Assemblea “a testa alta” dopo la condanna di Alfredo e Nicola @ Spazio Anarchico 76 Napoli (il 27 altro evento)

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ASSEMBLEA A NAPOLI

IL 30 NOVEMBRE, UN MESE DOPO IL PROCESSO E LA CONDANNA DI ALFREDO E NICOLA, CI TROVEREMO A NAPOLI PER PROSEGUIRE LA DISCUSSIONE PROPOSTA DALLO SCRITTO “A TESTA ALTA“.

INIZIO ORE 15.00. NOI CI SIAMO  DALLA MATTINA PER CHI ARRIVA PRIMA MANGIAMO ASSIEME.

SPAZIO ANARCHICO 76/A
VIA VENTAGLIERI 76/A MONTESANTO, NAPOLI
VICINO STAZIONE METROPOLITANA DI MONTESANTO

 

A testa alta – Invito alla discussione e alla presenza solidale al processo a Nicola ed Alfredo

A TESTA ALTA . Invito alla discussione e alla presenza solidale al processo a Nicola ed Alfredo

Il 5 luglio si terrà l’udienza preliminare per Nicola Gai e Alfredo Cospito – anarchici – arrestati il 14 settembre 2012 con l’accusa di essere gli autori del ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi – progettista e costruttore di centrali nucleari – azione rivendicata dal Nucleo Olga della Federazione Anarchica Informale / FRI.

In quella data saranno fissate le date del processo, con tutta probabilità in autunno.

Una prima bozza di questa proposta è circolata negli ultimi due mesi. A partire da un singolo – per quanto pesante e carico di implicazioni – episodio repressivo, si è arrivati a ragionare su scala più ampia su mancanze e prospettive proprie di certa area anarchica, a riflettere sulla necessità di confrontarsi – non appiattirsi – su alcune questioni basilari quali repressione, solidarietà, prospettive di lotta, dinamiche e carenze nella comunicazione.

Al di là delle contingenze vorremmo parlare di quanto si riesca a trarre di positivo dal reagire a ogni singolo episodio repressivo, quanto di positivo nel conoscere l’evolversi di mezzi e strategie di controllo e “prevenzione”, per farsene orgogliosamente gioco,quanto di positivo nel discutere e rilanciare idee e pratiche d’attacco, quanto di positivo nel riconoscersi a testa alta contro un nemico comune.

Un incontro utile per quanti considerano ancora la prospettiva anarchica un’ipotesi viva e allettante, un groviglio di pensiero, azione ed esperienze in divenire: consapevoli che, quando queste si intersecano e affinano riusciamo a ottenere livelli alti di analisi, progettualità e pratiche,che concorrono a sollevare l’ orizzonte di lotta , ad aprire spiragli di luce in questo plumbeo presente, ad intessere nuove ragnatele di rivolta.

Siamo anarchici quindi naturalmente allergici alle cariatidi della politica , anche nella sua veste ‘ militante’ ,naturalmente alieni a ad assemblee plenarie,strutture decisionali accentratrici: le tensioni individuali rimangono forti e vitali, nello stesso tempo ci si riconosce in una base comune costruita sia storicamente che per esperienze e suggestioni confluenti,non monadi nello spazio ma ancorati ad un patrimonio di pensiero ed azione ,che siano gli espropriatori ed individualisti argentini dell’ inizio del secolo scorso,i gruppi di affinità in Catalogna negli anni trenta ,la Machnovcina,gli arditi del popolo , il gruppo Primero de mayo, i rivoltosi di Genova 2001, Atene e di tutte le piazze dove la benzina ha contribuito a far ardere i nostri cuori e le divise delle guardie, gli attuali gruppi d’ azione od i futuri visionari della sovversione di un mondo a cui sarà sempre più difficile adeguarsi.

Sentiamo di avere il cuore e la testa dalla parte giusta ,

quella che riconosce le multiformi pratiche della lotta rivoluzionaria,

quella che discerne i germogli insurrezionali dalle secche del realismo riformista, educazionista o assistenziale che dir si voglia

quella che non abbandona i compagni in carcere ma li riconosce come parte attiva e viva di una traiettoria di lotta, senza attenersi al ‘minimo sindacale’ della solidarietà.

quella che è consapevole che qualsiasi tensione rivoluzionaria è intrinsecamente ‘sociale’ in quanto interviene con i suoi mezzi e le sue valutazioni nella critica della società attuale,e parimenti’ antisociale’ quando le presunte lotte sociali diventano un recinto limitato e limitante per il proprio sentire antiautoritario.

