Mentre il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità minacciano la vita per come la conosciamo, lo stesso sistema che ha creato i problemi non vede l’ora di trovare modo di risolverli mantenendo tutto sotto il suo controllo. Il sistema industriale con i suoi corollari di furto di terra, estrazione di risorse e oppressione di vite animali e umane cerca di sopravvivere a ogni costo. Gli scienziati finanziati dalle industrie continuano la loro crociata per un mondo di biotecnologia, condannando qualsiasi specie o comunità umana che sia d’intralcio. Proprio come i primi conquistatori europei esploravano terre nuove alla ricerca di nuove risorse, così l’industria del biotech si propone di conquistare il tessuto stesso della vita per assicurare un futuro alla società industriale. L’industria del biotech offre una soluzione alla crisi del cibo, delle risorse e del carburante all’interno dei paradigmi della società attuale per cui la mercificazione della natura deve continuare infinitamente.
Questa visione antropocentrica del mondo sorge dalla stessa filosofia che considera esseri umani in diritto di dominare ogni forma di vita, questo modo di pensare pericoloso offre soluzioni pericolose: brevetti sui semi, uso continuo di pesticidi e insetticidi, rimpiazzo della biodiversità con monocolture e agricoltura industriale.
Negli ultimi mesi compagnie come Monsanto e Du Pont hanno attirato ancora le attenzioni di molte persone preoccupate per come questi giganti dell’agrobussiness stanno costruendo una nuova epoca di controllo assoluto sul cibo, con un rapido cambiamento che vede sempre più la coltivazione di poche varietà basata su un uso smodato di derivati del petrolio e della chimica, per produrre in modo economicamente vantaggioso quantità enormi di qualcosa che ha solo l’aspetto del cibo. In risposta a questo milioni di persone si stanno mobilitando in tutto il mondo. Negli USA la Monsanto con un’abile strategia di pubbliche relazioni ha facilmente sbaragliato ogni tentativo statale di etichettare gli ogm e di vietare l’uso di qualche varietà particolare. Nel mentre e come d’improvviso un’altra trovata delle biotecnologie è emersa e senza tanto clamore si sta avviando verso una diffusione in grande scala.
Anche se meno famosa dei cibi ogm la modificazione di alberi è in corso da tempo e viene fuori dal matrimonio d’interesse tra multinazionali come Monsanto, International Paper, Wegerbauser, Suzano Paper e Celulose. L’industria promette di migliorare i tradizionali prodotti del legname attraverso il “design” di alberi “superiori”. Lo scopo è rilanciare il mercato dei prodotti derivati dagli alberi, non solo legno e carta, ma anche biocarburanti e nuove materie plastiche.
Nutrito dalla visione ultraliberista della bio-economia per vent’anni, nei laboratori e nelle università. Private o del governo, è cresciuto il sogno di alberi veloci nella crescita, facili da trasformare e più efficienti, qualsiasi cosa possa voler dire.
Questo sogno della bio-economia propone l’idea di un nuovo ordine industriale basato su materiali di origine biologica che fornirebbero risorse attraverso le tecniche della biologia sintetica e delle nanotecnologie trasformando le biomasse in carburanti, prodotti chimici, potere. La bio-economia non fa niente per andare alla causa della crisi attuale, del cambiamento climatico, ingiustizia sociale, patriarcato, antropocentrismo e colonialismo, né di certo servirà a alleggerire la pressione del sistema sulle aree naturali già pesantemente devastate. La logica della bio-economia vede la natura come un magazzino inesauribile di risorse sempre nuove per facilitare la crescita economica. E quindi arriva a proporre una intensificazione dell’estrazione di risorse, soprattutto nel sud del mondo. Gli indigeni e la gente che vive della terra in Africa, Sud America, Indonesia… hanno resistito a questi progetti sin dall’inizio. Di sicuro i progetti di questo nuovo modo di intendere l’economia aggraveranno i conflitto in queste zone del mondo tra le popolazioni e i governi controllati dalle multinazionali occidentali.
