INVOLUNTARY ASPECTS OF VOLUNTARY WORK (en/it)

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A.M. Bonanno

In a climate such as that which prevails at the present time, with its general disenchantment and restoration of the absolute values of competition and capitalist efficientism, the demonstration of voluntary workers that took place in Rome recently shows, if nothing else, that there are still people around who represent the values of solidarity and equality. It is precisely this aspect, utopian in the better sense of the word, that attracts many young people to an involvement which if, on the one hand makes them feel better as it gives them a ‘different’ projectuality, on the other involuntarily makes them the accomplices of an overall project of power which needs them in order to complete itself in every aspect.

Let us explain.
Communities, coops, small shops, alternative groups who dedicate themselves to sectors of solidarity and social cooperation, are the main elements with which the economic and political system softens the blows of social injustice, precisely among strata where this is acute and risks exploding.
This sector has stemmed the flood of a whole generation of ‘revolutionaries’ who, since losing father party and mother ideology, now find themselves without ideas or leaders. And voluntary work has helped them get their feet back on the ground, preventing them from looking beyond their noses or risking finding themselves moving towards a new practice of social transformation that is really revolutionary this time. And as more and more violent and irrecuperable contradictions explode, this sector is acting as a stopgap, sometimes even intervening directly to manage the most extreme situations, using the same repressive methods as the State. Evidence of their institutional function is to be found in the fact that voluntary workers apply for funding through the legal framework of associationism: utopians, yes, but not stupid ones.
Voluntary work supplies a very important product: the feeling of doing something useful. So, to all those who feel bad because of the shameful injustice that continues to reign throughout a world where half the population are dying of hunger, buying original products in ‘alternative’ shops at an ‘honest’ price can let them feel at peace with their conscience.
It is precisely this sector that has spread the inauspicious solution of ‘copping out’, of considering oneself to be absolved from any destructive involvement by simply singling out a sector that is supposedly free from capitalist pollution. One deceives oneself that by investing one’s money in ‘alternative’ banks one is not speculating on the lives of millions of people, or fools oneself into believing that by buying in ‘alternative’ shops one is boycotting world capitalist production, using a channel that is exempt from involvement in genocide.
For anyone who has even the slightest notion of how the economy works as a whole, the fact of acquiring products at higher and therefore uncompetitive prices in the so-called third world does not in any way prevent the sale of the same products to the multinationals. On the contrary it favours them because the producers, having a slight increase in their profit margin (which is still minimal when you consider the number of alternative orders), can bargain with the multinationals and get better prices, which makes little difference to the latter’s huge profit margins in any case as such increases are minimal. On the other hand, the politics of higher revenue by both the alternative buyers and the multinationals cannot fail to produce locally a class who are better off and who inevitably end up improving conditions, not for everyone in the area, but for a restricted number of nouveau riche.
The above conclusions are not dictated by the logic of ‘the worse the better’, but by two assumptions: first, that it is not possible to speak of solidarity and equality within the capitalist system and, secondly, one does not help the third world by increasing its profits. The first is based on the fact that the capitalist system is a closed system with one logic that extends all over the world; any semblance of another is merely a means of integrating and recuperating particular phases of imbalance. The second assertion is based on the fact that a country with a very low pro capita income does not increase this (except from the statistical point of view) through a simple increase in exports. In fact there will always be a privileged class managing economic and political power who gain more and keep the rest of the population in the same poverty-stricken situation as before.
For these reasons, and others which we will have occasion to mention later, voluntary work is one of the most important outlets today for perpetrating the scourge of social injustice produced by capital at a global level.

[Original title: Aspetti involontari del volontariato, in “Canenero”, no. 2, 4 November 1994. English translation by Jean Weir published in “Let’s destroy work, let’s destroy economy”, Elephant Editions, London.]

 

ASPETTI INVOLONTARI DEL VOLONTARIATO

Aspetti positivi dalla manifestazione del volontariato tenutosi a Roma sabato 29 ottobre scorso? Pensiamo di no.
Il fatto che in un clima di generale disincanto e di ripristino dei valori assoluti della concorrenza e dell’efficientismo capitalista, ci sono persone che ancora ripresentano i valori della solidarieta’ e dell’eguaglianza, non puo’ che essere un aspetto positivo. Ed e’ proprio questo aspetto, utopico nel senso migliore del termine, che attira molti giovani verso un impegno che, se da un lato li fa star meglio, proiettandoli verso una progettualita’ ‘’altra’’, da un altro lato, li rende involontariamente complici di un progetto complessivo di potere che conta ‘’anche’’ su di loro per completarsi in tutti i suoi aspetti.

