio per la patria: in tutte le anime tedesche la foresta tedesca vive e tesse con la sua profondità e respiro, la sua tranquillità e la sua forza, la sua potenza e dignità, la sua ricchezza e la sua bellezza – è la fonte dell’interiorità tedesca, dell’anima tedesca, della libertà tedesca. Perciò proteggi e cura la foresta tedesca per amore dei vecchi e dei giovani e unisciti alla nuova Lega Tedesca per la protezione e la consacrazione della foresta tedesca” (24).

 

La ripetizione di genere mantrico della parola “tedesco” e la descrizione mistica della sacra foresta fondono insieme, ancora una volta, nazionalismo e naturalismo. Questa connessione acquistò un sanguinoso significato con il collasso della Repubblica di Weimar. Perchè insieme a tali gruppi conservazionisti relativamente innocui, stava crescendo un’altra organizzazione che offriva a queste idee una casa ospitale: il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi, noto con il suo acronimo NSDAP. Traendo dall’eredità di Arndt, Riehl, Haeckel e altri (che vennero tutti onorati tra il 1933 e il 1945 come precursori del nazionalsocialismo trionfante), l’incorporazione da parte del movimento nazista di temi ambientalisti fu un fattore cruciale nella sua crescita verso la popolarità e il potere.

2. segue

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Erste Freideutsche Jugendtag 11 und 12 Oktober 1913

NOTE

16. Walter Laqueur, Young Germany: A History of the German Youth Movement, New York, 1962, p.41.

17. ibid., p. 6. Per un breve ritratto del movimento giovanile che trae conclusioni simili, vedi John De Graaf, “The Wandervogel,” CoEvolution Quarterly, Fall 1977, pp. 14-21.

18. Ristampato in Ludwig Klages, Sämtliche Werke, Band 3, Bonn, 1974, pp. 614-630.

19. Ulrich Linse, Ökopax und Anarchie. Eine Geschichte der ökologischen Bewegungen in Deutschland, Munchen, 1986, p. 60.

20. Mosse, The Crisis of German Ideology, p. 211, e Laqueur, Young Germany, p. 34.

21. Vedi Fritz Stern, The Politics of Cultural Despair, Berkeley, 1963.

22. Michael Zimmerman, Heidegger’s Confrontation with Modernity: Technology, Politics and Art, Indianapolis, 1990, pp. 242-243.

23. Vedi Michael Zimmerman, “Rethinking the Heidegger — Deep Ecology Relationship”, Environmental Ethics vol. 15, no. 3 (Fall 1993), pp. 195-224.

24. Riprodotto in Joachim Wolschke-Bulmahn, Auf der Suche nach Arkadien, Munchen, 1990, p. 147.

Peter Staudenmeier, Ecologia fascista – 2. Dal movimento Wandervogel alla Repubblica di Weimar

 

Peter Staudenmeier – Ecologia fascista: l’ala Verde del Partito Nazista

ECOLOGIA FASCISTA:

“L’ALA VERDE” DEL PARTITO NAZISTA

E I SUOI ANTECEDENTI STORICI

 

di Peter Staudenmeier

Peter Staudenmeier vive nel Wisconsin. Per due decenni ha partecipato attivamente al movimento anarchico, al movimento  verde e a quello cooperativo negli Stati Uniti e in Germania. Con Janet Biehl ha scritto  Ecofascism: Lessons from the German Experience. Come storico Peter ha focalizzato la sua attenzione sul Nazismo e sul Fascismo, sulla storia delle teorie razziste e sulla storia politica dell’ambientalismo. Attualmente è professore di storia tedesca moderna alla Marquette University di Milwaukee, Wisconsin.

Published by: AK Press – The Anarchist Library

http://www.spunk.org/texts/places/germany/sp001630/ecofasc.html

(Traduzione: http://www.veneto.antrocom.org)

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Eva Braun und Adolf Hitler auf dem Berghof

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(C’è troppa confusione, falso unanimismo e mistificazione negli attuali movimenti ambientalisti, e questo consente a mestatori di professione, psicogrulli e fascisteria assortita e spesso camuffata di infiltrare le loro ideologie regressive, reazionarie e apertamente fasciste, senza che neppure nei più noti siti di “sinistra radicale” si sia avvertita l’esigenza di smascherare questi infami. Aspetto ancora, su Carmilla, per dire, un articolo chiaro e netto contro il fascistume presente nel M5Stalle., a partire dal suo Capo psicolabile. Che cosa si intende per Ecologia Fascista? Due cose, essenzialmente, che sono l’oggetto di due diversi saggi, molto importanti, che pubblicherò “a puntate”: in primo luogo, in senso storico, ci si riferisce ai movimenti ecologisti che favorirono l’ascesa del regime nazista (il presente saggio); in secondo luogo, la loro versione moderna, attualizzata, con nuove maschere. Imparare a riconoscere l’infamia, per combatterla! NdR)

* * *

La Germania non è solo il luogo di nascita della scienza dell’ecologia e il luogo dove la politica dei Verdi è diventata importante; è anche stata la patria di una particolare sintesi di naturalismo e nazionalismo forgiato sotto l’influenza dell’irrazionalismo antiilluminista della tradizione romantica. Due figure del XIX secolo esemplificano questa malaugurata congiunzione: Ernst Moritz Arndt e Wilhelm Heinrich Riehl.

Riconosciamo che separare l’umanità dalla natura, dall’interezza della vita, porta alla distruzione dell’umanità e alla morte delle nazioni. Solo attraverso una re-integrazione dell’umanità all’interno della natura tutta il nostro popolo può essere reso più forte. Questo è il punto fondamentale dei compiti biologici della nostra era. L’umanità da sola non è più il fulcro del pensiero, ma piuttosto della vita come un tutto … Questo sforzo verso la correlazione con la totalità della vita, con la natura stessa, una natura in cui siamo nati, questo è il significato più profondo e la vera essenza del pensiero nazionalsocialista” (1)

PARTE PRIMA

Nel nostro zelo di condanna dello status quo, noi radicali spesso scagliamo senza pensarci epiteti come “fascista” e “ecofascista”, contribuendo cosi a una specie di inflazione intellettuale che non aiuta in nessun modo a far avanzare una critica sociale efficace. In tale situazione, è facile ignorare il fatto che ci sono ancora virulente vene di fascismo nella nostra cultura politica che, per quanto marginali, richiedono la nostra attenzione. Una delle vene meno riconosciute o comprese è il fenomeno che si potrebbe chiamare “ecofascismo effettivamente esistente”, cioè la preoccupazione di movimenti autenticamente fascisti per temi ambientalisti. Allo scopo di comprendere la peculiare intensità e resistenza di questa affiliazione, faremmo bene ad esaminare più da vicino la sua incarnazione storica più nota, la cosiddetta “ala verde” del nazismo tedesco.

Nonostante l’estesa documentazione storica, il soggetto resta elusivo, sottostimato sia dagli storici professionisti che dagli attivisti ambientalisti. Nei paesi di lingua inglese, come in Germania, deve essere ancora analizzata e ricercata adeguatamente la stessa esistenza di una “ala verde” nel movimento nazista, per non parlare della sua ispirazione, mete e conseguenze. La maggior parte della manciata di interpretazioni disponibili soccombono o a “un’allarmante affinità intellettuale con il soggetto” (2) o rifiutano ingenuamente di esaminare appieno la “sovrapposizione ideologica tra conservazione della natura e nazismo”. (3). Questo articolo presenta brevemente e in modo necessariamente schematico la storia della componente ecologica del nazismo, sottolineando sia il suo ruolo centrale nell’ideologia nazista che la sua applicazione pratica durante il Terzo Reich. Una ricerca preliminare dei precursori dell’ecofascismo classico del XIX e XX secolo dovrebbe servire a illuminare gli aspetti concettuali comuni a ogni forma di ecologia reazionaria.

