Il Sabotaggio

RHUP

L’Organizzatore
Se il «boicottaggio» ci è venuto dall’Irlanda, il «sabotaggio» ci viene dalla Francia come parola e come teorizzazione.
Il verbo «saboter» in francese significa letteralmente acciabbattare, far le cose male, al rovescio.

L’applicazione pratica del concetto contenuto nella parola «sabotaggio», inteso come metodo di lotta operaia quale cercheremo di spiegare più oltre, risponde appunto al significato originario del verbo da cui la parola è derivata, la parola che turba i sonni dei buoni borghesi.
È quasi superfluo premettere che le classi dominanti — mentre sono ormai dovunque rassegnate a riconoscere, sebbene a denti stretti, lo sciopero ed il boicottaggio come forme legittime e legali di lotta — considerano ancora il sabotaggio come un delitto; e molti anche fra i socialisti inclinano verso la medesima opinione.
Io non starò qui a discutere se questo giudizio del sabotaggio sia giusto o no. In queste cose il concetto di giustizia è più che mai enormemente relativo e muta a seconda del punto di vista dal quale ci si mette. Ai bravi filistei, che si scandalizzano in nome di una loro comoda morale, ricorderemo soltanto che il sabotaggio non fu — nelle sue pratiche esplicazioni — inventato ed attuato dalla classe operaia; ma precisamente dalla borghesia. Con questa differenza, che la classe operaia se ne serve solo in momenti di crisi combattiva contro dei nemici dichiarati in campo con forze preponderanti; mentre la borghesia se ne serve normalmente contro il pubblico dei consumatori che la fa ricca, avvelenandolo con la falsificazione delle derrate, la frode dei vini, la cattiva qualità delle materie. «Non basterebbe un volume — scrive a questo proposito Giorgio Yvetot — a enumerare i furti, le scrocconerie, le frodi, le magagne dovuti alla rapacità dei padroni.
Numerosi processi recenti hanno mostrato quanto poca cura gli sfruttatori e i commercianti abbiano della salute pubblica e del suo interesse. Per gli approviggionamenti militari gli stessi delitti dei grandi fornitori hanno mostrato quale fosse il patriottismo di tali mercanti. Ciò che non si sa, è il numero degli scandali soffocati per mezzo del denaro.
Il sabotaggio operaio contro il quale i giornali hanno “saboté” il giudizio del pubblico, contro il quale i magistrati hanno “saboté” la giustizia e l’equità è tutt’altra cosa.
Il sabotaggio intelligente dell’operaio intacca quasi sempre l’interesse generale dello sfruttatore. È buona guerra; è mezzo di difesa; è una rivincita.
Il sabotaggio dei padroni intacca solamente l’interesse del consumatore senza distinzione. È sempre dannoso e molto spesso delittuoso, perché attenta alla salute, alla sicurezza, alla vita del pubblico».
La borghesia inoltre, mentre inorridisce davanti al sabotaggio operaio che le inutilizza temporaneamente uno strumento di lavoro, non si rende quotidianamente responsabile del sabotaggio permanente, ben più infame e più dannoso all’economia sociale contro la macchina motrice di tutto il congegno della produzione, contro la macchina uomo?
E non è solamente con la lenta strage della fame cronica e dell’eccesso di lavoro che i padroni operano questo sabotaggio, accorciando la vita dei lavoratori, praticando l’infanticidio su vasta scala, devastando le matrici da cui devono uscire le generazioni future. Il sabotaggio padronale assume spesso forme più evidentemente delittuose.
Ogni volta che ci giunge l’eco di una grande catastrofe, sia che sotto le macerie d’un edifizio in costruzione restino a decine i muratori, sia che in un naufragio periscano cento marinai, sia che in fondo ad una fosca miniera l’incendio od il grisou uccidano a migliaia i minatori, quasi sempre l’orrore dell’ecatombe è aumentato dalla costatazione che la sventura fu determinata più che dalla cieca fatalità del caso, dalla turpissima smania di guadagno che ai padroni fece fare le armature poco solide, la nave mal sicura, la miniera sprovvista di elementi di salvataggio.