Vorremmo tornare a ragionare su alcune questioni di base:la rispondenza tra pensiero ed azione, un anarchismo che sappia, se non praticare nella totalità delle sue sfaccettature,perlomeno riconoscere e sentire come patrimonio proprio le multiformi manifestazioni dell’ agire anarchico,consapevoli che non c’è gradualità nelle pratiche né gerarchia nei mezzi, solo strumenti più o meno efficaci da scegliere a seconda delle situazioni,senza remore o tabù su percorsi individuali o collettivi, firme o anomie o quant’altro.

Sta a noi, qui ed ora ,cogliere la possibilità di discutere ,capirsi e riconoscersi come componenti attivi di una galassia anarchica , minoritaria ma effettiva,a volte splendente nella sua capacità di creare e fomentare situazioni di lotta, a volte sterile palestra di critica radicale, troppo timida nel far valere la giustezza delle proprie analisi.

Sta a noi, qui ed ora , avere ben chiaro se e fino a che punto si è in grado di spendersi, consapevoli che aldilà di qualsiasi momento di incontro i complici si trovano e riconoscono nel’ azione, non in assemblea.

SOLIDARIETA ‘ E REPRESSIONE
La repressione è il naturale contraltare del’ agire anarchico, la solidarietà attiva dovrebbe essere un’ altrettanto naturale processo spontaneo, così spesso non è.
Gli scenari repressivi si riproducono ciclicamente con qualche variante,270,280, associazione a delinquere, devastazione e saccheggio, strategie di controllo preventivo (fogli di via, avvisi orali,sorveglianza speciale , ecc)e non ultimo l’ affinamento dei regimi di detenzione quali le sezioni ad alta sorveglianza destinate agli anarchici con la conseguente strategia di separazione dal resto della popolazione carceraria. Lo stato continua a fare il suo mestiere , più o meno efficientemente si difende dai tentativi , più o meno efficaci, più o meno contundenti di creare agitazione e colpire.
Il conteggio per ora è ampiamente in perdita , non tanto per i -troppi anche se uno- compagni in carcere , che si trovano a fronteggiare anni di galera in nome della vendetta del dominio,ma soprattutto è in perdita quando le strategie di controllo e repressione vanno a demolire le basilari forme di appartenenza e solidarietà in seno al movimento,quando sono sempre più spesso gli stessi refrattari ad esulare da solidarietà e vicinanze in nome di opportunismi politici e dalla salvaguardia personale , quando diventa complicato finanché redigere un manifesto solidale , quando il soffio della rivolta che si spande per il globo in luogo di istillare rabbia , orgoglio e volontà d’ azione alimenta il mantice sfiatato di cuori pavidi ed incapaci a decidersi.
Solidarietà e complicità a volte sono parole gravide di conseguenze, a volte sono le pietre tombali che sigillano una tensione morta sul nascere,che corre ad incagliarsi sugli scogli di un pragmatico piccolo cabotaggio in nome del quieto vivere.
Non è questo che interessa, sulle basi del realismo e di un fatalista adeguamento non si costruisce alcuna ipotesi degna di essere vissuta,si sta giocando troppo al ribasso, è il caso di invertire rotta.
Continuiamo a considerare i compagni che cadono nelle maglie del nemico per quello che sono, soggetti attivi nella lotta e nel dibattito,ne martiri ne santini da esporre sugli altarini delle vittime della repressione , consolatorii più per chi li crea che per chi ci finisce. Compagni con cui è necessario solidarizzare attivamente, senza esitazioni, al di là delle peculiarità delle singole progettualità.

INFORMAZIONE-CONTROINFORMAZIONE

La circolazione di controinformazione e pubblicistica dovrebbe essere un mezzo utile al contatto e allo scambio di prospettive e progetualità, spesso diventa un fine, autoreferenziale e basta.
Ci sono vari ordini di problemi, dagli strumenti che si scelgono per veicolare l’ informazione ed il confronto alle modalità della comunicazione stessa, diretta o mediata da strumenti cartacei o digitali. In altri tempi, benché la pubblicistica anarchica sia sempre stata copiosa nel produrre opuscoli, fanzine o libelli vari, la lamentela più comune era sulla carenza dell’ informazione , ora il problema pare rovesciato ma gli effetti simili,navighiamo in un mare di informazione e di controinformazione che spesso viene assorbita lasciando il tempo che trova o peggio appunto diventa fine piuttosto che mezzo. E’ altresì vero che la comunicazione in digitale offre il fianco più facilmente alle strategie di controllo e repressione, automaticamente tracciabile e perpetuamente monitorabile, , ma questo avviene con qualsiasi strumento.
La rete concede velocità di scambio di informazioni spesso ci fornisce delle panoramiche globali e locali che dovrebbero fornire spunti interessanti , il problema se poi non si concretizzano è solo parzialmente colpa degli strumenti comunicativi/ informatici piuttosto dipende dall’ incapacità o mancata volontà -spesso -di trovarsi, faccia a faccia, sulla stessa strada, in un percorso di lotta.

PROSPETTIVE DI LOTTA
Circoscriverle a priori è difficile, siamo in un campo aperto e le suggestioni sono molteplici, dalla lotta alle nocività alle varie forme di contrasto all’ erosione dei sempre più esigui spazi di libertà individuali e collettivi che il dominio, nelle sue cicliche ristrutturazioni continua ad imporci. Quello che ci interessa in questa sede non è approfondire i possibili campi d’ intervento piuttosto continuare a difendere la validità del metodo- quello anarchico dell’ azione diretta e del rifiuto della delega,il continuare a mantenere fiducia nei propri strumenti e nelle proprie analisi ,senza farsi incantare da sirene quantitative ed improbabili alleanze, senza nascondersi dietro la litania del ”siamo pochi non andiamo da nessuna parte” a cui preferiremmo sostituire un ”benchè in pochi sappiamo riconoscere senza esitazione i sentieri utili da percorrere e suggerirsi a vicenda e gli eventuali compagni di strada”. Non altro.
Per concludere la proposta di discussione è ambiziosa e rischiosa, non vorremmo che sia proprio lo spettro della repressione a tagliare le gambe alla possibilità di confronto, anzi sono proprio le strategie repressive a sciogliere le esitazioni ed a farne percepire la necessità . Discussione non significa necessariamente far confluire tutto nella forma classica assembleare , contenitore sempre più spesso inadeguato, ma riteniamo comunque che un confronto diretto sia fondamentale: la discussione potrebbe prendere la forma di incontri , anche a livello locale precedenti alla presenza al processo, che si terrà comunque a tempi brevi, in autunno, a cui si vorrebbe arrivare concretizzando una buona presenza solidale.

Alcuni anarchici ed anarchiche.

INVITIAMO TUTTI I COMPAGNI A PARTECIPARE ALLA DISCUSSIONE CHE SI TERRA’ DOMENICA 30 GIUGNO ALLE 14:00 A ROMA AL BENCIVENGA15 (VIA BENCIVENGA N.15)

http://www.informa-azione.info/a_testa_alta_invito_alla_discussione_e_alla_presenza_solidale_al_processo_a_nicola_ed_alfredo

 

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l’ultima era

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Mercoledì 27 Novembre 2013, dalle ore 19

“L’Ultima Era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà” di Enrico Manicardi (2012, Mimesis Edizioni).

Presentazione del libro e incontro con l’autore

Considerato come il più documentato resoconto divulgativo sulla “storia” della civilizzazione intesa come fenomeno patologico, L’ultima era analizza il presente che stiamo vivendo e il passato antecedente la comparsa dell’agricoltura con lo scopo di guardare a un futuro liberato dalle aspettative catastrofiche in avanzato stato di realizzazione.

Lo spettro della crisi agita ormai le preoccupazioni di tutti, ma la domanda più pertinente sembra essere elusa: che cos’è questa crisi che ci tormenta? È soltanto uno stato passeggero in procinto d’essere superato da una Nuova Economia, una Nuova Politica, una Nuova Ecologia, o è qualcosa di cronico, di radicato fin nel profondo del nostro stesso modo civilizzato di vedere le cose?

Mentre si continua a disboscare foreste, a sventrare montagne, a erodere suoli, a contaminare fiumi, a ingrigire spazi celesti, a schiavizzare persone e animali riducendo tutto quel che esiste a carburante della Megamacchina, il tecno-capitale rigenera se stesso presentandosi in versione “green” per rendere ancora più efficace e silenzioso il suo canto di morte.

Stiamo segando il ramo sul quale siamo seduti, diceva Brecht; siamo comodamente sistemati su di un treno high-tech che corre all’impazzata verso il precipizio, attualizza Manicardi. Dall’una come dall’altra metafora emerge una cosa certa: non basterà ridurre il carico di devastazione che ci sta uccidendo; non basterà decrescere né rallentare la marcia ferale che abbiamo imposto alla vita su questo Pianeta. La civiltà non è sanabile: non servirà renderla più “verde”, più “equa”, più “sostenibile”. La civiltà è un cancro che ci sta divorando. O saremo in grado di comprendere la cause della crisi che ci consuma, invertendo subito la rotta che abbiamo preso con la riduzione del mondo a fattore produttivo, o non ci sarà scampo per nessuno. I palliativi sono solo funzionali a mantenere tutto inalterato, e chi si occupa oggi di diffondere soluzioni tampone dirette unicamente a nascondere i sintomi del male ecologico e sociale che ci affligge è tanto criminale quanto chi dirige e guida la locomotiva verso il dirupo.

presso lo Spazio Anarchico 76(A)
via Ventaglieri, 76a – Quartiere Montesanto, Napoli

http://arraggia.noblogs.org/post/2013/11/25/lultima-era/#more-1563