Sono d’obbligo due chiarificazioni iniziali. Primo, i termini “ambientale” ed “ecologico” sono usati qui in modo più o meno intercambiabile, per denotare idee, atteggiamenti e pratiche comunemente associate al movimento ambientalista contemporaneo. Questo non è un anacronismo; indica semplicemente un approccio interpretativo che illumina connessioni con questioni odierne. Secondo, questo approccio non ha intenzione di avallare l’idea storicamente discreditata che i dati prima del 1933 possono o dovrebbero essere letti come “conducenti inesorabilmente” alla calamità nazista. Piuttosto, la nostra preoccupazione qui è discernere le continuità ideologiche e tracciare le genealogie politiche, in un tentativo di comprendere il passato alla luce della situazione attuale – rendere la storia rilevante nell’attuale crisi sociale ed ecologica.

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1.      LE RADICI DELLA MISTICA DI SANGUE E SUOLO

(The Roots of Blood and Soil Mystique)

 

La Germania non è solo il luogo di nascita della scienza dell’ecologia e il luogo dove la politica dei Verdi è diventata importante; è anche stata la patria di una particolare sintesi di naturalismo e nazionalismo forgiato sotto l’influenza dell’irrazionalismo antiilluminista della tradizione romantica. Due figure del XIX secolo esemplificano questa malaugurata congiunzione: Ernst Moritz Arndt e Wilhelm Heinrich Riehl.

Meglio noto in Germania per il suo fanatico nazionalismo, Arndt si dedicava anche alla causa contadina, il che lo portò a una preoccupazione per la terra stessa. Gli storici dell’ambientalismo tedesco lo menzionano come il primissimo esempio di pensiero “ecologico” in senso moderno (4). Il suo notevole articolo del 1815  “Sulla cura e la conservazione delle foreste“, scritto all’alba dell’industrializzazione in Europa Centrale, si scaglia contro il miope sfruttamento delle foreste e del suolo, condannando la deforestazione e le sue cause economiche. A volte scrisse in termini tremendamente simili a quello del biocentrismo contemporaneo:

Quando si vede la natura in una necessaria correlazione e interconnesione, allora tutte le cose sono egualmente importanti – cespugli, vermi, piante, esseri umani, pietre, niente primo o ultimo, ma tutto una sola singola unità≫ (5).

L ’ambientalismo di Arndt, comunque, era inestricabilmente legato a un nazionalismo violentemente xenofobo. I suoi appelli eloquenti e anticipatori per una sensibilita ecologica erano sempre espressi in termini di benessere del suolo tedesco e del popolo tedesco, e le sue ripetute polemiche folli contro la mescolanza razziale, le esigenze di purezza razziale teutonica e gli insulti contro francesi, slavi ed ebrei, segnavano ogni aspetto del suo pensiero. Proprio all’inizio del XIX secolo la connessione mortale tra amore per la terra e nazionalismo razzista militante era saldamente a posto.

Riehl, studente di Arndt, sviluppò ulteriormente questa sinistra tradizione. Per certi aspetti la sua vena “verde” era significativamente più profonda di quella di Arndt; presagendo certe tendenze nel recente attivismo ambientalista, il suo saggio del 1853,” Campi e foreste“, finiva con un richiamo alla lotta per “i diritti delle terre incolte” (wilderness). Ma anche qui il pathos nazionalista dava il tono:

Dobbiamo salvare le foreste, non solo perché i nostri forni non diventino freddi in inverno, ma anche perché la spinta della vita del popolo continui a battere calda e gioiosa, perché la Germania resti tedesca” (6).

Riehl era un implacabile oppositore dell’avvento dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione; la sua glorificazione apertamente antisemita dei valori rurali contadini e la condanna indifferenziata della modernità lo rende il “fondatore del romanticismo agrario e dell’anti-urbanesimo” (7). Queste ultime due fissazioni maturarono nella seconda metà del XIX secolo nel contesto del movimento völkisch, una potente tendenza culturale e sociale che unì il populismo etnocentrico con il misticismo della natura. Al cuore della tentazione völkisch c’era una risposta patologica alla modernità. Di fronte alle reali dislocazioni provocate dal trionfo del capitalismo industriale e dall’unificazione nazionale, i pensatori völkisch predicavano un ritorno alla terra, alla semplicità e alla completezza di una vita in armonia con purezza della natura. L’ effusione mistica di questa utopia pervertita si accoppiava con la sua volgarità politica. Mentre il movimento volkisch aspirava a ricostruire la società che era sanzionata dalla storia, radicata nella natura e in comunione con lo spirito vitale cosmico (8), si rifiutava assolutamente di localizzare le fonti dell’alienazione, dello sradicamento e della distruzione ambientale, dando la colpa invece al razionalismo, al cosmopolitanesimo e alla civiltà urbana. La figura che esprimeva tutto ciò era l’antico oggetto di odio contadino e risentimento borghese: l’ ebreo. I tedeschi erano in cerca di una misteriosa completezza che li avrebbe restituiti alla primitiva felicità, distruggendo l’ambiente ostile di civiltà industriale urbana che la cospirazione ebraica aveva calato su di loro (9).

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Riformulando il tradizionale antisemitismo tedesco in termini ecologisti, il movimento völkisch portava un volatile amalgama di pregiudizi culturali del XIX secolo, ossessioni di purezza romantiche e sentimento anti-illuminista, all’interno del discorso politico del XX secolo. L’emergere dell’ecologia moderna forgiava il legame fatale che legava insieme nazionalismo aggressivo, razzismo caricato misticamente e predilezioni ecologiste. Nel 1867 lo zoologo tedesco Ernst Haeckel coniava il termine “ecologia” (in realtà coniato nel 1855 dal zoologo tedesco Reiter con il significato di studio del rapporto degli organismi in rapporto al loro habitat. Haeckel ne allargò il significato come studio delle relazioni degli organismi, tra di loro e con l’ambiente, N.D.T.) e cominciava a istituirla come disciplina scientifica dedicata allo studio delle interazioni tra gli organismi e l’ambiente. Haeckel era anche il principale divulgatore di Darwin e della teoria evoluzionista nel mondo di lingua tedesca e sviluppò una speciale sorta di filosofia sociale darwinista che chiamò “monismo“.

La Lega Monista Tedesca che egli fondò combinava olismo ecologico basato scientificamente con opinioni sociali völkisch. Haeckel credeva nella superiorità razziale nordica, si opponeva strenuamente alla mescolanza razziale e sosteneva con entusiasmo l ’eugenetica razziale. Il suo fervente nazionalismo divenne fanatico all’inizio della Prima Guerra Mondiale e fulminò con toni antisemiti la Repubblica Consigliare in Baviera.

In questo modo Haeckel contribuì a quella speciale varietà del pensiero tedesco che servì da sementiera per il nazionalsocialismo (10). Verso la fine della sua vita egli diventò membro della Societa Thule, «un’organizzazione segreta radicalmente di destra che giocò un ruolo chiave nell’istituzione del movimento nazista» (11). Ma qui sono in ballo più che mere continuità personali. Il pioniere dell’ecologia scientifica, insieme ai suoi discepoli Willibald Hentschel, Wilhelm Bolsche e Bruno Wille, formò profondamente il pensiero delle generazioni seguenti di ambientalisti inserendo la preoccupazione per il mondo naturale in una stretta rete di temi sociali regressivi. Fin dal suo inizio, perciò, l’ecologia venne legata a una struttura politica intensamente reazionaria. I contorni specifici di questo precoce matrimonio tra ecologia e opinioni sociali autoritarie sono molto istruttivi. Al centro di questo complesso ideologico c’e l’applicazione diretta e non mediata di categorie biologiche al regno del sociale. Haeckel sosteneva che

la civiltà e la vita delle nazioni sono governate dalle stesse leggi che prevalgono in tutta la natura e la vita organica”(12).