Prescindendo adunque da ogni apprezzamento intorno al sabotaggio, noi possiamo in buona fede asserire che la borghesia ha meno di tutti il diritto di sdegnarsi virtuosamente contro di esso quando è applicato dagli operai, poiché essa borghesia non ha mai esitato e non esita ad usarlo nelle forme più atroci tutte le volte che si tratti di aumentare i propri guadagni.
Ciò detto come anticipata risposta ai tartufi delle classi dominanti che volessero prendersi il lusso di scandalizzarsi per quanto andremo scrivendo in proposito, passiamo a spiegare obbiettivamente che cosa è il sabotaggio.
Sul sabotaggio vi è ormai una intera letteratura e perciò a me basterà di spigolare nei libri e negli articoli di coloro che più ne trattarono per dare l’idea di questa forma di lotta.
Il sabotaggio — dice Giorgio Yvetot, citato sopra — «consiste per l’operaio, nel dare il suo lavoro per tanto per quanto lo si paghi: cattivo lavoro per una cattiva paga. L’operaio mette in pratica molto naturalmente tale sistema. Si potrebbe dire che vi sono lavoratori che lo attuano inconsciamente, per istinto. Il che senza dubbio spiega la cattiva qualità e il buon mercato di certi prodotti.
Il sabotaggio talvolta si effettua in maniera molto semplice. Per esempio, un impiegato di commercio, un commesso di magazzino, un impiegato fedele se fa bene gli interessi dei principale, e spesso l’interesse consiste nell’ingannare, nel derubare il cliente, per “saboter” questo impiegato non dovrebbe che dare la misura giusta invece di defraudarne il cliente e per avvantaggiarne il padrone, come di solito; basterebbe stendere un metro preciso di stoffa invece di darne,
come ordinariamente si fa, 90 o 95 cm. per un metro.
Così per taluni operai, basterebbe loro essere col consumatore, onesti, scrupolosi col cliente, per “saboter” l’interesse padronale.
Usano il sabotaggio e fanno bene gli operai che, vedendo l’indifferenza del padrone arricchitosi del loro lavoro, non hanno riguardo per il suo materiale più di quello che lo sfruttatore manifesti per la salute loro.
Usano il sabotaggio, e fanno bene quelli che come i fornai, difendono il loro pane e il loro salario, sapendo rendere inutilizzabili, in tempo di sciopero, il forno o la madia, per impedire al padrone che li sostituisca con krumiri, operai gialli o soldati».
Che cosa di più naturale che un lavoratore restituisca l’equivalente di ciò che egli riceve? Nel periodo di sciopero o in circostanze determinate, per condurre un padrone a chieder grazia, i lavoratori possono applicare il sabotaggio un po’ violentemente. Ma chi oserebbe biasimarli, in una società in cui il diritto del più forte opprime tutti gli altri?
In luogo del materiale si può “saboter” il lavoro; un colpo di trincetto in una fine calzatura, non apparisce di fuori, ma dopo otto giorni la scarpa è forata e il cliente furioso.
Il sabotaggio può prendere una forma più dannosa: s’insegna agli operai di una fabbrica il modo di fare delle costruzioni che sembrano esteriormente solide e che dopo pochi mesi cadranno su gli abitanti: e ciò perché avvengano i ricorsi per danni contro l’intraprenditore. L’ex segretario del sindacato degli operai delle ferrovie francesi, il cittadino Guerand, diceva in un congresso: «Io ed i miei amici possediamo il segreto per impedire in cinque minuti il funzionamento di cinque locomotive» ; e ciò potrebbe essere ben grave in caso di guerra.
E che dire del sabotaggio che si esercita sul pane? Il cittadino Busquet, segretario del Sindacato dei fornai, insegua che aspergendo di petrolio il piano dove si fanno cuocere i pani, lo si rende inutilizzabile per quattro o cinque settimane; ora essendo facile attuare l’operazione se ne vede chiaramente il risultato.