I prodotti ogm sono pericolosamente diversi dai loro relativi naturali, e questo vale anche per gli alberi modificati per essere più veloci nella crescita, resistenti a certi pesticidi, o resistenti a climi molto freddi… Le compagnie come la ArborGen, leader nella produzione di alberi modificati negli USA, sostengono che queste mosse del mercato contribuiranno a salvare le foreste selvagge. In realtà questi tratti imposti agli alberi migliorano solo l’efficienza della produzione e non assicurano niente dal punto di vista della conservazione. Anzi, piantagioni industriali hanno cominciato a sostituire boschi e praterie; dal ’90 al 2010 la superficie coltivata ad alberi negli USA è aumentata del 60% passando da 97 a 153 milioni di ettari. Il modo migliore di conservare le foreste non è quello di trasformarle in piantagioni ogm, né quello che fanno i governi quando chiudono a tutti un’area e la dichiarano parco naturale, ma è lasciarle come stanno, consentendo alle comunità che ci vivono di continuare a trarne sostentamento in modo tradizionale. E di certo porre fine all’industria del legname.
l’AlborGen stà usando eucalipti modificati nel mentre sostiene l’importanza delle sue pratiche nella salvezza delle foreste. Gli eucalipti sono perfetti per la produzione perché crescono veloci e si ottiene un’ottima polpa, ma sono invasivi ed una specie aliena negli USA. Sono anche dannatamente infiammabili, ed è per via della presenza di eucalipti che nel ’97 in California un incendio nei dintorni di Oakland divenne una catastrofe con migliaia di case bruciate e venticinque morti. Inoltre sono estremamente più assetati degli altri alberi e consumano circa il doppio dell’acqua delle piante native. In Sud Africa le piantagioni di eucalipti hanno aggravato l’effetto di siccità locali portando alla migrazione di comunità, in Cile gli indigeni Mapuche, sempre per via degli eucalipti, sono costretti in certe zone a rifornirsi d’acqua con autobotti dopo che le falde si sono abbassate. In Brasile i membri del movimento Sen Terra hanno più volte distrutto le pianticelle di eucalipti per via dell’impatto che le piantagioni hanno sulle loro comunità. Consentire agli eucalipti di crescere in climi più freddi grazie alle modificazioni genetiche vuol dire portare queste calamità in nuove bioregioni che fino ad ora ne erano esenti grazie al clima, non solo negli USA, ma a livello globale. Il dipartimento dell’agricoltura stà attualmente lavorando un cambiamento delle leggi per legalizzare il progetto della AlborGen di eucalipto resistente a climi rigidi, dopo di che, la AlborGen venderà centinai di milioni di piantine ai vari produttori in USA. Queste manovre non sono andate avanti senza opposizione. Nel 2010 varie organizzazioni hanno citato in giudizio il Dipartimento dell’agricoltura per aver consentito alla AlborGen di testare i suoi alberi in sette diversi stati americani. Nel 2013 una petizione contro gli eucalipti raccolse 37mila commenti che contestavano i programmi della AlborGen, solo quattro furono presi in considerazione dalla commissione del Dipartimento dell’agricoltura. Durante una conferenza sulle biotecnologie nell’industria del legname, tenutasi ad Asteville, in Nord Carolina nel 2013, più di duecento dimostranti hanno circondato il centro congressi inveendo contro l’AlborGen e altre imprese coinvolte, durante le successive manifestazioni che durarono quattro giorni di seguito furono arrestate cinque persone.
Il noce americano come cavallo di Troia
La AlborGen ha affrontato molte opposizioni dalla società civile e dal crescente movimento contro la manipolazione genetica degli alberi. Questa opposizione è ancora più accesa dai legami di affari tra questa ditta e la Monsanto e dal fatto che molti dirigenti dell’uno sono ex dell’altra. Di conseguenza i fautori degli ogm si stanno preparano ad una campagna di pubbliche relazioni per conquistarsi la fiducia del pubblico. Facendo convergere conservazione ambientale e giochi pericolosi di alta tecnologia la AlborGen, la Monsanto Fundation e altri enti pro ogm stanno finanziando studi per rinverdire gli USA con noci resistenti alla ruggine, dopo che la specie americana è arrivata sull’orlo dell’estinzione. Come sanno chi segue le vicende di conservazione, questi benefattori stanno arrivando un po’ tardi; infatti per fortuna le popolazioni di noci americano si stanno riprendendo grazie alla propagazione di semi naturalmente resistenti alla ruggine e all’incrocio ottenuto in modo tradizionale. […] Tuttavia numerosi articoli recenti, apparsi soprattutto sull’Economist, stanno spacciando la convinzione che senza l’ingegneria genetica il noce americano sarebbe condannato a scomparire. Questo è probabilmente collegato agli improvvisi finanziamenti delle industrie nella ricerca sul noce americano.