Questa idea di “leggi naturali” o “ordine naturale” è da tempo uno dei cardini del pensiero ambientalista reazionario ed è concomitante al suo anti-umanesimo:

Così, per i Monisti, forse l’aspetto più pernicioso della civiltà borghese europea è la grande importanza data all’idea di uomo in generale, alla sua esistenza e ai suoi talenti, e alla credenza che attraverso le sue facoltà razionali uniche l’uomo potrebbe essenzialmente ricreare il mondo e ottenere un ordine sociale universalmente più armonioso ed eticamente giusto. [L’umanità era ] una creatura insignificante quando è vista come parte e misurata contro la vastità del cosmo e le immense forze della natura” (13).

Altri Monisti estesero questa enfasi anti-umanista e la mescolarono con i tradizionali motivi völkisch dell’anti-industrialismo e anti-urbanesimo indiscriminati e al razzismo pseudoscientifico che stava da poco emergendo. La scintilla, ancora una volta, era l’unione di categorie biologiche e sociali. Il biologo Raoul France, membro fondatore della Lega Monista, elaborò le cosiddette Lebensgesetze, “Leggi della vita”,  attraverso le quali l’ordine naturale determina l’ordine sociale. Egli si oppose alla mescolanza razziale, per esempio, perchè “innaturale”. France è acclamato dagli ecofascisti contemporanei come “pioniere del movimento ecologista” (14).

Il collega di France, Ludwig Woltmann, un altro studente di Haeckel, insisteva su una interpretazione biologica di tutti i fenomeni sociali, dagli atteggiamenti culturali agli arrangiamenti economici. Metteva l’accento sulla supposta connessione tra purezza ambientale e purezza “razziale”:

Woltmann ebbe un atteggiamento negativo verso l’industrialismo moderno. Sostenne che il cambiamento da una società agraria a una industriale aveva affrettato il declino della razza. In contrasto con la natura, che dava vita alle armoniche forme del germanesimo, c’erano le grandi città, diaboliche e inorganiche, che distruggevano le virtù della razza” (15).

 

Cosi all’inizio del XX secolo un certo tipo di argomentazione “ecologica”, saturata di contenuto di destra, aveva assunto una certa misura di rispettabilità nella cultura politica della Germania. Durante il turbolento periodo intorno alla Prima Guerra Mondiale, la mistura di fanatismo etnocentrico, repulsione regressiva della modernità e genuina preoccupazione ambientalista si dimostrò essere una pozione davvero forte.

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“Le idee fondamentali del movimento nazionalsocialista sono populiste (völkisch) e le idee populiste (völkisch) sono nazionalsocialiste” (Adolf Hitler). La pseudo-scienza razziale nazista fu tradotta in termini Völkisch quando Eugen Fischer occupò il vuoto lasciato dagli studiosi che si ritirarono dall’Università di Berlino nel 1933 e in veste di rettore nazista pronunciò il suo discorso inaugurale, “La genesi dello stato Völkisch alla luce della biologia” (29 luglio 1933).

  1. segue

Note

1. Ernst Lehmann, Biologischer Wille. Wege und Ziele biologischer Arbeit im neuen Reich, Munchen, 1934, pp. 10-11. Lehmann era un professore di botanica che caratterizzò il nazionalsocialismo come ‘biologia applicata politicamente’.

2. Anna Bramwell, autrice di un libro sull’argomento è esemplare in questo senso. Vedi il suo Blood and Soil: Walther Darré and Hitler’s ‘Green Party’, Bourne End, 1985, e Ecology in the 20th Century: A History, New Haven, 1989.

3. Vedi Raymond H. Dominick, The Environmental Movement in Germany: Prophets and Pioneers, 1871-1971, Bloomington, 1992, specialmente la parte terza, “The Volkisch Temptation.”

4. Per esempio, Dominick, The Environmental Movement in Germany, , p. 22; e Jost Hermand, Grüne Utopien in Deutschland: Zur Geschichte des ökologischen Bewußtseins, Frankfurt, 1991, pp. 44-45.

5. Citato in Rudolf Krugel, ‘Der Begriff des Volksgeistes’ in Ernst Moritz Arndts Geschichtsanschauung, Langensalza, 1914, p. 18.

6. Wilhelm Heinrich Riehl, Feld und Wald, Stuttgart, 1857, p. 52.

7. Klaus Bergmann, Agrarromantik und Großstadtfeindschaft, Meisenheim, 1970, p. 38. Non esiste traduzione adeguata a “Großstadtfeindschaft,” un termine che significa ostilità verso il cosmopolitanesimo, l’internazionalismo e la tolleranza culturale in quanto tale. Questo ‘anti-urbanesimo’, come si potrebbe tradurre, è l’’esatto opposto dell’attenta critica dell’urbanizzazione elaborata da Murray Bookchin in Urbanization Without Cities, Montreal, 1992, and The Limits of the City, Montreal, 1986.

8. George Mosse, The Crisis of German Ideology: Intellectual Origins of the Third Reich, New York, 1964, p. 29.

9. Lucy Dawidowicz, The War Against the Jews 1933-1945, New York, 1975, pp. 61-62.

10. Daniel Gasman, ‘The Scientific Origins of National Socialism: Social Darwinism’ in Ernst Haeckel and the German Monist League, New York, 1971, p. xvii.

11. ibid., p. 30. La tesi di Gasman sulle politiche del Monismo non è affatto priva di critiche, ma la tesi centrale del libro, però, è solida.

12. Citato in Gasman, The Scientific Origins of National Socialism, p. 34.

13. ibid., p. 33.

14. Vedi la prefazione alla ristampa del 1982 del suo libro del 1923 Die Entdeckung der Heimat, pubblicato dalla casa editrice di estrema destra MUT Verlag.

15. Mosse, The Crisis of German Ideology, p. 101.

 

Peter Staudenmeier, Ecologia fascista – 3. La politica ecologica nazista: Walther Darré e la dottrina Blut und Boden (Sangue e suolo)

ECOLOGIA FASCISTA:

“L’ALA VERDE” DEL PARTITO NAZISTA

E I SUOI ANTECEDENTI STORICI

 

di Peter Staudenmeier

Published by: AK Press – The Anarchist Library

http://www.spunk.org/texts/places/germany/sp001630/ecofasc.html

(Traduzione: http://www.veneto.antrocom.org)

Ecologia fascista, Parte 1: -1- Le radici della mistica di Sangue e Suolo

Ecologia fascista Parte 2: -2- Dal-movimento-Wandervogel-alla-Repubblica-di-Weimar/

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(Dopo aver introdotto sinteticamente gli antecedenti storici dell’ecologia fascista, l’autore passa ad analizzare la politica ecologica del regime nazista, rappresentata in primo luogo dal Ministro dell’Agricoltura Richard Walther Darré e dalla sua ideologia di Sangue e Suolo (Blut und Boden), espressa in un suo libro del 1930, Neuadel aus Blut und Boden (La nuova nobiltà di Sangue e Suolo). La politica ecologica di Darré contribuì potentemente all’affermazione del regime nazista, e il suo Ministero fu il quarto fra i tanti ministeri per importanza economica e budget. Risulta perciò deviante e aberrante il tentativo revisionista, alimentato in particolare dai libri di Anna Bramwell, di separare l’”ala verde” del regime nazista dai suoi esiti funesti, e di presentarlo, così “ripulito” e “vergine”,  “né destra né sinistra”, come immacolato precursore dell’ambientalismo contemporaneo. Un’operazione che non a caso piace tanto all’estrema destra come ai movimenti confusionisti)

