Sotto la pioggia, ancora No Tav

140-anni

Sotto un cielo plumbeo e accompagnato da una pioggia intermittente, sabato si è svolto il primo corteo torinese No Tav dopo la sentenza per Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, e quella del maxi-processo in cui sono stati comminati in totale 140 anni di carcere.
In attesa della partenza molti si sono accalcati sotto i portici di Piazza Statuto per trovare riparo dal tempo infausto, il quale poteva far presagire un’iniziativa poco partecipata. Nonostante ciò, quando il corteo si è diretto finalmente verso Porta Susa, è andato costituendosi un lungo serpentone di diverse migliaia di persone sprezzanti delle condizioni climatiche, pronte ancora una volta a portare per le strade di Torino la propria voce contro l’Alta Velocità. Striscioni, cori e slogan contro l’opera e per ribadire che anche se le condanne sono arrivate, la lotta non si fa intimidire e la rete di solidarietà si stringe più solidamente intorno ai compagni che già stanno scontando la vendetta della giustizia.

Lungo tutto il percorso, oltre agli striscioni e ai cartelli che sfilavano verso piazza Castello, sono comparsi altri segni beffardi del passaggio del corteo. Già all’imbocco di Corso San Martino è stato agganciato ai cavi della linea tranviaria uno striscione che inneggiava alla libertà per Francesco, Lucio e Graziano, in carcere e in regime d’alta sorveglianza. E così il grigiore di questo pomeriggio di febbraio non è stato “rotto” solo dalle fasce tricolori del nutrito gruppo di amministratori presenti al corteo, ma anche da qualche ovetto di vernice che ha colorato il muro della caserma di via Cernaia e da numerose frasi attacchinate, alcune sotto il naso della celere, che hanno ribadito come il sabotaggio continui ad essere compagno di chi lotta: “Per ogni condanna 5-6 sabotaggi!” , “140 anni di condanne e siamo ancora qua” , “Risarcire? Sabotare!” , “Non un soldo a chi devasta” ; e ancora, un grosso striscione calato da un palazzo in Piazza Solferino.

Durante la passeggiata, tra i tanti volantini, è stato distribuito anche questo contributo su quale possa essere il significato dell’Alta Velocità nell’attuale ristrutturazione degli assetti sociali ed economici delle città interessate dal passaggio del treno.

Qui il pdf del volantino.

«Altre semplici spiegazioni sulla questione dei tagli e dei costi.

