Cari amici di valle e di città,
quella che viene oggi scatenata conto chi si batte contro il Tav non è solo un’offensiva tribunalizia ma una tempesta di passioni tristi e umori guasti.
«Terrorismo», «organizzazione paramilitare», «attentato»: dietro la scelta di queste espressioni si cela un’operazione linguistica volta ad evocare sentimenti precisi.
Ogni parola attiva un campo semantico, che la collega ad altre parole e significanze. Se dico «sedia» penso anche a «tavolo», se dico «pane» penso anche a qualcosa di «morbido» e «semplice». Allo stesso modo l’impiego di categorie come «terrorismo» o «guerra» non ha delle ricadute solo sul piano giuridico, e di conseguenza sulla nostra libertà fisica, ma ha una forte capacità evocativa in grado di far emergere una serie di suggestioni e di reazioni irrazionali facilmente governabili. Ed è solo in questa triste e tenebrosa palude emotiva, abitata da leggendari e terrorifici mostri marini da decapitare prontamente, che i moderni filibustieri del diritto navigano sicuri e, come salvatori, distribuiscono decadi di galera come fossero caramelle gommose ad una festa per bambini. È solo in questa pozza torbida e melmosa, dove ogni gesto di dissenso radicale viene risucchiato e rimasticato dalle fauci – queste sì terrificanti – della vendetta penale, che i potenti si specchiano e si riscoprono belli e necessari.
Un’operazione affettiva, dunque, e una battaglia semantica sono in corso a fare da cortina fumogena attorno ad uno scontro sociale giunto inevitabilmente al muro contro muro. È questo il gioco incrociato in cui si sta dilettando la procura di Torino (e non solo) per costruire consenso attorno ad una precisa volontà carcerogena che, come una metastasi aggressiva, sta attaccando ogni tessuto di lotta, in Val di Susa e altrove.
Sì, anche altrove, perché quanto sta accadendo a noi è solo la cristallizzazione di una tendenza punitiva che attraversa diffusamente l’intera società, la quale, di fronte all’evidenza del suo fallimento, non ha altre risposte da dare che non comprendano manette, manganelli e filo spinato.
Benché l’ombra della legge giganteggi sui più, in questo mondo sempre più compresso tra cemento e reticolati, tra terre dei fuochi e basi militari, ci sarà sempre qualcuno disposto a ribellarsi. In fondo, la paura che ci viene scaricata addosso non è che l’eco dei timori che risuonano nelle stanze vuote dei palazzi.
Il 14 maggio inizierà il processo che ci vede imputati. Sarà un passaggio importante al quale dovremo arrivare forti e ricchi di idee.
Dobbiamo essere pronti ad affrontare un processo «urlato» ed improntato al sensazionalismo, sulla falsariga della campagna mediatica da tempo imbastita per demonizzare la lotta contro l’Alta Velocità.
Per riuscire nell’impresa di strappare una condanna esemplare, saranno evocati fantasmi di ieri e di oggi, mentre le deboli quinte dell’impianto accusatorio verranno puntellate con una «strategia della tensione» a basso voltaggio, volta a costruire il climax adatto alla messinscena predisposta. Solo così si potrà sperare di riuscire a fomentare l’animosità patibolare. E mentre sul palco gli inquisitori giocheranno con le ombre cinesi, in sala stampa coraggiosi cronisti di «nera» cucineranno notizie ansiogene da spacciare al dettaglio come droghe tagliate male.
Tutti insieme parleranno la lingua del terrore e, come ventriloqui, tenteranno di farci parlare la loro stessa lingua.
E noi?
Noi li lasceremo soli in quel triste mondo.
Diserteremo la paura e guarderemo oltre. Accartocceremo i loro incubi come demoni di carta e continueremo a sognare, tra le sbarre, nei boschi, ovunque. E quando penseremo alla Val Clarea ridotta ad un cratere lunare, torneremo a regalare un sorriso a coloro che quella notte di maggio scesero da sentieri percorsi mille e una volta e si aprirono un varco nelle reti per poi andarsene veloci, lasciandosi dietro qualche mezzo bruciato e neanche un’unghia spezzata, come ignoti amici dei boschi, amanti della vita e nemici della mega-macchina.
Alessandria, 20.2.2014
Mattia
da notav.info