???????????????Ragazze berlinesi del BDM, 1939

3. La natura nell’ideologia nazionalsocialista

 

Le idee ecologiste reazionarie di cui abbiamo tracciato un profilo esercitarono un’influenza profonda e durevole su molte delle figure centrali della NSDAP. La cultura di Weimar, dopotutto, ne era letteralmente inondata, ma il nazismo diede loro un’inflessione particolare. La “religione della natura” nazionalsocialista, come l’ha descritta uno storico, era una mistura volatile di misticismo primitivo teutonico, ecologia pseudo-scientifica, anti-umanesimo irrazionalista e mitologia della salvezza razziale attraverso un ritorno alla terra. I suoi temi predominanti erano “l’ordine naturale”, l’olismo organicista e la denigrazione dell’umanità:

“In tutti i loro scritti, non solo quelli di Hitler, ma anche della maggior parte degli ideologi nazisti, si può distinguere un fondamentale disprezzo dell’umano di fronte alla natura e, come corollario logico, un attacco contro gli sforzi umani di dominare la natura” (25).

Citando un educatore nazista, la stessa fonte continua: “le visioni antropocentriche in generale dovevano essere respinte. Sarebbero valide solo “se si presumesse che la natura è stata creata per l’uomo. Noi respingiamo decisamente questo atteggiamento. Secondo la nostra concezione della natura, l’uomo è un legame nella catena vivente della natura solo come qualsiasi altro organismo” (26).

Tali argomenti sono moneta corrente in un modo che fa rabbrividire nel discorso ecologico contemporaneo: la chiave per l’armonia socio-ecologica è accertare “le leggi eterne dei processi di natura” (Hitler) e organizzare la società in corrispondenza ad essi. Al Fuhrer piaceva in modo particolare sottolineare la “impotenza dell’umanità di fronte alla legge eterna della natura” (27). Echeggiando Haeckel e i Monisti, “Mein Kampf” annuncia:

Quando il popolo tenta di ribellarsi contro la ferrea logica della natura, entra in conflitto con gli stessi principi a cui deve l’esistenza come esseri umani. Le loro azioni contro natura devono condurre alla loro caduta” (28).

 

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Le implicazioni autoritarie di questo punto di vista sull’umanità e la natura diventano anche più chiare nel contesto dell’enfasi nazista sull’olismo e l’organicismo. Nel 1934 il direttore dell’Agenzia per la Protezione della Natura del Reich, Walter Schoenichen, stabilì i seguenti obiettivi per i programmi di biologia:

Molto presto, il giovane deve sviluppare una comprensione dell’importanza civica “dell’organismo”, cioè il coordinamento di tutte le parti e degli organi per il beneficio dell’unico e superiore compito della vita” (29).

Questo (ora familiare) adattamento non mediato di concetti biologici a fenomeni sociali serviva a giustificare non solo l’ordine sociale totalitario del Terzo Reich ma anche le politiche espansioniste del Lebensraum (il piano di conquista dello “spazio vitale” in Europa orientale da parte dei popoli tedeschi). Forniva anche il legame tra purezza ambientale e purezza razziale:

Due temi centrali della biologia vengono (secondo i nazisti) dalla prospettiva olistica: la protezione della natura e l’eugenetica. Se uno guarda la natura come a un tutto unificato, gli studenti automaticamente svilupperanno un senso per l’ecologia e la conservazione ambientale. Allo stesso tempo, l’idea di protezione della natura dirigerà l’attenzione alla razza umana moderna urbanizzata e “supercivilizzata”» (30).

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In molte varietà della visione del mondo nazionalsocialista temi ecologici furono legati al tradizionale romanticismo agrario e all’ostilità per la civiltà urbana, il tutto intorno all’idea del radicamento nella natura. Questa costellazione concettuale, specialmente la ricerca di una connessione perduta con la natura, fu più pronunciata che mai tra gli elementi neo-pagani della leadership nazista, soprattutto Heinrich Himmler, Alfred Rosenberg e Walther Darré. Rosenberg scrisse nel suo colossale “Il mito del XX secolo”:

Oggi vediamo il continuo flusso dalla campagna alla città, mortale per il Popolo (Volk). Le città si gonfiano sempre più, indebolendo il Popolo e distruggendo i fili che uniscono l’umanità alla natura; attraggono avventurieri e profittatori di ogni colore, favorendo perciò il caos razziale”(31).

 

Tali meditazioni, si deve sottolineare, non erano semplice retorica; riflettevano fermamente opinioni salde e, in realtà, pratiche proprio in cima alla gerarchia nazista che oggi sono associate convenzionalmente con l’atteggiamento ecologico. Hitler e Himmler erano entrambi rigidi vegetariani e amanti degli animali, attratti dal misticismo della natura e dalle cure omeopatiche e strenui oppositori della vivisezione e della crudeltà verso gli animali. Himmler fondò persino fattorie organiche sperimentali per coltivare erbe a scopo medicinale per le SS. E Hitler, a volte, poteva sembrare un vero utopista verde, quando discuteva autorevolmente e in dettaglio varie risorse energetiche rinnovabili (compreso l’uso ambientalisticamente appropriato dell’energia idroelettrica e la produzione di gas naturale dai fanghi) come alternative al carbone,  proclamando “l’acqua, i venti e le maree”  come  strada energetica del futuro (32).

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Anche in piena guerra, i leader nazisti mantennero il loro impegno verso gli ideali ecologici che erano, per loro, un elemento essenziale del ringiovanimento razziale. Nel dicembre 1942 Himmler emanò un decreto “Sul trattamento della terra nei Territori orientali” che si riferiva alle porzioni di Polonia recentemente annesse. Diceva in particolare:

Il contadino del nostro ceppo razziale si è sempre sforzato con cura di aumentare i poteri naturali del suolo, delle piante e degli animali e di conservare l’equilibrio della natura. Per lui, il rispetto della creazione divina è la misura di tutta la cultura. Se, perciò, i nuovi Lebensräume (spazi vitali) devono diventare una patria per i nostri coloni, la sistemazione pianificata del paesaggio per mantenerlo vicino alla natura è un pre-requisito fondamentale. E’ una della basi per fortificare il Volk tedesco” (33).