Un rapporto di Legambiente ha calcolato che in Piemonte sono state soppresse 14 linee ferroviarie locali dal 2010 ad oggi, mentre il costo dei biglietti è aumentato del 47,3%. Come se non bastasse l’avvento delle “Frecce” ha eliminato anche alcune di quelle lunghe tratte a basso costo, come la Torino-Lecce, che attraversavano l’Italia, per privilegiare l’alta velocità tra le grandi città, alla metà del tempo e il doppio del prezzo.
La rete ferroviaria non serve più ad accompagnare l’operaio dalla propria casa al luogo del lavoro, dalla città in cui è immigrato al paese natale, la sua funzione non è più quella di legare il territorio in maniera omogenea, a ritmo del suono dell’industria; ora le fabbriche delle città sono cumuli di macerie o cantieri dove vengono gettate le fondamenta di nuove scuole di design e centri direzionali di grandi aziende. Su questo mucchio di cocci l’economia globalizzata prende il sopravvento, le città diventano nodi cruciali che per rimanere a galla devono creare le condizioni per essere competitive: attrarre capitali abbassando i costi per gli investimenti, realizzando beni spaziali non sostituibili (es. una linea ferroviaria); “Venghino Signori…Venghino!!” gridano dalla stanza rossa del Comune di Torino annunciando il Piano Regolatore Generale del 1995, nell’offrire tutto il suolo lasciato libero dalla vecchia industria e dall’interramento del fascio di binari che attraversa la città.
Iniziano a insediarsi centri direzionali di compagnie bancarie e di multinazionali, nuove aziende che si occupano di elettronica, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, servizi alle imprese, ecc. Il profilo urbano segue la linea dei grandi grattacieli, muta nello spazio occupato da vasti distretti tecnologici. Il Piemonte si conferma una delle prime regioni italiane in termini di attrazione di investimenti diretti esteri (IDE), restando una delle principali destinazioni scelte dalle multinazionali. Il proliferare di progetti di nuove linee ad Alta velocità e capacità risponde, quindi, alla necessità di collegare città economicamente forti e competitive tra loro, varcando i confini nazionali, come Torino con Lione.
Se la città diventa l’unità base dell’economia le strategie statali sposteranno la gestione amministrativa e fiscale nelle aree metropolitane, spetterà a quest’ultimi la gestione del territorio e degli individui che lo popolano, toccherà loro far quadrare il bilancio dei conti e preoccuparsi del welfare. Direttamente conseguente è lo smantellamento dei servizi pubblici a livello nazionale, quindi una nuova gestione locale di essi. L’amministrazione locale non regola il settore privato, anzi senza di esso non riuscirebbe a salvaguardare la propria esistenza; il comune cede pezzi di città, terreni del demanio, edifici pubblici in disuso, fabbriche obsolete, i privati s’impegnano ad offrire in parte un servizio alla cittadinanza motivati dalla messa a profitto. Così una palazzina inutilizzata viene lasciata in comodato d’uso ad un ente della Compagnia San Paolo; dopo una ristrutturazione coi fiocchi, gli edifici ai piani inferiori vengono adibiti ad attività commerciali mentre gli alloggi compongono un progetto di Social Housing. Nella stessa città dove l’emergenza sfratti è alle stelle, dove l’offerta di case popolari è bassissima, l’ente privato si sostituisce nell’offrire un servizio, stringendo il margine di selezione delle persone inserite nelle fasce deboli che possono abitare in maniera regolare. Si accentua così la guerra tra chi si contende le briciole, viene sottolineata l’esclusione di chi non ha nemmeno i requisiti per partecipare ai bandi, mentre chi viene scelto è disciplinato al buon vivere e alla produttività. Potremmo anche azzardare che una presenza capillare di centri ospedalieri non sia più competitiva, che la gente delle Valli possa accontentarsi di un viaggio fino in città verso la nuova cittadella della salute. Che la Val di Susa sia solo interessante per gli investimenti come tratta, come sbocco per la Francia, oppure l’alta Valle, come località turistica. Di sicuro possiamo sapere che la costruzione della linea ad alta velocità è complementare allo smantellamento dello stato sociale, che le risorse pubbliche sono in mano ad alcuni e vengono indirizzate verso progetti e territori funzionali al profitto. Qualcuno si salva lavorando per loro, mentre tanti altri vengono ancora una volta esclusi e messi alle strette: dall’esproprio coatto della casa, dal danneggiamento della terra in cui vivono, dallo sfruttamento assiduo, dalla paura della polizia, dalla mancanza di ogni sostegno. Richiedere un buon governo ed una buona gestione delle risorse pubbliche è come chiedere al gatto di non rincorrere il topo. Appropriarsi noi di questa gestione sarebbe solo un gioco di maschere, togliere il pelo al gatto per illudere il topo di non avere più nemici.
La soluzione immediata per non essere schiacciati dagli ingranaggi dei meccanismi economici e dalle sue conseguenze è organizzarsi assieme, mettersi in mezzo e riuscire anche a soddisfare le proprie esigenze. Ci guardiamo attorno: se riconosciamo le stesse strategie economiche e di governo in luoghi e ambiti differenti, siamo anche in grado di vedere dei complici, tra i facchini dei mercati generali, tra chi non si piega al ricatto del permesso di soggiorno, tra chi resiste allo sfratto, tra chi occupa le case, ecc… Il punto allora non è unire gli sforzi per influenzare queste strategie, ma combatterle e imparare a farne a meno insieme.
Da qui in poi è tutto da scoprire.»

macerie @ Febbraio 24, 2015