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Basic Program of the Bureau of Unitary Urbanism

arton2028

Raoul Vaneigem, Attila Kotányi

(1961)
1. NOTHINGNESS OF URBANISM AND NOTHINGNESS OF THE SPECTACLE

Urbanism [1] doesn’t exist; it is only an “ideology” in Marx’s sense of the word. Architecture does really exist, like Coca-Cola: though coated with ideology, it is a real production, falsely satisfying a falsified need. Urbanism is comparable to the advertising about Coca-Cola — pure spectacular ideology. Modern capitalism, which organizes the reduction of all social life to a spectacle, is incapable of presenting any spectacle other than that of our own alienation. Its urbanistic dream is its masterpiece.
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CONTRIBUTIONS TO THE REVOLUTIONARY STRUGGLE INTENDED TO BE DISCUSSED, CORRECTED, AND PRINCIPALLY PUT INTO PRACTICE WITHOUT DELAY

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http://www.elephanteditions.net/

Ratgeb
Translated by Paul Sharkey

THE SUBSISTENCE SOCIETY
1 ) Haven’t you ever, just once, felt like turning up late for work or felt like slipping away from work early? In that case, you have realised that:
(a) Time spent working is time doubly lost because it is time doubly wasted…
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Abolire le Prigioni

carcere890oi

Raoul Vaneigem

Il regno odioso delle prigioni non finirà senza che ciascuno impari a non imprigionarsi più in un comportamento economizzato dai riflessi del profitto e dello scambio.

Meno l’animalità si ingabbierà nella rigidità del carattere, arrabbiandosi per frustrazioni perpetue, più aprirà le porte del godimento a progressivi affinamenti, e più apparirà a tutti l’orrore di rinchiudere in cella dei condannati che vi languiscono non per i loro misfatti, ma perché esorcizzano i demoni che le persone “oneste” imprigionano in loro.
I progressi che l’umanesimo auspica fanno rabbrividire. Se le prigioni spariranno senza che il godimento sia restaurato nei suoi diritti, esse cederanno soltanto il posto ad istituzioni psichiatriche ariose, in accordo con le terapie che anestetizzano nei condannati al lavoro quotidiano la violenza delle frustrazioni.
Non è forse giunto il tempo di stabilirsi talmente nell’amore di sé che, arrivando ad augurarsi dal fondo del cuore molta felicità, ci si affezioni agli altri per la felicità stessa che tocca loro in sorte, amandoli per il favore di amare che dispensano a se stessi?
Non sopporto di essere abbordato per il ruolo, la funzione, il carattere, l’istantanea che mi fissa e mi imprigiona in ciò che non sono. Quale incontro sperare in un luogo in cui l’obbligo di essere in rappresentazione impedisce sempre che io esista?
Mi importa soltanto la presenza del vivente, in cui convergono tutte le libertà che nessun giudizio ha il potere di arrestare.