 

Questo brano ricapitola quasi tutti i luoghi comuni compresi dall’ideologia ecofascista classica: Lebensraum, Heimat, la mistica agraria, la salute del Volk, la vicinanza e il rispetto per la natura (esplicitamente costituito come lo standard su cui deve essere giudicata la società), la conservazione del precario equilibrio della natura e i poteri terreni del suolo e delle sue creature. Tali motivi non erano affatto idiosincrasie personali da parte di Hitler, Himmler o Rosenberg; persino Goring – che era, insieme a Goebbels, il membro del cerchio interno nazista più refrattario alle idee ecologiste – appariva a volte un ecologista impegnato (34). Queste simpatie non erano affatto ristrette agli strati superiori del partito. Uno studio sui registri dei membri di parecchie organizzazioni ufficiali Naturschutz (Protezione della natura) dell’epoca di Weimar rivelarono che nel 1939, un intero 60% di questi conservazionisti si erano uniti alla NSDAP (a paragone con circa il 10% degli adulti e il 25% degli insegnanti e degli avvocati) (35). Chiaramente le affinità tra ambientalismo e nazionalsocialismo erano profonde.

stichtagfebruardreizehn108_v-TeaserAufmacherBDM, Bund Deutscher Mädel

A livello di ideologia, quindi, i temi ecologisti giocarono un ruolo vitale nel fascismo tedesco. Sarebbe un grave errore, comunque, trattare questi elementi come semplice propaganda, abilmente portata avanti per mascherare il vero carattere del nazismo come mostro tecnocratico-industrialista. La storia definitiva dell’anti-urbanesimo e del romanticismo agrario lo proclama apertamente:

 

Nulla potrebbe essere più sbagliato che supporre che la maggior parte dei principali ideologi nazisti avessero cinicamente finto un romanticismo agrario e un’ostilità verso la cultura urbana, senza una convinzione intima e per semplici scopi elettorali e propagandistici, allo scopo di ingannare il pubblico […]. In realtà, la maggioranza dei principali ideologi nazisti erano senza dubbio più o meno propensi al romanticismo agrario e l’anti-urbanesimo e convinti della necessità di un relativo ritorno all’agricoltura” (36).

Comunque resta la questione: fino a che punto i nazisti effettivamente applicarono politiche ambientaliste durante i dodici anni del Terzo Reich? Vi sono forti prove che la tendenza “ecologica” nel partito, anche se oggi è largamente ignorata, ebbe considerevole successo per la maggior parte del regno del partito. Questa “ala verde” della NSDAP era rappresentata soprattutto da Walther Darré, Fritz Todt, Alwin Seifert e Rudolf Hess, le quattro figure che principalmente modellarono l’ecologia fascista nella pratica.

preservazione-razzialeRichard Walther Darré, meeting di Goslar, 13 dicembre 1937

4. Sangue e Suolo come dottrina ufficiale

“L’unità di sangue e suolo deve essere restaurata”, proclamava Richard Walther Darré nel 1930. Questa frase famigerata denotava una connessione quasi mistica tra “sangue” (la razza del Volk) e “suolo” (la terra e l’ambiente naturale) specifici ai popoli germanici e assente, per esempio, tra i celti e gli slavi. Per gli entusiasti del Blut und Boden (Sangue e Suolo), gli ebrei erano della gente particolarmente sradicata e vagabonda, incapace di qualsiasi vera relazione con la terra. Il sangue tedesco, in altre parole, dava vita a una pretesa esclusiva al sacro suolo tedesco. Mentre il termine “sangue e suolo” aveva circolato nei circolo völkisch almeno fin dall’epoca gugliemina, fu Darré che per primo lo divulgò come slogan e poi lo sacralizzò come principio guida del pensiero nazista. Riandando con il pensiero a Arndt e Riehl (v. pt.1), egli sognava una completa ruralizzazione della Germania e dell’Europa, radicata su un contadiname proprietario revitalizzato, allo scopo di assicurare salute razziale e sostenibilità ecologica.

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Darré era uno dei principali “teorici della razza” del partito e fu anche fondamentale nel galvanizzare l’appoggio contadino ai nazisti durante il periodo critico dei primi anni Trenta. Dal 1933 al 1942 egli tenne il posto di Leader dei Contadini del Reich e Ministro dell’Agricoltura. Questo non era un feudo minore; il ministero dell’agricoltura aveva il quarto budget in ordine di grandezza tra tutta la miriade di ministeri nazisti,  fin dentro il periodo  della guerra (38). Da questa posizione Darré fu in grado di prestare un appoggio vitale alle varie iniziative orientate ecologicamente. Giocò un ruolo essenziale nell’unificare le nebulose tendenze proto-ambientaliste nel nazionalsocialismo:

Fu Darré che diede ai mal definiti sentimenti anti-civiltà, antiliberali, anti modernisti e anti-urbani dell’élite nazista un fondamento nella mistica agraria. E sembra che Darré avesse un’influenza immensa sull’ideologia del nazionalsocialismo, come se fosse in grado di articolare in modo significativamente più chiaro di prima il sistema di valori di una società agraria contenuto nell’ideologia nazista e – soprattutto – legittimare questo modello agrario e dare alla politica nazista uno scopo che era chiaramente orientato verso una ri-agriarizzazione di grande portata” (39).

 

Questo scopo non era solo squisitamente consono con l’espansione imperialista in nome del Lebensraum (spazio vitale), era in effetti una delle sue prime giustificazioni, anzi motivazioni. In un linguaggio pieno delle metafore biologizzanti dell’organicismo, Darré dichiarava: “Il concetto di Sangue e Suolo ci dà il diritto morale di riprenderci tanta terra nell’Est quanta è necessaria per stabilire un’armonia tra il corpo del nostro Volk e lo spazio geopolitico” (40).

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Oltre a fornire il camuffamento verde alla colonizzazione dell’Europa orientale, Darré lavorò all’istituzione di principi sensibili ecologicamente come vera base della politica agricola del Terzo Reich. Anche nelle sue fasi più produttivistiche, questi precetti restarono emblematici della dottrina nazista. Quando la “Battaglia per la Produzione” (uno schema per incentivare la produttività nel settore agricolo) fu proclamata al secondo Congresso dei Contadini del Reich nel 1934, proprio il primo punto del programma diceva “Tieni il suolo sano!”  Ma la più importante innovazione di Darré fu l’introduzione su larga scala di metodi di agricoltura biologica, significativamente etichettati “lebensgesetzliche Landbauweise,”  o “agricoltura secondo le leggi della vita”. Il termine mette ancora una volta in rilievo l’ideologia dell’ordine naturale che sta alla base di molto pensiero ecologico reazionario. La spinta per queste misure senza precedenti venne dall’antroposofia di Rudolf Steiner e le sue tecniche di coltivazione biodinamica.

 

La campagna per istituzionalizzare l’agricoltura biologica comprese decine di migliaia di piccole proprietà e di grandi possedimenti in tutta la Germania. Incontrò considerevole resistenza da parte di altri membri della gerarchia nazista, soprattutto Backe e Goring. Ma Darré, con l’aiuto di Hess e altri, fu in grado di sostenere questa politica fino alle sue dimissioni forzate nel 1942 (un evento che aveva poco a che fare con le sue inclinazioni ambientaliste). E questi sforzi in nessun modo rappresentarono semplicemente le predilezioni personali di Darré; come indica la storia convenzionale della Germania agricola, Hitler e Himmler “avevano assoluta simpatia per queste idee” (42).

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Ancora, fu soprattutto l’influenza di Darré nell’apparato nazista che fornì, in pratica, un livello di sostegno governativo a sistemi di coltivazione ecologicamente solidi e a una programmazione dell’uso della terra ineguagliati da nessuno stato né prima né dopo. Per queste ragioni Darré è stato talvolta considerato un precursore del movimento verde contemporaneo. La sua biografa, infatti, una volta fece riferimento a lui come a “padre dei verdi” (43). Il suo libro “Sangue e Suolo”, senza dubbio la miglior fonte singola su Darré in inglese o in tedesco, sminuisce in modo notevole gli elementi virulentemente fascisti del suo pensiero, ritraendolo invece come un radicale agrario fuorviato. Questo grave errore di giudizio indica la spinta potentemente disorientante di una “aura” ecologica. Gli scritti pubblicati da Darré,  che datano ai primi anni venti, da soli sono sufficienti per condannarlo come razzista rabbioso e ideologo sciovinista particolarmente prono a un antisemitismo odioso e volgare (parlava degli ebrei, in modo rivelatore, come di “erbacce”). La sua permanenza decennale come leale servitore e, soprattutto, architetto dello stato nazista dimostra la sua dedizione alla disgraziata causa hitleriana. Un autore afferma persino che fu Darré che convinse Hitler e Himmler della necessità di sterminare gli ebrei e gli slavi (44). Gli aspetti ecologici del suo pensiero non possono, a conti fatti, essere separati dall’intera cornice nazista. Ben lontano dall’incorporare le sfaccettature “redentrici” del nazionalsocialismo, Darré rappresenta lo spettro funesto dell’ecofascismo al potere.

