ASFISSIANTE CULTURA,(1)

JeanDuBuffet

Jean Dubuffet

Attribuire alla produzione artistica un carattere socialmente meritorio, facendone una funzione sociale degna di rispetto, significa falsificarne profondamente il significato. La produzione artistica è una funzione specificamente e fortemente individuale, e quindi assolutamente in contrasto con qualsiasi funzione sociale. L’arte non può essere che una funzione antisociale, o almeno asociale. Sono un individualista.

Il che significa che penso che il mio compito di individuo sia quello di oppormi agli obblighi che nascono dagli interessi del bene sociale. Gli interessi dell’individuo sono opposti a quelli del bene sociale. Quando cerchiamo di servire contemporaneamente l’uno e l’altro, otteniamo soltanto ipocrisia e confusione. Se lo stato ha il compito di proteggere il bene sociale, io ho il compito di proteggere il bene dell’individuo. Per me, lo stato ha una sola faccia: quella della polizia. Questo volto, ai miei occhi, è quello di tutti i ministeri statali: non posso fare a meno di pensare al ministero della cultura come alla polizia della cultura, con i suoi prefetti e i suoi commissari; e questa faccia è per me insopportabile. Sono convinto che in una collettività gli individui di cui essa è composta si debbano sforzare di far prevalere la norma individuale sulla norma sociale. L’opposizione tra il bene individuale e il bene sociale dovrebbe essere fortemente sentita e mantenuta in vigore. Se gli individui si conformano alla norma sociale e cominciano a dare più peso al bene sociale che al bene individuale, non ci saranno più individui, e quindi non ci sarà nemmeno più una collettività degna di tale nome. La fantasia, l’indipendenza, la ribellione, tutte forme di esperienza opposte al bene sociale, sono necessarie alla vita di un gruppo. Esso sarà tanto più sano quanto maggiore sarà il numero degli irregolari. Non c’è niente di più sclerotizzante dello spirito di sottomissione. La casta dominante, circondata dai suoi chierici (che aspirano soltanto a servirla e ad inserirsi in essa, nutriti come sono dalla cultura che essa ha elaborato a suo esclusivo beneficio), quando apre i suoi castelli, suoi musei e le sue biblioteche, non intende certo aiutare il lavoro creativo. Con la sua propaganda culturale, la classe dominante non vuole far nascere scrittori o artisti, ma soltanto lettori e spettatori. Il compito della propaganda culturale è infatti proprio quello di far sentire alle classi inferiori tutto l’abisso che le separa dai prestigiosi tesori di cui la classe dominante detiene le chiavi, e l’inanità di ogni sforzo teso a produrre un’opera creativa valida al di fuori delle strade già tracciate.

(1) Jean Dubuffet, Asphyxiante culture, Parigi 1968 (traduz. it.: Feltrinelli, Milano 1969).

 

Jean Dubuffet – Asfissiante cultura (Francia 1968)

Lanciato come una salutare molotov libertaria nel magma ideologico del Sessantotto francese “ Asfissiante cultura” di Jean Dubuffet, che il Kalashnikov Collective Headquarter qui presenta ai suoi lettori, è uno dei più eversivi e speculativamente compiuti documenti di anticonformismo estetico che un artista del Novecento ci abbia lasciato.
L’attacco devastatore di Dubuffet, destinato a suscitare all’epoca un aspro dibattito attorno alla sua figura di celebre artista e implacabile provocatore, muove da una contrapposizione tra la dimensione individuale, l’unica capace di produrre una rigenerazione dell’estetico e quella collettiva, strutturata secondo i paradigmi della cultura, ovverosia di quel sofisticato sistema di astratte nozioni orientate a stabilizzare le forze incoercibili e irrefrenabili dell’arte e della società attraverso la mediazione gerarchica dei Detentori del Sapere. Dubuffet esalta, quali fattori anarchizzanti operativi nel corpo sociale asfissiato dalla cultura, quelle forme d’arte individualistica che lui stesso aveva da anni contribuito a rivalutare ponendole sotto l’etichetta di Art Brut: opere di eccentrici irriducibili, di “anormali”, ma soprattutto di folli (al giorno d’oggi prevale il termine Outsider Art, coniato nel 1972 dal critico Roger Cardinal, con accenti semantici relativamente diversi).
All’universo della società culturalizzata, fondato su dinamiche gerarchiche e verticali, Dubuffet contrappone il modello di una collettività esplosa e proliferante in cui all’individuo sia demandato il compito di una creazione continua di sé che proceda incoercibilmente lungo la direttrice di infinite traiettorie orizzontali: percorso illimitato e inconcludibile, che è tanto impossibile ultimare quanto mediocre rinunciare ad intraprendere.
Così Jean Dubuffet: “Alcuni affermano che se venisse abolita la cultura non esisterebbe più l’arte. Si tratta di un’idea profondamente errata. L’arte è vero non avrà più nome; sarà la nozione di arte ad aver fine, non l’arte che, al contrario, ritroverà una salute nuova dal fatto di non avere più nome…”.

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