L’Antifascismo è un conglomerato eterogeneo apparso sulla scena politica italiana assai tempo dopo l’avvento del fascismo al potere. È composto da uomini politici, provenienti e aderenti ai partiti più diversi, animati da uno scopo comune: l’abbattimento del fascismo e la liberazione del popolo italiano dallo stato di soggezione medioevale a cui il regime fascista lo ha ridotto.
Anche noi anarchici lottiamo per la libertà del popolo italiano, in quanto lottiamo per la libertà di tutti gli esseri umani. Ma appunto perché la nostra avversione pel fascismo ha più profonde radici nella nostra rivolta contro il capitalismo stesso che quello determina, così il nostro antifascismo è anteriore e più radicale di quello dei partiti che ne hanno monopolizzato il nome.
Nonostante la superficiale apparente comunanza di scopi immediati, con questi uomini e partiti, noi abbiamo ritenuto sempre più opportuno esplicare la nostra attività indipendentemente, e non abbiamo aderito né intendiamo aderire all’antifascismo politicante, né nel suo insieme, né nelle sue singole frazioni che sotto diverse insegne: «fronte unico», «Concentrazione», «Giustizia e Libertà» ecc., tendono alla stessa meta.
Questo atteggiamento noi abbiamo assunto e manteniamo, non per cieco spirito settario, ma a ragion veduta, per puro bisogno di coerenza con le premesse rivoluzionarie della nostra posizione nella mischia sociale, secondo le quali la lotta contro il fascismo è una fase della lotta per l’abolizione dello sfruttamento capitalistico e dell’oppressione statale. L’antifascismo generico, invece, è una formazione contingentale, opportunistica, a cui concorrono uomini dalla mentalità borghese, conservatrice, devota a dio, allo Stato ed al privilegio, uomini che hanno avuto sempre — e conservano — un sacro orrore della rivoluzione sociale e che, come ognuno ricorda, in Italia, quando avevano potenza ed influenza, in luogo di secondare il progresso della libertà l’hanno fervidamente sabotata, combattuta ed ostacolata con tutti i mezzi a loro disposizione, spianando la via al fascismo.
Quando uomini e partiti politici banno avuto l’opportunità di esercitare una certa influenza sugli avvenimenti, hanno acquistato di fronte agli uomini ed alla storia una fisionomia dai tratti incancellabili che descrivono la loro intima natura. E, senza cambiar questa, cioè senza diventare fondamentalmente diversi da quel che sono sempre stati, gli uomini e i partiti che gravitano intorno all’antifascismo, sono da ritenersi essenzialmente conservatori e nemici della rivoluzione sociale. Infatti, gli epigoni della socialdemocrazia — che sono, per così dire, i direttori spirituali dell’antifascismo politico — quando parlano di rivoluzione e di liberazione del popolo italiano non intendono, neanche oggi, come intendiamo noi, di abbattere il fascismo con lo scopo di conseguire un regime sociale fondato sull’eguaglianza economica e la libertà politica; intendono invece di abbattere il governo fascista per raccoglierne l’eredità del potere, preservando gli istituti della proprietà privata e dell’autorità, cioè le fonti da cui scaturiscono fatalmente tutte le ingiustizie sociali. In altre parole, costoro vogliono governare.
Il loro governo vuole essere democratico, socialista, repubblicano, e promette la riconciliazione degli interessi dei lavoratori con quelli dei capitalisti. Ma noi siamo stati testimoni del fallimento clamoroso di troppe esperienze di questo genere, per avere il diritto di conservare illusioni intorno alle promesse
di politicanti che aspirano al potere. Sappiamo che quelle promesse sono fallaci, quando non pure mendaci. Sappiamo che nessun governo può fare gli interessi dei diseredati, vigilare sulla libertà dei sudditi. Sappiamo che il governo demo-social-repubblicano dell’antifascismo — se riusciranno mai a metterlo in piedi coloro che lo promettono e furono monarchici fino a ieri — non sarà migliore degli altri. E se lo sarà nei primi tempi, finché avrà bisogno di adescarsi il consenso delle masse, getterà la maschera alla prima opportunità. per mostrare la natura intima di tutti i governi, di essere cioè prima e sopra di tutto organi di repressione.
Perciò, quegli anarchici, o sedicenti tali, che a questo antifascismo politico aspirante al governo, in un modo o in un altro aderiscono, illudendosi di rendersi in tal modo più utili alla rivoluzione liberatrice, non solo rendono un cattivo servizio alla causa della rivoluzione sociale e all’idea anarchica, ma si fanno prigionieri della superstizione autoritaria, nel campo delle idee, mentre in pratica si danno in ostaggio nelle mani delle legioni governative che paralizzeranno ogni loro autonomia d’azione nel momento del trapasso di regime, quando appunto quell’autonomia dovrebbe costituire la prova decisiva della bontà delle idee anarchiche e consacrare nelle opere il trionfo della rivoluzione sociale emancipatrice. Il loro non è un caso di apostasia risoluta. Ma ad ogni pratico effetto è come se lo fosse. Giacché essi vengono a dire, in sostanza, che pur conservando la più alta opinione pei princìpi dell’anarchia, ne sospendono pel momento le pratiche applicazioni… promettendosi di riprenderli in momenti più opportuni, quando cioè, mercé la loro opera in senso autoritario, nuovi governi si saranno insediati al potere, e l’opportunità di mettere i princìpi anarchici alla prova del fuoco dell’esperienza sarà passata, inutilmente.