Il sabotaggio — scriveva Baldino Baldini — non è necessario sia unito allo sciopero. Esso è un’arma con la quale il proletariato può danneggiare i suoi “padroni” anche senza abbandonare il lavoro. Non c’è bisogno di dire che è interesse dei lavoratori di rendere più intense che essi possono le loro agitazioni, facendone risultare per i borghesi il massimo di danni possibile. Il “padrone” cede alle richieste operaie, solo quando ha il portafoglio alleggerito sensibilmente.
Come alleggerirlo? Ecco il problema.
Il quale sarà da noi studiato e risolto a mezzo di esempi, per renderlo più accessibile.
In un primo caso si può avere il compimento di un lavoro nella forma peggiore che si possa immaginare.
I lattonieri per citare un esempio, quando vogliono “sabotare” il loro padrone faranno le saldature male, le tagliature imprecise, l’insieme del lavoro contorto, punto simmetrico, sciupando più latta che possono; i tipografi scomponendo i caratteri di un corpo nella casca di un’altro corpo o componendo senza gusto, scorretto, eccetera.
Un secondo caso può essere fornito dal fatto che gli operai mettono corpi estranei nelle materie alimentari. Nella conserva di pomidoro può essere messa benissimo della sabbia; nel vino può essere messo un acido, non velenoso s’intende, ma tale che possa dare al vino stesso un sapore sgradevole; nello zucchero della polvere di marmo, nella farina bianca del gesso, eccetera. Queste contraffazioni dovranno essere evidenti ai primi assaggi, per non nuocere ai clienti.
Un terzo caso: cattivo servizio. Può essere ottimamente eseguito da coloro che stanno in contatto diretto col pubblico. Gli agenti della posta e del telegrafo possono “sabotare” non recapitando o facendo recapitare tardi a destinazione la corrispondenza; i barbieri servendo assai poco delicatamente ed incompletamente i clienti; i ferrovieri facendo andare in disguido i carri delle merci, e così di seguito.
Ancora. Il danno padronale può venire dall’esecuzione perfezionata ed eccessivamente accurata. Gli operai in questo caso lavorano con lentezza eccessiva ed ogni cosa fanno con scrupolo insolito. In modo che per fare un oggetto pel quale sarebbero necessarie, in tempi ordinari, due ore, in periodo di sabotaggio ne possono essere impiegate anche cinque o sei e più. Il danno padronale è evidente. In fine di settimana si è prodotta solo una parte, e non la maggiore, spesso, della merce ordinata dai clienti.
Citiamo per ultimo il caso che ha sollevato gli sdegni dei nostri avversari: il caso di danneggiamento procurato agli strumenti di lavoro.
Quando non si possono usare le forme di sabotaggio sopra indicate, o quando esse, già usate, non hanno ottenuto completamente l’effetto sperato, a quali mezzi estremi si deve ricorrere?
Pigliarsela con le macchine o con gli strumenti in genere, del lavoro non si deve considerare come una lotta fatta contro la macchina. No, non è fatta la nostra lotta, contro lo strumento di produzione, che dovrebbe alleggerire le fatiche dell’uomo, ma è fatta invece contro la “ricchezza” oppressiva e sfruttatrice che è rappresentata oggi dalla macchina. Spezzare un ordigno o renderlo inservibile, significa impedire che possa essere adoperato da crumiri. Oltre ciò significa procurare al proprietario una spesa nuova che costui deve sostenere per la sua caparbietà e per il rifiuto a concedere i miglioramenti richiesti dagli operai. Tale sabotaggio lo ammettiamo solo nei momenti di agitazione e di sciopero, non durante lo svolgimento ordinario della vita d’officina e dei campi.
Mille e mille sono i modi diversi, né possiamo indicarli perché si adattano secondo le condizioni speciali del lavoro industriale ed agricolo.
[Cronaca Sovversiva, anno VIII, n. 38, 17/9/1910]