Chiariamo questo concetto.
Le comunita’, le cooperative, le botteghe commerciali, i gruppi alternativi che si dedicano al settore della solidarieta’ e della cooperazione sociale, sono gli elementi principali con cui l’intero sistema economico e politico ammortizza l’ingiustizia sociale proprio in quelle fasce e in quei settori dove essa permane maggiore e rischia di esplodere.
E’ proprio questo settore che ha arginato lo sbando di una generazione passata di ‘’rivoluzionari’’, che avendo perso il papa’ partito e smarrito l’ideologia mamma, si erano ritrovati senza guida e senza idee. E il volontariato, li ha ricondotti con i piedi per terra, impedendo loro di vedere al di la’ del proprio naso, e quidi nullificando quegli incendi di percorso che avrebbero potuto spingerli verso una pratica di trasformazione sociale del tutto nuova e questa volta veramente rivoluzionaria.
E’ proprio questo settore che sta gestendo le situazioni a rischio piu’ estreme, facendo da tappabuchi e intervenendo specificatamente nei momenti in cui le contraddizioni esplodono piu’ violente e irrecuperabili con i classici metodi repressivi dello Stato. E la coscienza di questa funzione istituzionale il settore del volontariato l’esprime chiedendo finanziamenti precisi attraverso una legge quadro sull’associazionismo: utopisti si’, ma fessi perche’?
E’ proprio questo settore che individualmente fornisce un prodotto molto importante: il senso di fare qualcosa. Cosi’ tutti coloro che si sentono male a causa del fatto che ingiustizie vergognose dilagano per il mondo, dove la meta’ della popolazione muore di fame, comprando nei negozi ‘’alternativi’’, che acquistando i prodotti all’origine pagandoli ad un giusto prezzo?, si sentono a posto con la coscienza.
E’ proprio questo settore che ha diffuso l’idea, di per se’ nefasta, del chiamarsi fuori, del considerarsi assolto da un impegno distruttivo diretto proprio a causa del semplice fatto di individuare un settore economico esente da inquinamento capitalista. Cosi’ ci si illude che investendo il proprio denaro nelle banche ‘’alternative’’ non lo si indirizzi verso speculazioni di morte, cosi ci si illude che comprando nei negozi ‘’alternativi’’ si boicotti la produzione capitalista mondiale e si alimenti un canale esente da responsabilita’ e genocidi.
Per chi possiede una sua pur minima idea di come funziona l’economia a livello complessivo, sara’ chiaro il fatto che acquistando nel cosiddetto Terzo mondo prodotti a prezzo superiore, quindi non concorrenziali, non si blocca affatto la vendita degli stessi prodotti alle grandi multinazionali, ma anzi la si favorisce, perche’ i produttori, avendo a disposizione un minimo di guadagno in piu’ ‘’che resta per altro trascurabile considerando l’entita’ della domanda alternativa’’, possono contrattare meglio, in una posizione di maggiore pressione, con le grandi multinazionali, ottenendo prezzi piu’ alti, prezzi che queste ultime potranno sempre offrire avendo grandissimi margini di profitto e non trattandosi, dopo tutto, che di piccoli aumenti. Per un altro lato, questa politica di maggiori introiti, sia da parte degli acquirenti alternativi, sia da parte di quelle multinazionali, non puo’ dar vita ad una classe di arricchiti locali i quali finiranno per produrre inevitabilmente non migliori condizioni per tutti nelle aree in discussione, ma solo per un numero ristretto di nuovi ricchi.
Questa valutazione non e’ dettata dalla logica del tanto peggio tanto meglio, ma da due considerazioni: primo, non si puo’ parlare di solidarieta’ e di eguaglianza all’interno del medesimo sistema capitalista, secondo, non si aiuta il Terzo mondo aumentandone i profitti. La prima considerazione si basa sul fatto che il sistema capitalista a livello mondiale e’ un tutto chiuso che non ammette logiche diverse al proprio interno, se non in fase recuperativa e integratrice degli scompensi marginali. La seconda considerazione si basa sul fatto che una nazione, un paese che ha un tasso pro-capite bassissimo, non aumenta ‘’se non da un punto di vista statistico’’ con il semplice accrescersi delle entrate dovute alle esportazioni. Infatti ci sara’ sempre una classe di privilegiati, gestori del potere economico e politico locale, che guadagnera’ in piu’ e terra il resto delle popolazioni nelle stesse condizioni miserabili di prima.
Per questi motivi, e per altri dei quali avremmo occasione di parlarne in seguito, il volontariato costituisce oggi uno degli sbocchi piu’ importanti per le scorie d’ingiustizia sociale che il capitalismo produce a livello mondiale.

Alfredo M. Bonanno

–estartto da CANE NERO n. 2 4 novembre 1994