3-4 (segue)

4 reichaustellung munchen

25. Robert Pois, National Socialism and the Religion of Nature, London, 1985, p. 40.

26. ibid., pp. 42-43. La citazione interna è presa da George Mosse, Nazi Culture, New York, 1965, p. 87.

27. Hitler, in Henry Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier 1941-1942, Stuttgart, 1963, p. 151.

28. Adolf Hitler, Mein Kampf, Munchen, 1935, p. 314.

29. Citato in Gert Groning e Joachim Wolschke-Bulmahn, “Politics, planning and the protection of nature: political abuse of early ecological ideas in Germany, 1933-1945″, Planning Perspectives 2 (1987), p. 129.

30. Anne Baumer, NS-Biologie, Stuttgart, 1990, p. 198.

31. Alfred Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, Munchen, 1938, p. 550. Rosenberg fu, almeno nei primi anni, il principale ideologo del movimento nazista.

32. Picker, Hitlers Tischgespräche, pp. 139-140.

33.Citato in Heinz Haushofer, Ideengeschichte der Agrarwirtschaft und Agrarpolitik im deutschen

Sprachgebiet, Band II, Munchen, 1958, p. 266.

34. See Dominick, The Environmental Movement in Germany, p. 107.

35. ibid., p. 113.

36. Bergmann, Agrarromantik und Großstadtfeindschaft, p. 334. Ernst Nolte pone un’argomentazione simile in Three Faces of Fascism, New York, 1966, pp. 407-408. Vedi anche Norbert Frei, National Socialist Rule in Germany, Oxford, 1993, p. 56: “Il cambio di direzione verso il ‘suolo’ non era stata una tattica elettorale. Fu uno degli elementi ideologici basilari del nazionalsocialismo. . . “

37. R. Walther Darré, Um Blut und Boden: Reden und Aufsätze, Munchen, 1939, p. 28. La citazione è tratta da un discorso del 1930 intitolato ‘Sangue e suolo come fondamenti di vita della razza nordica’.

38. Bramwell, Ecology in the 20th Century, p. 203. Vedi anche Frei, National Socialist Rule in Germany, p. 57, che sottolinea come il controllo totale di Darré sulla politica agricola costituisse una posizione di dominio unica all’interno del sistema nazista.

39. Bergmann, Agrarromantik und Großstadtfeindschaft, p. 312.

40. ibid., p. 308.

41. Vedi Haushofer, Ideengeschichte der Agrarwirtschaft, pp. 269-271, e Bramwell, Ecology in the 20th  Century, pp. 200-206, per l’influenza formativa delle idee steineriane su Darré.

42. Haushofer, Ideengeschichte der Agrarwirtschaft, p. 271.

43. Anna Bramwell, “Darré. Was This Man ‘Father of the Greens’?” History Today, September 1984, vol.34, pp. 7-13. Questo ripugnante articolo fa parte di una lunga serie di distorsioni che hanno lo scopo di dipingere Darré come un eroe anti Hitler – uno sforzo tanto inutile quanto spregevole.

44. Roger Manvell e Heinrich Fraenkel, Hess: A Biography, London, 1971, p. 34.

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Peter Staudenmeier, Ecologia fascista – 3. La politica ecologica nazista: Walther Darré e la dottrina Blut und Boden (Sangue e suolo)

Peter Staudenmeier, Ecologia fascista – 4. Conclusioni: dall’”ordine naturale” alla barbarie

ECOLOGIA FASCISTA:

“L’ALA VERDE” DEL PARTITO NAZISTA

E I SUOI ANTECEDENTI STORICI

 

di Peter Staudenmeier

Published by: AK Press – The Anarchist Library

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(Traduzione: http://www.veneto.antrocom.org)

Ecologia fascista, Parte 1: -1- Le radici della mistica di Sangue e Suolo

Ecologia fascista Parte 2: -2- Dal-movimento-Wandervogel-alla-Repubblica-di-Weimar/

Ecologia fascista Parte 3: -3-la-politica-ecologica-nazista/

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Dall’”ordine naturale” alla barbarie

 

5. L’applicazione del programma ecofascista

 

Si fa rilevare di frequente che i momenti agrario e romantico nell’ideologia e nella politica nazista erano in costante tensione, se non in pura e semplice contraddizione, con la spinta tecnocratico-industrialista della rapida modernizzazione del Terzo Reich. Quello che non si nota spesso è che anche queste tendenze modernizzatrici avevano una significativa componente ecologica. I due uomini principalmente responsabili dell’appoggio all’impegno ambientalista in piena industrializzazione intensiva furono il Reichminister Fritz Todt e il suo aiuto, il pianificatore e ingegnere ad alto livello Alwin Seifert.

Todt era “uno dei nazisti più influenti” (45), direttamente responsabile delle questioni di politica industriale e tecnologica. Alla sua morte, nel 1942, egli era a capo di tre ministeri a livello di gabinetto oltre all’enorme e quasi ufficiale Organizzazione Todt, e aveva “riunito nelle sue mani i più importanti compiti tecnici del Reich” (46). Secondo il suo successore, Albert Speer, Todt “amava la natura” ed “ebbe ripetutamente gravi liti con Bormann, protestando contro la spoliazione del paesaggio che questi faceva intorno a Obersalzberg” (47). Un’altra fonte semplicemente lo chiama “un ecologista” (48). Questa reputazione è basata soprattutto sugli sforzi di Todt per rendere la costruzione delle autostrade – una delle maggiori imprese di costruzione intraprese in questo secolo – il più possibile ambientalmente sensibile.

Il grande storico dell’ingegneria tedesca Karl-Heinz Ludwig descrive questo impegno cosi:

Todt richiedeva che l’intero lavoro  tecnologico fosse in armonia con la natura e il paesaggio, soddisfacendo perciò sia i moderni principi d’ingegneria sia i principi “organologici” della sua epoca insieme alle loro radici nell’ideologia völkish”(49).

Gli aspetti ecologici di questo approccio alla costruzione andavano ben al di là dell’enfasi sull’armonioso adattamento al paesaggio circostante per ragioni estetiche; Todt stabili anche rigidi criteri per il rispetto degli acquitrini, delle foreste e delle aree ecologicamente sensibili. Ma proprio come Arndt, Riehl e Darré, queste preoccupazioni ambientaliste erano legate inseparabilmente a una visione nazionalista-volkisch. Todt stesso espresse questo rapporto in modo succinto:

La realizzazione di semplici propositi di trasporto non è lo scopo finale della costruzione dell’autostrada tedesca. L’autostrada tedesca deve essere l’espressione del paesaggio circostante e l’espressione dell’essenza germanica” (50).

 

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Il principale consigliere e collaboratore sulle questioni ambientali era il suo luogotenente Alwin Seifert, che Todt una volta si dice chiamò “un ecologista fanatico” (51). Seifert aveva il titolo ufficiale di Difensore del Paesaggio del Reich, ma il suo soprannome dentro il partito era Signor Madre Terra. L’appellativo era meritato; Seifert sognava di una “totale conversione dalla tecnologia alla natura” (52) e spesso diventava lirico sulle meraviglie della natura tedesca e la tragedia dell’incuria umana. Fin dal 1934 scrisse a Hess richiedendo attenzione per la questione dell’acqua e invocando “metodi di lavoro che siano più in armonia con la natura” (53).

