Non c’è tempo da perdere
L’unica cosa di cui tutti erano certi sul processo del “compressore” è che avrebbe fatto scuola.
Ne erano sicuri i dottori della legge, che avrebbero avuto altre sentenze di Cassazione da citare nei loro ragionamenti per confortare le proprie tesi.
Ne erano sicuri gli avvocati, che mai avevano fronteggiato un’accusa così creativamente formulata.
I giornalisti poi (e la cosa è molto indicativa) furono i primi ad usare la parola terrorismo in un ambito così popolare com’è il movimento No Tav.
Con così tante novità si capisce bene come a Torino, più che ad un processo, si stia assistendo ad un esperimento repressivo di grande portata.
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