Sì dirà — e si dice — che queste sono osservazioni logiche, ma che, intanto, in Italia si soffre, i nostri compagni, gli uomini di mente e di cuore, gli idealisti sinceri che seppero tenere alto l’orifiamma della libertà senza piegare, vanno spegnendosi lentamente sballottati da un reclusorio all’altro; e che, insomma, il fascismo permane tuttora forte e baldanzoso mentre noi, essendo una esigua minoranza non possiamo da soli ingaggiare la battaglia finale che scatenerà la rivoluzione e spazzerà via il fascismo.
Ma questa non è una ragione per doverci rimorchiare al seguito di partiti autoritari, come hanno testé fatto quegli anarchici che hanno aderito alla Concentrazione. D’altronde, noi testimonieremmo ai nostri compagni ostaggi del regime una ben magra opinione della loro fede, manifestando il proposito di riscattare la loro libertà ripiegando la bandiera del comune ideale. Dal fondo delle galere, dalle isole del confino, dai fossati in cui si perpetrano i più atroci delitti del fascismo, non sono mai venute che parole di incoraggiamento e di fede. Non facciamo ai nostri martiri quest’insulto gratuito.
Nessun partito può mai bastare a far da solo la rivoluzione. Meno d’ogni altro basterà il partito dell’antifascismo politico, che la rivoluzione avversa per principio anche quando sia costretto a subirla.
Le rivoluzioni non le fanno i partiti. Le fanno le classi, il popolo.
Così la prossima rivoluzione italiana raggiungerà lo stadio acuto, quando il popolo, già stanco della tirannia fascista, troverà in sé la volontà e la forza di insorgere per vendicare le angherie subite e rivendicare i diritti e le libertà conculcati. Le minoranze rivoluzionarie, gli anarchici, hanno il compito di prepararsi e preparare a questa rivoluzione affrettandola, e di secondare poi l’opera sua liberatrice.
Ora, ogni partito, ogni corrente politica, ogni individuo anche, può espletare questa sua missione preparatoria in condizioni di indipendenza, e forse con maggior profitto, evitando gli urti, i contrasti, i reciproci ostacoli che sono impliciti nella formazione dei fronti unici della confusione e del perditempo. A parte che le combinazioni eterogenee sono sempre l’aspirazione di politicanti che hanno bisogno di masse da governare, e di un seguito numeroso con cui far valere il proprio nome, il proprio programma o il proprio “diritto” al potere, il fronte unico delle opere si realizza automaticamente sul terreno della realtà, quando ciascuno faccia veramente tutto quel che sa e che può fare.
Di tutti i partiti che combattono contro il fascismo, soltanto gli anarchici lottano sinceramente per un fine giusto, elevato ed umano; perché essi soli tendono al livellamento delle classi ed all’abolizione del governo, dello Stato e dell’autorità; perché essi soli auspicano la socializzazione della terra e degli strumenti di produzione e di scambio col proposito di mettere ciascun nato di donna nella possibilità di vivere degnamente e intensamente la vita dando secondo le sue forze e prendendo secondo i suoi bisogni.
Gli altri partiti, qual più qual meno, tutti hanno interessi subdoli ed obliqui da conseguire, in quanto aspirano alla conquista dei pubblici poteri per ergersi a loro volta a dominatori, a dittatori, despoti e tiranni; ripetendo all’infinito il gioco nefasto del levatici tu ci vo’ star io!
Al che, disgraziatamente, fino ad oggi, data l’ignoranza del popolo sono riusciti.
Nulla assicura che non vi possano riuscire anche domani; ma non dovremmo essere certamente noi a facilitar loro il successo.
Noi dovremmo, anzi, cercar tutti i mezzi per impedirglielo, incominciando sin da ora col non contrarre compromessi di sorta con loro, e col ricusare di mettersi al seguito delle loro iniziative, che, per quanto lodevoli possano apparire, hanno sempre un fine autoritario.
E in quanto alle varie tendenze dell’anarchismo, quelle che sono veramente tali, nelle opere devono rivelarsi. Nelle opere intese ad imitare con la parola e con l’esempio il popolo insorto, a demolire tutto quanto v’è di insidioso e di nefasto nel vecchio regime, a spingere il movimento rivoluzionano il pie’ avanti possibile, oltre tutti i calcoli e le ambizioni e gli interessi dei partiti politici.
Saremmo sconfitti, disfatti, soppressi?
Possibile. Ma non ci saremo resi complici dei nuovi padroni e tiranni; ma non avremo rinnegata l’anarchia.
(L’Adunata dei Refrattari, anno XII, n. 38 del 23 settembre 1933)