Alwin Seifert4Nell’espletare i suoi doveri ufficiali Seifert sottolineava l’importanza delle aree incolte e si opponeva strenuamente alla monocultura, al drenaggio degli acquitrini e all’agricoltura con i fertilizzanti chimici. Criticava Darré come troppo moderato e “auspicava una rivoluzione agricola verso un metodo più contadino, naturale, semplice, indipendente dal capitale” (54).Con la politica tecnologica del Terzo Reich affidata a figure come queste, anche la massiccia industrializzazione nazista acquistò una sfumatura distintamente verde. La preminenza della natura nel background filosofico del partito servì ad assicurare che le iniziative più radicali trovassero spesso un orecchio amico negli uffici più alti dello stato nazista. A metà degli anni Trenta Todt e Seifert spinsero vigorosamente per una Legge del Reich per la Protezione della Madre Terra onnicomprensiva “allo scopo di arginare la continua perdita di questa insostituibile base di tutta la vita” (55). Seifert riferisce che tutti i ministeri erano pronti a cooperare tranne uno; solo il ministro dell’economia si oppose al progetto di legge a causa del suo impatto sulle miniere.

 

Ma anche i semi fallimenti come questi sarebbero stati impensabili senza l’appoggio del Cancelliere del Reich Rudolf Hess, che forni all’ala “verde” dell’NSDAP un ancoraggio sicuro proprio in cima alla gerarchia del partito. Sarebbe difficile sopravvalutare il potere e la centralità di Hess nella complessa macchina governativa del regime nazista. Egli si unì al partito nel 1929 come tessera n. 16 e per due decenni fu il fedele vice personale di Hitler. E’ stato descritto come “il confidente più vicino a Hitler” (56) e lo stesso Fuhrer si riferiva a Hess come al suo “più intimo consigliere” (57). Hess non era solo il più alto leader del partito e secondo in linea di successione (dopo Goring) a Hitler; oltre a ciò, tutta la legislazione e ogni decreto doveva passare per il suo ufficio prima di diventare legge. Inveterato amante della natura e devoto Steineriano, Hess insisteva su una dieta strettamente biodinamica – neppure i rigorosi standard vegetariani di Hitler erano abbastanza per lui – e accettava solo medicine omeopatiche. Fu Hess che presentò Darré a Hitler, assicurando cosi all’ala “verde” la sua prima base di potere. Era un fautore anche più tenace di Darré dell’agricoltura biologica e spinse quest’ultimo a intraprendere passi più che dimostrativi in appoggio al lebensgesetzliche Landbauweise (58). Il suo ufficio era anche direttamente responsabile per la pianificazione dell’uso della terra nel Reich, impiegando un certo numero di specialisti che condividevano l’approccio ecologico di Seifert (59).

RAB4yr3Con l’appoggio entusiasta di Hess, l’ala “verde” fu in grado di ottenere i suoi più notevoli successi. Fin dal marzo 1933 venne approvata una vasta serie di leggi ambientaliste applicate a livello nazionale, regionale e locale. Queste misure, che includevano programmi di riforestazione, progetti di legge per la protezione di specie animali e vegetali e decreti conservazionisti che bloccavano lo sviluppo industriale, senza dubbio “si classificavano tra le più progressiste del mondo a quel tempo” (60). Ordinanze di pianificazione vennero progettate per la protezione dell’habitat selvatico e allo stesso tempo richiedevano rispetto per la sacra foresta tedesca. Lo stato nazista creò anche la prima riserva naturale d’Europa.

Insieme agli sforzi di Darré per la ri-agrarizzazione e l’appoggio all’agricoltura biologica, e ai tentativi di Todt e Seifert di istituzionalizzare una programmazione dell’uso della terra e della politica industriale sensibile all’ambiente , il maggior risultato degli ecologisti nazisti fu il Reichnaturschutzgesetz del 1935. Questa “legge di protezione della natura” completamente senza precedenti stabiliva le linee guida per la salvaguardia della flora, la fauna e i “monumenti naturali” in tutto il Reich; restringeva anche l’accesso commerciale ai rimanenti tratti di terre incolte. Inoltre, l’ordinanza completa

richiedeva a tutti i funzionari nazionali, statali e locali di consultarsi con le autorità Naturschutz in tempo prima di intraprendere qualsiasi misura che producesse alterazioni fondamentali nella campagna” (61).

 

Anche se l’efficacia della legislazione era discutibile, gli ambientalisti tedeschi tradizionali furono sopraffatti dalla gioia alla sua approvazione. Walter Schoenichen la dichiarò “la definitiva soddisfazione del desiderio ardente völkisch-romantico” (62) e Hans Klose, il successore di Schoenichen come capo dell’Agenzia del Reich per la Protezione della Natura, descrisse la politica ambientalista nazista come “il punto più alto della protezione della natura” in Germania. Forse il più grande successo di queste misure fu di facilitare il “riallineamento del Naturschutz tedesco” e l’integrazione della corrente principale ambientalista nell’impresa nazista (63).

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Anche se i risultati dell’ala “verde” furono sorprendenti, tuttavia non dovrebbero essere esagerati. Le iniziative ecologiche erano poco universalmente popolari dentro il partito. Goebbels, Bormann e Heydrich, per esempio, vi si opposero implacabilmente e consideravano Darré, Hess e il loro seguaci sognatori inaffidabili, eccentrici o semplicemente rischi per la sicurezza. Quest’ultimo sospetto sembrò essere confermato dalla famosa fuga di Hess in Inghilterra nel 1941; dopo quel momento, la tendenza ambientalista fu per la maggior parte soppressa. Todt restò ucciso in un incidente aereo nel febbraio 1942 e poco dopo Darré fu spogliato di tutti i suoi incarichi. Nei tre anni finali della conflagrazione nazista l’ala “verde” non giocò alcun ruolo attivo. Il loro lavoro, comunque, ha da allora lasciato una macchia indelebile.

6. L’ecologia fascista in contesto

 

Per rendere questa deprimente e sconfortante analisi più appetibile, vi è la tentazione di tirare proprio la conclusione sbagliata – cioè, che anche la politica più ripugnante talvolta produce risultati lodevoli. Ma la vera lezione è proprio l’opposto: anche la più meritevole delle cause può essere pervertita e strumentalizzata al servizio della barbarie criminale. Questa ala “verde” della NSDAP non era un gruppo di innocenti, idealisti confusi e manipolati o riformatori dall’interno; erano coscienti promotori ed esecutori di un vile programma dedicato alla violenza razzista inumana, alla repressione politica di massa e al dominio militare mondiale. Il loro coinvolgimento ecologico, lungi dal compensare questi impegni fondamentali, li approfondivano e li radicalizzavano. Alla fine, la loro configurazione di politica ambientalista fu direttamente e sostanzialmente responsabile dell’omicidio organizzato di massa.

