Guglielmo Asturi
Attenersi a delle trattazioni dottrinarie prescindendo da ogni problema contingente? Astenersi dallo esternare concetti e soluzioni, più o meno originali, sulla situazione politica italiana?
Ma perché continuare a rimanere nello «astratto»? Non è forse l’anarchismo ancora saturo di «astrazioni filosofiche»? Diamo della «praticità» all’anarchismo e viviamo una buona volta nella «realtà»!
Credete che sia io che parli?
No. È Carlo Molaschi. Questo ed altro griderebbe in faccia a noi «astrattisti».
Ora avrò io la percezione esatta di ciò che è la situazione psicologica dei sovversivi in Italia?
Proviamoci, ma lascerò ad altri il compito di pronosticare su un avvenire, più o meno lontano, più o meno lieto, di riabilitazione politica e di risveglio della dignità umana.
Trattando con i dovuti… riguardi l’antifascismo “ufficiale” e scartando ogni sorta di opposizione legale, che data l’impostazione dello stato fascista non potrebbe generar nulla, ciò che preoccupa si è la demoralizzazione collettiva e maggiormente le soluzioni disparate e disperate che se ne traggono.
Qualcuno, in cerca di… conforto, ha voluto pensare che il fascismo è stato necessario per presentare e disperdere ciò che di marcio, di non florido, di non omogeneo vi era nell’elemento sovversivo e purificandolo, ridare nuova energia al movimento rivoluzionario per una conquista integrale avvenire.
Io so semplicemente che da un male, alle volte, se n’è tratto parte di bene, ma non mi spingo a pensare se il fascismo sia stato necessario, (solo per… questo!), e se sarebbe stato meglio che la valanga delle libere volontà e di tutte le attività rivoluzionarie avesse trovato libero sbocco, portando seco tutti i detriti e gli elementi eterogenei.
Ma, tempo sprecato! Il fascismo c’è e sarebbe più utile a ciò che la nostra sensibilità ripudia, a ciò che può allontanare il giorno di liberazione desiato ed all’abisso che la situazione generale odierna potrà scavare tra la nostra azione e le nostre aspirazioni ideali.
Tra l’altro l’infuriare della procella reazionaria, lo sbaragliamento di ogni forza organizzata, la caccia cruenta all’individuo ha determinato lo «sconforto» tra i compagni. Quale sconforto?
Io non penserò che lo «sconforto» sia dovuto ad insufficienza di coltura storica e non esagererò col dire o per lo meno pensare che gli anarchici possano interpretare la frase del grande Bovio: verso la Anarchia va la Storia, nel senso di piana e pacifica ascesa verso l’Anarchia e conseguentemente credere che per «leggi storiche» si era resa impossibile la comparsa di nuovi fenomeni autoritari e reazionari che dovessero ostacolare e deviare quella fatale e… sportiva ascesa, trovando in ciò la radice dello «sconforto» dei compagni che sarebbero stati delusi dalla presenza e permanenza del fascismo.
Per chi nell’anarchismo ha trovato l’integrante psicologica alla feconda estrinsecazione d’una individualità inappagata; per chi ha avuto nell’anarchismo la chiarificazione di quel senso critico che, assurgendo a sistema, lo ha allontanato da particolari situazioni sociali, politiche, morali che avrebbero ammorbato le sue facoltà psichiche e mentali, distogliendolo da quel travaglio intimo d’elevazione e d’azione cosciente per l’avvicinamento d’un domani di vita integrale individuale; per chi l’anarchismo è bisogno vitale imprescindibile dal suo organismo psico-fisico, non sarebbero possibili certe constatazioni serene venendo a delle determinazioni veramente originali, che per la loro generalizzazione risulterebbero imperfette e darebbero luogo a varie interpretazioni, spesse volte dannose, né tampoco uno sdegno — denotante uno stato d’animo passivo — pari a quello che si ha nei versi:
Caro m’è il sonno e più l’esser di sasso
Mentre che il danno e la vergogna dure…
Dinanzi alla creazione d’una situazione politica che verrebbe ad ostacolare di fatto quell’attività spirituale e quell’azione pratica che hanno fatto della nostra vita una missione superiore e che son le sole a farcela valorizzare, dinanzi all’impossibilità presente di giovare alla nostra causa, pur senza credere ad «un arresto definitivo della marcia verso il domani» e pur non disperando, è naturale, è umano che la nostra lesa individualità subisca, per la coattiva diminuizione dell’energia vitale, una clausura, un rinchiudimento in se stessa che sarebbe dignitoso silenzio e ponderazione intima della propria funzione individuale e di sincero militante.
Dunque, niente scoraggiamento ed avvilimento, niente sfiducia nei problemi dottrinari e nelle aspirazioni avveniristiche, liberamente e coscientemente accettate, niente cambiamento di tattica e d’intransigenza, ma scandaglie della propria forza morale ed ideale, che sarà motivo di sano orgoglio per chi ne uscirà vittorioso, pronto sempre per le battaglie da combattersi in pro della nostra Anarchia!
(Culmine, anno II, n. 7, 27 aprile 1926)