Ammazzateli!

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 Paolo Schicchi

 

Un prete gallico, di cui non ricordo più il nome, storiografo ufficiale della corte borbonica in Francia durante la Restaurazione, scrisse una storia del regno dei Borboni ad usum Delphini. In essa il cherchiuto scribacchino colla più grande disinvoltura di questo mondo saltava a pie’ pari la Rivoluzione francese, senza farne neanche cenno; e di Napoleone Bonaparte parlava di sfuggita, come d’un ignoto generale che avesse vinto alcune battaglie stando al servizio del re di Francia.

Sembra incredibile, ma è autentico.

Oggi, nella restaurazione del più truce e fosco medio evo, qui in Italia Ganellone di Predappio e compagni con un tratto di penna danno di fregio a tutta quanta la più recente storia del genere umano e alla cosiddetta questione sociale, che l’uomo porta seco da millenni, fin da quando si unì in società con altri suoi simili. In tal modo i negrieri aboliscono la festa del 1 Maggio dopo essersi vantati di passare e ripassare con i talloni di ferro sulla carogna della dea libertà.

Ed ecco annientati in un subito le idee nuove, la lotta di classe, il movimento proletario per ritornare puramente e semplicemente al Natale di Roma e all’Impero di Caracalla.

Ma non vi pare, compagni miei, che sia la più sacrosanta verità quella che vado scrivendo io da molto tempo, cioè che si tratta d’un vero e proprio manicomio criminale ripieno di pazzi morali e di delinquenti nati?

Non è menomamente a parlare di dittatura; perché la dittatura presuppone un Giulio Cesare o un Cromwell o un Robespierre che la rappresenti e un partito e un esercito che la sostengono. Qui invece abbiamo un Ganellone, un Maramaldo semianalfabeta, paranoico, roso dalla sifilide, più vigliacco della vigliaccheria stessa, più ridicolo d’un pappagallo, che in fondo in fondo è prigioniero e zimbello dei suoi stessi saccomanni, i quali se ne infischiano dei suoi ordini e dei suoi consigli.

È anche ingiusto parlare di tribù di Pellerossa, di Papuasi, di Ottentotti o che so io; perché quei poveri selvaggi non sono né peggiori né migliori di tutto il resto del genere umano che si trovi allo stesso grado d’evoluzione intellettuale e sociale.

Noi presentemente abbiamo da fare piuttosto con un’accolita di negrieri, come sotto gli ordini dei mercanti di schiavi Tippu Tip e Romalizia.

Ciò che avviene in Sicilia è semplicemente fantastico nella sua bestialità e nel suo cretinismo. In alcuni luoghi della provincia di Girgenti, per esempio, si è imposto ad una parte della popolazione, specialmente agricola, di non uscire dal proprio abitato, di non porre piede in una campagna del vicino territorio senza un permesso speciale della polizia, con quanto e quale danno dell’agricoltura e del commercio ognuno può immaginarlo. Neppure al tempo della servitù della gleba si escogitò un provvedimento simile, che riduce l’uomo addirittura allo stato della più abietta schiavitù.

Dappertutto, così alla cieca e alla rinfusa, si appioppa l’ammonizione perfino a vecchi di ottanta e ottantacinque anni, a tubercolotici e a cardiopatici moribondi, a erniosi di settanta e più anni, che non possono muoversi, pel solo fatto che mezzo secolo fa riportarono qualche condanna, non sempre grave.

Non pochi lavoratori, assolutamente innocui e colla fedina criminale bianca, sono anch’essi proposti per l’ammonimento, come vagabondi e sospetti, mentre faticano da mane a sera come bovi e non torcono un capello ad alcuno.

A Piana dei Greci, in provincia di Palermo, sono depredati, non si sa da chi, alcuni viaggiatori inglesi. Il giorno dopo per ordine del capocamorrista Gasti e del pappagallo silurato Tiby, prefetto e questore di Palermo, arriva l’ordine che sulla via in cui avvenne la rapina non può più porre il piede anima vivente e che in tutti i dintorni non è più lecito a chicchessia andare a caccia. Inoltre tutta la popolazione di Piana, tranne i favoriti e gli accoliti della polizia, è d’un tratto disarmata.

E bisogna vedere in qual guisa si procede al disarmo generale dell’isola. Si devono consegnare anche i fucili a bacchetta inservibili, perfino qualche arnese a pietra focaia di tre secoli or sono, conservato in casa per curiosità da museo. La storia dell’umana vigliaccheria e dell’umana tirannide non aveva registrato mai nulla di più grottesco e di più canagliesco.

E intanto gli abigeati, le rapine, gli assassini aumentano senza tregua, mentre i veri grossi delinquenti, i favoreggiatori borghesi, i manutengoli al servizio della questura se la spassano impuniti e indisturbati. L’economia nazionale d’altro lato va continuamente a rotoli, l’industria e l’agricoltura languiscono, la miseria e la disoccupazione aumentano, le tasse e le imposte si moltiplicano sino a ridursi a vere spoliazioni, a vere razzie.

I saccomanni per parte loro continuano impuniti e indisturbati le loro gesta. In occasione del Natale di Nerone e di Caracalla sono stati saccheggiati e dati alle fiamme centinaia e centinaia di giornali e di Camere del lavoro anche della più pura stampa riformista. Neppure i popolari e i repubblicani, compari e filofascisti di ieri, sono risparmiati. Sentite che cosa scrive la repubblicana Italia del Popolo di Ravenna (28 aprile 1923):

«A Savio i fascisti hanno occupato dei locali del Circolo IX Febbraio per adibirli a casa dei Sindacati e hanno violentemente bastonato alcuni repubblicani, fra cui mutilati e combattenti, riducendoli in pietose condizioni; anche i circoli di Castiglione di Ravenna e di Piangipane sono stati occupati abusivamente: così pure a Godo, ove la sede, quasi subito sgombrata, fu data in consegna ai carabinieri: a Ravenna, veniva la scorsa settimana bastonato in piazza Arnaldo Guerrini».

Il manganello, l’olio di ricino, il nerofumo, lo strappo dei denti, lo stupro, il furto, la rapina, il saccheggio, l’assassinio sono il pane quotidiano del fascio littorio e del teschio di morto.

Ma questo è nulla. Non passa ora, non passa minuto in cui Ganellone o qualcuno dei suoi mazzieri non venga fuori a ripetere la stessa antifona in ogni angolo d’Italia: «La rivoluzione fascista è appena incominciata. Ci vorrà del tempo pel suo compimento, e noi procederemo innanzi implacabili e inesorabili, ecc.».

Né contenti di ciò i nostri schiavisti si vantano di voler introdurre quanto prima i loro metodi da un capo all’altro del mondo, e promettono per mezzo dei loro fasci all’estero di rinnovare le gesta dell’impero romano. Certo si tratta d’un bluff di paranoici delinquenti; ma statene sicuri che se i negrieri dal teschio di morto avessero la forza, agirebbero dappertutto così come si sono comportati in Austria. Infatti sentite che cosa è avvenuto in quella disgraziatissima nazione, conformemente a quanto riferiscono il Giornale di Sicilia (12 aprile 1923) e tutte le altre gazzette borghesi:

«Mandano da Innsbruk che i fascisti della Stiria, di Klayenfud e di Villaco si sono riuniti a congresso a Villaco ed hanno costituito una sezione del fascio italiano composto d’italiani residenti in Austria.

I congressisti quindi hanno discusso sull’azione che essi dovrebbero svolgere in Austria e mentre una corrente opinava che il fascismo doveva intervenire sulle direttive della politica austriaca, un’altra corrente invece sosteneva il contrario.

E di tale avviso fu anche l’on. Mussolini al quale fu posto il quesito e che con un telegramma prescrisse ai fascisti residenti in Austria di non ingerirsi per ragione alcuna sulla politica interna dello Stato che li ospita.

Il Congresso si occupò quindi della formazione di un Direttorio ed ha constatato che in Austria dimorano 9000 italiani fascisti, residenti nella maggioranza nel Tirolo e nella Carinzia ed ha deliberato d’intervenire in difesa dei confini dell’Austria nel caso di un colpo di mano della Jugoslavia».

Se l’on. Mussolini fu di quell’avviso ciò forse si deve agli ammonimenti poco lusinghieri e piacevoli che gli son venuti dagli Stati Uniti e da altri luoghi. Comecchessia, quest’è indubitato: che se i fascisti italiani non s’ingeriranno, almeno per ora, nella politica interna, già hanno stabilito d’immischiarsi nella politica estera e militare dell’Austria, col consenso, a quanto pare, del duce supremo; il che se non è zuppa è pan molle. E non fanno altrettanto in America e altrove perché, ripeto, non hanno la forza; altrimenti tratterebbero tutti gli Stati stranieri così come stanno trattando l’Austria, l’Ungheria e la repubblica di San Marino. Con certezza assoluta. Ha poi torto codesto senatore King a soffiare come un basilico contro il fascismo, reputandolo una vera e propria associazione di delinquenti non molto dissimile dalla leggendaria “Mano Nera” italo-americana?

Stia dunque bene in guardia ogni popolo straniero a non consentire per nessuna ragione al mondo che siffatta peste sia importata fra le sue mura, se non vuole presto o tardi far la figura dell’Austria.

Non è il caso di parlare di proteste legali, di comizi inzuccherati, di discussioni sui giornali. Nemmeno per sogno.

Ai serpenti a sonagli, alle iene e agli sciacalli si manda lì per lì una pallottola in fronte dovunque si trovino.

Per i negrieri col teschio di morto non ci dev’essere che un solo grido da un estremo all’altro della terra:

Ammazzateli come cani idrofobi!

 

 

[L’Adunata dei Refrattari, anno II, n. 16 del 26 maggio1923]