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Nessun aspetto del progetto nazista può essere capito in modo appropriato senza esaminare le sue implicazioni nell’olocausto. Anche qui gli argomenti ecologici giocarono un ruolo malefico cruciale. Non solo l’ala “verde” mise a nuovo il sanguigno antisemitismo dell’ecologia reazionaria tradizionale, ma catalizzò un nuovo scoppio di luride fantasie razziste di inviolabilità organica e vendetta politica. La confluenza del dogma anti-umanista con la feticizzazione della “purezza” naturale forni non semplicemente una ragione ma un incentivo al crimine più terribile del Terzo Reich. Il suo fascino insidioso liberò energie assassine prima rinchiuse. Infine, la sostituzione di qualsiasi analisi sociale della distruzione ambientale a favore di un’ecologia mistica servì da componente integrale nella preparazione della soluzione finale:

«Spiegare la distruzione della campagna e il danno ambientale, senza mettere in dubbio il legame del popolo tedesco con la natura, si può fare solo non analizzando il danno ambientale in un contesto sociale e rifiutandosi di capirlo come espressione di interessi sociali in conflitto. Se questo fosse stato fatto, avrebbe portato alla critica del nazismo stesso dato che non era immune da tali forze. Una soluzione era associare tali problemi ambientali alla distruttiva influenza di altre razze. Il nazismo poteva allora essere visto come sforzo per eliminare altre razze, per permettere alla comprensione e al sentimento per la natura innati del popolo tedesco di affermarsi, assicurando così una vita armoniosa vicina alla natura per il futuro» (64).

 

Questa è la vera eredità dell’ecofascismo al potere: “genocidio divenuto necessità sotto il mantello della protezione ambientale” (65).

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 ***

L’esperienza dell’ala “verde” del fascismo tedesco è un’ammonizione che ci deve far riflettere e che ci ricorda la volatilità politica dell’ecologia. Non indica certamente una qualsiasi inevitabile connessione tra temi ecologici e politica di estrema destra; oltre alla tradizione reazionaria che abbiamo esaminato qui, esiste sempre un’eredità egualmente vitale di ecologia libertaria di sinistra, in Germania come altrove (66). Ma certi schemi possono essere distinti:

Mentre le preoccupazioni per i problemi posti dalla crescente padronanza da parte dell’umanità della natura sono state condivise da un numero sempre maggiore di gruppi di persone abbraccianti una pletora di ideologie, la risposta più coerente “pro-ordine naturale” trovò corpo politico nella destra radicale” (67).

 

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Questo è il filo comune che unisce manifestazioni di ambientalismo semplicemente conservatrici o anche supposte apolitiche con la varietà dichiaratamente fascista.

La storia, di sicuro, smentisce la vacua pretesa che “quelli che vogliono riformare la società secondo natura non sono di destra né di sinistra, ma dalla mente ecologica” (68). I temi ambientalisti possono essere mobilitati sia da destra che da sinistra, in effetti essi richiedono un esplicito contesto sociale se devono avere una qualche valenza politica. L’“Ecologia” da sola non prescrive una politica, deve essere interpretata, mediata attraverso qualche teoria della società allo scopo di acquistare significato politico. Non riuscire a badare a questa interrelazione mediata tra il sociale e l’ecologico è il segno dell’ecologia reazionaria.

Come si è detto, questo fallimento più comunemente prende la forma di un richiamo a “riformare la società secondo natura”, cioè, formulare qualche versione dell’ordine “naturale” o “legge naturale” e sottoporre i bisogni e le azioni umane ad essa. Di conseguenza, i processi sociali che vi soggiacciono e le strutture che costituiscono e formano le relazioni della gente con l’ambiente restano prive di esame. Tale ignoranza ostinata, a sua volta, oscura i modi in cui tutte le concezioni della natura sono esse stesse prodotte socialmente e lascia le strutture di potere indiscusse, mentre contemporaneamente fornisce loro uno status apparentemente “ordinato per natura”. Cosi la sostituzione dell’eco-misticismo alla lucida ricerca socio-ecologica ha ripercussioni politiche catastrofiche, mentre la complessità della dialettica società-natura collassa in una Unicità purificata. Un “ordine naturale” caricato ideologicamente non lascia spazio al compromesso; le sue pretese sono assolute.

 

Per tutte queste ragioni, lo slogan avanzato da molti verdi contemporanei “Non siamo né di destra né di sinistra, ma di fronte“, è storicamente ingenuo e politicamente fatale. Il necessario progetto di creare una politica ecologicamente emancipatoria richiede un’acuta coscienza e una comprensione dell’eredità dell’ecofascismo classico e la sua continuità concettuale con l’attuale discorso ambientalista. Un orientamento “ecologico” da solo, al di fuori di una struttura critica sociale, è pericolosamente instabile. La storia dell’ecologia fascista mostra che nelle giuste condizioni un tale orientamento può velocemente portare alla barbarie.    

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FINE

NOTE

45. Franz Neumann, Behemoth. The Structure and Practice of National Socialism 1933-1944, New York, 1944, p. 378.

46. Albert Speer, Inside the Third Reich, New York, 1970, p. 263.

47. ibid., p. 261.

48. Bramwell, Ecology in the 20th Century, p. 197.

49. Karl-Heinz Ludwig, Technik und Ingenieure im Dritten Reich, Dusseldorf, 1974, p. 337.

50. Citato in Rolf Peter Sieferle, Fortschrittsfeinde? Opposition gegen Technik und Industrie von der Romantik bis zur Gegenwart, Munchen, 1984, p. 220. Todt era un nazista convinto tanto quanto lo era Darré o Hess; sull’estensione (e miseria) della sua fedeltà alle politiche anti-Semitiche, vedi Alan Beyerchen, Scientists Under Hitler, New Haven, 1977, pagine 66-68 e 289.

51. Bramwell, Blood and Soil, p. 173.

52. Alwin Seifert, Im Zeitalter des Lebendigen, Dresden, 1941, p. 13. Il titolo del libro è grottescamente inadatto considerando la data di pubblicazione; significa ‘Nell’età del vivente’.

53. Alwin Seifert, Ein Leben fur die Landschaft, Dusseldorf, 1962, p. 100.

54. Bramwell, Ecology in the 20th Century, p. 198. Bramwell cita le carte di Darré come fonte della

citazione interna.

55. Seifert, Ein Leben fur die Landschaft, p. 90.

56. William Shirer, Berlin Diary, New York, 1941, p. 19. Shirer chiama Hess anche ‘protegé’ di Hitler (588) e ‘il solo uomo al mondo di cui lui si fidasse completamente’, e sostanzia pure il rango di Darré e Todt (590).

57. Citato in Manvell e Fraenkel, Hess, p. 80.In una ulteriore notevole conferma dell’alto rango della fazione ‘verde’, Hitler una volta dichiarò che Todt e Hess erano ‘I soli esseri umani tra tutti quelli che mi stanno intorno a cui sono veramente e intimamente affezionato’. (Hess, p. 132).

58. vedi Haushofer, Ideengeschichte der Agrarwirtschaft, p. 270, e Bramwell, Ecology in the 20th Century, p. 201.

59. ibid., pp. 197-200. La maggior parte del lavoro di Todt passava anche attraverso l’ufficio di Hess.

60. Raymond Dominick, “The Nazis and the Nature Conservationists”, The Historian vol. XLIX no. 4 (August 1987), p. 534.

61. ibid., p. 536.

62. Hermand, Grune Utopien in Deutschland, p. 114.

63. Dominick, “The Nazis and the Nature Conservationists”, p. 529.

64. Groning and Wolschke-Bulmahn, “Politics, planning and the protection of nature“, p. 137.

65. ibid., p. 138.

66. Linse’s Ökopax und Anarchie, tra gli altri, offre una dettagliata analisi della storia dell’eco-anarchismo in Germania.

67. Pois, National Socialism and the Religion of Nature, p. 27.

68. Bramwell, Ecology in the 20th Century, p. 48.

Peter Staudenmeier, Ecologia fascista – 4. Conclusioni: dall’”ordine naturale” alla barbarie