La Duke Energy è interessata alle opportunità di Greenwashing che derivano dal finanziare ricerche del genere e dal fatto di poter fornire soluzioni fuorvianti ai problemi degli sconvolgimenti climatici. La reintroduzione di una specie a rischio è una maschera molto conveniente per un’operazione di piantagioni lucrose, utile per fornire un’immagine verde alla Duke Energy e nel contempo aiutarla a mantenere il controllo sulla Terra e nell’economia.
A differenza di altri alberi vittime di modificazioni genetiche come i pini e i pioppi, i noci americani sono manipolati lasciando inalterata la loro capacità di lasciare semi fertili in natura; in modo da potersi incrociare successivamente con i loro corrispettivi selvatici. L’impatto di una simile evenienza non è però studiato da nessuno, o meglio, da nessuno che sia indipendente dalle aziende coinvolte. Il dipartimento dell’agricoltura sta affidando la guardia del pollaio alla volpe, e ha garantito mezzo milione di dollari di finanziamento ai ricercatori della ESF (servizio ambientale forestale) per studiare gli impatti possibili delle loro stesse creature.
Se appunto per essere immesso nell’ambiente, il noce americano manipolato aprirà la strada ad altre versioni di alberi prodotti dagli scienziati, ecco un perfetto cavallo di troia che spingerà il pubblico a credere che con le biotecnologie si può anche dare una mano alla conservazione del mondo naturale.
Un segreto che deve essere nascosto
a ArboGen e l’università della Florida si sono messe in partnership per sviluppare pigne ad alto contenuto di terpene (altamente infiammabile) per la produzione di biocarburanti. La ricerca punta all’utilizzo del terpene per l’industria aereonautica. L’influsso dei soldi è il motivo che spiega il perché l’università ha recentemente messo a tacere l’opposizione agli alberi manipolati all’interno del campus di Gainesville.
Nell’ottobre 2013 membri del gruppo Global Justice Ecology Project sono stati cacciati dal campus e minacciati di arresto impedendo una conferenza che avevano organizzato per criticare le pratiche dell’università. Solo pochi giorni prima dell’evento previsto la sala è stata negata con varie scuse e quando gli interessati hanno provato ad entrare comunque è intervenuta la polizia privata. Solo pochi giorni dopo questo incidente le stesse persone sono venute a conoscenza del fatto che anche l’FBI se ne stava occupando per rovinare i loro tentativi, in particolare un contatto che avevano a Palm Beach è stato avvicinato da un ufficiale che indicava i membri di Earth Firts! come pericolosi.
Intanto il dibattito continua se sia giusto o no indurre in una pianta quantità cinque volte superiori al normale di terpene, ma di certo le amicizie istituzionali dell’industria si danno da fare perché se ne parli il meno possibile.
mentre gli sforzi per trasformare milioni di ettari di boschi e campi di piantagioni altamente efficienti di alberi destinati alla produzione di biocarburanti continuano, le implicazioni di un possibile successo degli alberi ogm risuonano nel mondo, insieme con la resistenza.
Gli impatti della modificazione genetica delle piante sono così potenzialmente imprevedibili che non possiamo nemmeno immaginare le conseguenze sul lungo periodo. Quello che sappiamo è che queste tecnologie non offrono una soluzione ai problemi della perdita di biodiversità o del cambiamento climatico. Questa industria che può essere sconfitta prima che distrugga le foreste del mondo e le comunità che da esse traggono sostentamento, questa industria ci pone un’importante questione: lasceremo che vada avanti la mercificazione di ogni cosa sacra, inclusa l’essenza stessa della vita, o movimenti di tutto il mondo insorgeranno sconfiggendo la bio-economia e le altre forme di dominio? A questa domanda va data una risposta, e presto!
Rising Tide Vermunt (Earth Firs! Autunno 2014)
Da: L’Urlo della Terra, numero 3, Settembre 2015