Torino 2016: una città in preda ai magnifici ricordi del passato olimpico. Un po’ di frizzi e un po’ lazzi per cercare di animare i festeggiamenti dieci anni dopo.
Alcune delle immagini apparse in questi giorni su siti e giornali, alcuni volti di quel passato “olimpico” ricordano davvero un misto esplosivo tra Fellini e Cinico Tv: majorettes sotto la pioggia e rievocazioni storiche, vecchi e “nuovi” sindaci che si autocelebrano, pezzi mai dismessi dell’oligarchia Fiat e della cerchia Agnelli, una città allo sbando con i suoi volontari sbiaditi sullo sfondo. Sempre in giaccavento. Tutto brilla eppure tutto è provinciale e decadente. Intanto i dati sbandierati sul turismo ci salvano dal baratro, mentre i conti delle favolose olimpiadi invernali del 2006, volano di chissà quali partenze e destini pieni di ricchezza e fortune, non tornano mai.
Una città proprietà degli Agnelli, per un centinaio di anni giardino di casa della Fiat, una rete mai tramontata di famiglie, holding, finanziarie e multinazionali che dispongono ancora in tutto e per tutto di corpi, sogni, e spazi (pubblici e privati). Ieri come oggi un po’ di “ubriacatura olimpica” per le masse. Ieri come oggi persone svuotate di ogni desiderio ma piene di gadget, di loghi, di marchi sempre più imbarazzanti. Una banca del padrone tentacolare che, con la sua pia fondazione, continua a scandire vita e passaggi critici di questa città poco metropolitana e sempre più provinciale.
Abbiamo parlato questa mattina con Maurizio Pagliassotti, giornalista torinese che ha curato libri e inchieste su questa – come su altre – città. Ascolta il contributo: